Colazione da Xavier

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SWIMMING TALE
CAPITOLO QUINDICI
“Colazione da Xavier”


Vedo Kyle appoggiato alla fiancata della macchina che rigira le chiavi nella mano in un evidente simbolo di nervosismo. E' chiaro: gliel'ho messo tutto io addosso, e anche se vorrei fermarmi a chiedergli scusa come si deve direi che non è proprio il momento considerando che è proprio il tempismo ad essere il problema. Gli arrivo di fronte di corsa, col fiatone, aggrappandomi alla carrozzeria già malandata del mio catorcio rosso per non crollare a terra. 
Non vedo Kyle da tre giorni, da quando è dovuto partire per New York, e mi dispiace davvero tanto che il nostro incontro debba essere un tale scempio, ma sarebbe stato molto gradito se tutta la successione di situazioni non si fosse verificata. Non ho avuto molto tempo al telefono per spiegare a Kyle cosa fosse successo, ma dal momento che ha lui le chiavi della macchina doveva darmele il prima possibile e ho avuto giusto due secondi per dirgli di aspettarmi alla fermata del bus all'entrata della scuola. Niente di più e niente di meno, un casino come al solito. 
– Ehi, Anguilla, – Preoccupato, Kyle mi tiene per le spalle e cerca di farmi stare con la schiena dritta. – Mi spieghi che è successo? Non ho nemmeno fatto in tempo a tornare a casa dall'aeroporto che tu...
– L'aeroporto! – sbotto, senza più un filo d'aria a passare tra i polmoni. – Devo... Andare lì.
– In aeroporto? – Kyle mi guarda stranito, non capisce una parola di ciò che sto dicendo. – Hai la riunione con tutti i prof, adesso, cosa ci vai a fare in aeroporto?
Scuoto la testa, non so nemmeno come dirlo.
– Andrai nei casini se non vai a quell'incontro. – continua lui, stranamente razionale. Perché deve essere la mia ragione in momenti come questo? Dante non ha sempre bisogno di Virgilio, insomma. – Hai già saltato la volta scorsa, sono sicuro che Tammie se la caverà anche senza di te in aeroporto. Devi contare che ci sono anche Percy e Iris, non è da sola.
– Xavier. – riesco solo a dire, iniziando lentamente a recuperare fiato. – Sta partendo anche lui. Per la Nyst.
Kyle sgrana gli occhi, incredulo. Sì, la mia reazione è stata più o meno così quando l'ho scoperto al telefono, per puro caso, da sua mamma. Quando si dice meglio tardi che mai, no?
– Xavier? – ripete, scioccato. – Mi hai detto che è dalla festa che non lo vedi, come fai a sapere che parte per New York? 
– Ho chiamato sua mamma per chiederle come stesse quel ragazzino. – borbotto, mettendomi finalmente dritto con la schiena. – E mi ha detto che stava per partire. Sta per partire. – mi correggo, tossendo per lo sforzo. – Devo andare in aeroporto, devo...
– Fermarlo? – mi anticipa Kyle senza cattiveria nel suo tono, ma con la stessa comprensione che avevo io nel spiegargli che sì, dobbiamo parlare per vedere cosa farne della nostra relazione dal momento che le carte in tavola sono cambiate. 
Così scuoto la testa, so che il tempo scorre ma Kyle ha tutto il diritto di sapere cosa ho intenzione di fare. 
– Non voglio fermarlo. E' quello che speravo per lui, in realtà, ma non così, io... – Guardo Kyle dritto negli occhi, anche se non gli ho mai detto nulla di Xavier so che comunque mi capirà. – … Devo vederlo almeno un'ultima volta. 
Lui mi squadra da capo a piedi, sembra voglia contraddirmi ma conclude lanciandomi le chiavi della macchina con un ghigno vivace e: – Ricordati che sei perseguibile per pedofilia, Anguilla. – aggiunge.
Felice come non mai di vedere la sua espressione divertita, mi lancio verso di lui per abbracciarlo velocemente e poi monto in macchina, preso dalla fretta probabilmente peggiore della mia vita.
– Kyle! – lo chiamo dal finestrino prima che lui si possa allontanare. 
– Tic toc, Anguilla. Il volo è tra meno di un'ora e mezza. 
– Aspetta! 
Quasi preoccupato, si ferma e si gira verso di me. – Che succede?
– Non è pedofilia se lui è consenziente. – Gli faccio l'occhiolino e accelero mentre sento la sua risata, tirando su il finestrino per non congelarmi del tutto i sentimenti. Kyle è così, una volta che ha capito fa di tutto pur di darmi una mano ed è per questo che, nonostante tutto, lui resterà sempre il mio numero uno. 

Nel momento in cui ho premuto la connetta verde per chiamare Diana, meno di un'ora fa, ho pensato che stessi commettendo l'errore più grande della mia vita. Del resto però non sapevo più che misure prendere con Xavier dal momento che non ha mai risposto ad un mio singolo messaggio in una settimana e nemmeno alle mie chiamate, non è più venuto né a scuola né agli allenamenti. Per quanto ne sapessi io poteva essergli successo qualcosa, per cui mi sono convinto che chiamare sua madre fosse la cosa più giusta da fare e ho composto il numero. 
– Pronto? – La voce della donna è risultata stanca come l'ultima volta che l'avevo sentita, mentre il rumore di sottofondo dell'auto disturbava leggermente l'audio. 
– Salve Diana, sono Himeragi, l'allenatore di Xavier. 
– Ah, certo! Ciao Himeragi. Qualche problema? Ho accompagnato Xavier da poco, è già successo qualcosa...?
– Accompagnato? – ho così chiesto, iniziando a prepararmi mentalmente al peggio. 
– Certo. Non è ancora arrivato? 
– Sono le sei di sera, Diana, la piscina sta già chiudendo e non vedo Xavier arrivare. 
– Piscina? – mi ha chiesto lei, confusa. – Ho accompagnato Xavier in aeroporto, non in piscina.
Il mio cuore ha cominciato ad accelerare già in quell'istante, avevo in mano il borsone con dentro gli accappatoi e non ho potuto fare a meno di lasciarlo cadere a terra. – Perché in aeroporto?
– Ma come? Xavier mi ha detto che eri con lui... Ah, quel ragazzo. Mi fa morire ogni volta con tutte le sue bugie. Se posso chiederti, dove sei, Himeragi? 
– In piscina... – A quel punto mi sono guardato attorno, e sì, ero proprio in piscina. – … A Detroit. 
– Quindi non parti con Xavier? 
– Partire per dove? – ho quasi sbottato, iniziando a fregarmene della prassi delle buone maniere. Diana stava girando in torno alla risposta che avevo paura di sentire e ciò mi faceva agitare sempre di più.
– Per New York, ovviamente. Lo sai che ha deciso di partire, no? 
E lì è diventato tutto nero.
Ho appoggiato le spalle al muro, incapace di dire più una sola parola. 
Xavier non mi aveva detto niente, assolutamente niente, nessuno di noi sapeva qualcosa. Come aveva potuto l'informazione restare segreta alla squadra e a noi allenatori?
– Non lo sapevo... – ho biascicato, iniziando ad elaborare un modo per andare il più velocemente possibile all'aeroporto. – … Con chi avete preso accordi? Nessuno di noi sapeva niente. 
– Non so nemmeno come scusarmi per lui, Himeragi, è strano che abbia fatto così. Mi sono fidata e ho chiesto ad un certo professor Schneider di fare da tutore a Xavier per organizzare tutto sulla parola di mio figlio, non sapevo che a voi non fosse arrivata notizia. 
– Schneider è una testa di cazzo che odia la squadra di nuoto. – ho sputato a denti stretti, incurante di ogni regola del galateo. – E io non sapevo proprio niente. E Xavier lo sapeva che, chiedendo a Schneider, io non avrei saputo niente.
– … Avete litigato, vero?
– Già. – ammetto, anche se in questo momento il litigio che abbiamo avuto è l'ultima delle cose che mi preoccupa. – Senta, Diana, io vado in aeroporto adesso. Corro. Devo vedere Xavier.
– Certo, non ti biasimo. Come istruttore è il minimo, no? 
Ho mugugnato qualcosa in risposta, ma il ruolo di istruttore è andato a fottersi da un po' per quanto mi riguarda. Quindi ho chiuso la chiamata salutando Diana in fretta e furia per poi chiamare Kyle e chiedergli di darmi le chiavi della macchina che erano rimaste a lui dato che le avevo prestate a Quentin per andarlo a prendere in aeroporto. 

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