Prologo

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                            Prologo

La vita a volte fa brutti scherzi, non sai mai quello che ti può accadere domani o tra qualche istante e fino a qualche attimo fa la mia vita era perfetta, ERA…
Mi chiamo Serena Smith, ho ventidue anni e frequento l’accademia delle belle arti a Los Angeles per avverare il mio sogno: diventare stilista.
Quando ho del tempo libero faccio ricerche sul campo scientifico perché adoro studiare l’anatomia e la fisiologia di noi esseri umani, a mio parere Dio ci ha fatti alla perfezione, lo sapevate che le donne nascono con un olfatto migliore rispetto agli uomini? E sapevate anche che più è fredda la stanza nella quale dormite, più probabilità ci sono di fare brutti sogni? Quindi, assicuratevi di dormire ben coperti e al caldo, ma cosa più assurda è che il cuore di noi donne batte più velocemente rispetto a quello degli uomini…ma adesso basta parlare di queste cose o rischierei di annoiarvi.
Sono una ragazza abbastanza introversa ed impacciata soprattutto con determinati colleghi di studio, con alcuni addirittura non scorre buon sangue, insegnanti inclusi.
Adesso frequento il secondo semestre del secondo anno e fino ad oggi ho passato una vita accademica direi abbastanza tranquilla.
Sono le nove e dieci del mattino, sono seduta al mio solito posto, la prima sedia laterale che dà sul prato dell’immenso edificio, ad attendere trepidante il nuovo insegnante di Arte dal volto sconosciuto perché dai piani alti non ci hanno voluto dare nessun’informazione sul suo conto.
Solo quando alzo lo sguardo incontro gli occhi castani, seri e dispotici del professore, proprio quell’insegnante di cui, per tutti questi anni, ho avuto il terrore e non avevo e continuo a non avere una buona impressione, credo sia molto severo, non l’ho mai visto sorridere…
Si chiama Enea Aragona ed è italiano, ha trent’anni, alto circa un metro e ottanta, fisico leggermente pienotto, capelli biondo cenere e con un qualcosa di misterioso.
<<Buongiorno ragazzi.>> Dice con tono serio solo quando in aula cala un silenzio assordante. <<Da oggi sarò il vostro nuovo insegnate di Arte.>> Ci guarda uno per uno con fare glaciale. <<Durante le mie lezioni non ammetto l’utilizzo dei cellulari, se trovo uno di voi a farne uso, lo sbatto fuori.>> Fa una pausa. <<Non potrete parlare tra di voi, per qualsiasi dubbio o chiarimento chiedete solamente a me.>> Toglie la giacca con eleganza e la poggia sulla sedia. <<Intesi?>> Si arrotola le maniche della camicia fin sopra gli avambracci, mettendo in mostra la pelle perfettamente dorata. <<Intesi?>> Ripete serio in volto.
Abbassiamo la testa dal momento che nessuno ha il coraggio di parlare, tantomeno di rivolgergli uno sguardo, tutti tranne me, ammaliata dalla sua bellezza. Chiudo gli occhi e tiro un respiro profondo inalando l’incantevole scia di profumo che ha lasciato passando davanti la mia postazione, riapro gli occhi e all’istante sento il cuore saltare un battito e le guance divampare.
I suoi occhi glaciali puntano dritti verso di me. <<Ha intenzione di dormire, signorina?>> Mi indica con la mano. <<Oppure di seguire la lezione?>>
<<Mi…mi scusi.>> Abbasso lo sguardo mortificata e piena di vergona sotto lo sguardo di tutti.
<<Bene, direi che possiamo iniziare.>> Con passo lento ed elegante va in direzione della lavagna, prende il gesso iniziando a disegnare.
Le ore passano e da come si approccia con noi durante la lezione mi confonde le idee sul suo conto.
Sembra soffrire di doppia personalità, alle volte è molto dolce altre invece è il terrore in persona ma di una cosa sono certa…della sua passione verso l’Arte.
Fa di tutto per far capire la lezione, intuisce immediatamente se qualche alunno ha un problema guardandolo solamente in volto e cerca di aiutarlo chiedendogli di parlarne insieme.
Ho sempre amato questa materia e non so spiegarmi il motivo ma comincio a non capire quasi niente, nonostante cerchi di concentrarmi, i miei risultati sono ugualmente scarsi, per non dire pessimi.
Adesso sta spiegando come fare un disegno ma sento solamente la sua voce, sono isolata da tutto e da tutti perché la mia concentrazione è tutta rivolta al suo corpo, alla sua mandibola che si contrae quando si volta a guardarci, ai suoi capelli pettinati alla perfezione, alle sue mani che disegnano con maestria e alle sue labbra, così perfette e carnose e…scuoto la testa per cacciare via quel pensiero abbassando lo sguardo, mi strizzo gli occhi con le dita e tiro un lungo respiro poi alzo lo sguardo e lo vedo avvicinarsi…sgrano gli occhi quando lo vedo sedersi al mio fianco.
Inizio a sentire uno strano calore invadere il mio corpo e le guance divampare, tiro un sospiro profondo e il suo profumo, insieme alla sua presenza così vicina, manda in tilt la mia ragione, purtroppo non riesco a guardarlo e, non appena lo sento parlare, il mio cuore inizia a battere all’impazzata ma non capisco tutto quello che sta dicendo.
<<Può ripetere la domanda, per favore?>> Balbetto. Vorrei che questo momento non finisse mai e mi piacerebbe incollarlo al mio fianco per tutta la durata della lezione.
<<C’è qualcosa che non va?>> I suoi occhi sono fissi sui miei. <<La vedo particolarmente distratta.>>
Distolgo lo sguardo. <<No, è tutto ok.>> Rispondo rossa in volto. 
<<Sicura?>> Aggrotta la fronte.
<<Si.>> Gli rivolgo un sorriso timido e torno a guardare la lavagna cercando di concentrarmi solo sul disegno costringendomi a non pensare a lui al mio fianco e per mia fortuna la lezione è appena terminata, dunque ci saluta ed esce dall’aula.

*

Dal giorno in cui si sedette al mio fianco non faccio che pensare a lui. La sera mi addormento sperando di sognarlo e potergli parlare tranquillamente, senza balbettare, senza arrossire ma soprattutto senza quelle ondate di calore che mi inondano semplicemente quando lo guardo ed a peggiorare le cose il suo repentino cambiamento di carattere, passa dall’essere dolce al glaciale da un istante all’altro e viceversa.
Durante le lezioni di altri insegnanti esco spesso dall’aula sperando di vederlo, ma non sempre va come vorrei, è come una calamita e noi siamo due poli opposti, non riesco più a comandare il mio cervello e impedirgli di fare simili cose come andare a cercare l’uomo dei miei pensieri costanti e guardarlo anche da lontano.
Scendo l’ultimo gradino che mi porta davanti il suo studio e lo scopro a parlare con una ragazza, sembra che tra di loro ci sia della confidenza ed io vorrei tanto prendere esempio da lei, perché non posso essere così sfrontata come lei? Perché devo arrossire ogni qualvolta mi si avvicina o porta il suo sguardo sul mio?
Tiro un sospiro profondo e vado da lui non appena la ragazza va via.
<<Salve professore.>> Cerco di guardarlo negli occhi.
<<Buongiorno.>> Mi rivolge un sorriso.  Il cuore manca un battito e divento rossa in volto. <<Ha qualche problema?>>
<<Be io.>> Mi guardo i piedi. <<Si.>>
Mi fa cenno con la mano di precederlo, entro nel suo
studio e mi siedo su una delle due sedie in pelle nera davanti una scrivania colma di fogli e righelli in perfetto ordine. A destra in un angolo è posto un porta penne con delle matite di varie misure, una penna rossa e una blu. Alle sue spalle un armadietto in ferro grigio con due ante, alla mia sinistra un mobiletto con dei cassetti in legno massiccio e alla mia destra una finestra che dà sul balconcino ricoperto da un prato verde artificiale con un tavolo bianco e quattro sedie dello stesso colore.
<<Non ho ben capito la lezione dell’altro giorno.>> Lo guardo da sotto le ciglia, lo vedo fissarmi con le dita incrociate.
<<L’avevo intuito.>> Mi rivolge uno sguardo serio e scuote la testa.
<<Se non le spiace la prossima volta vorrei andare alla lavagna, così magari riuscirò a capire meglio.>> Dico d’un fiato.
<<Ero al suo fianco in quel momento.>> Porta il suo sguardo contro il mio. <<Perché mi ha mentito?>>
“Perché non ho il coraggio di parlati e guardarti negli occhi.” Sussurra la vocina con tono timido.
<<Non volevo fermare la lezione per causa mia.>>
<<Non dica più una cosa simile, la prossima volta, se dovesse mai avere un problema, non esiti a dirmelo.>> Dice serio in volto.
<<Va bene.>> Mi alzo dalla sedia. <<Arrivederci professore.>>
<<A presto, Serena.>> Mi fa cenno con la mano a mo’ di saluto.
Mi blocco all’istante e vi volto a guardarlo. <<Come fa a sapere il mio nome?>> Chiedo confusa, non ci ha mai chiamati per nome o letto la lista dei nostri nomi ad alta voce a mo’ di appello.
<<Io so tutto quello che c’è da sapere riguardo i miei alunni, signorina Smith.>> Risponde mentre annota qualcosa su un foglio.
Confusa e senza dare una risposta vado via.
Che vuol dire “io so tutto quello che riguarda i miei alunni”?

*

Sono passate due settimane dall’incontro nel suo studio e ancora non riesco a dare una spiegazione alla sua risposta ma in cambio inizio a notare dei progressi ma soprattutto riesco a controllare le reazioni del mio corpo in sua presenza.
<<Posso uscire un attimo? Ho bisogno di prendere una boccata d’aria.>> Interrompo la lezione di scienza tessile.
L’insegnante mi guarda da sopra gli occhiali. <<Certo.>> Esclama. <<Stai poco bene?>>
<<No. Ho solo bisogno di respirare un po’ d’aria fresca.>> La rassicuro. Mi alzo ed esco dall’aula.
Scendo le scale fino ad uscire fuori in un posto isolato dell’accademia. Vedo l’insegnate Aragona bere un liquido solido come fosse gelatina blu sciolta.
Lo vedo anche l’indomani ed i giorni successivi.
Comincio ad incuriosirmi. Cosa sarà mai quel liquido? Perché lo beve? 
Non in grado di controllare la mia curiosità inizio a pedinarlo e giungo ad una conclusione: a seconda della temperatura riscontro in lui degli atteggiamenti strani, odia la pioggia, tanto da non presentarsi a lezione e preferisce di gran lunga temperature elevate ma per mia fortuna la primavera arriva in fretta ma al suo posto in aula entra un’insegnante dall’aspetto orribile e come se non bastasse anche leggermente isterica, si chiama Johnson e girano strane leggende sul suo conto e non voglio pensarci.

*

I giorni passano e io inizio a sentire la sua mancanza a tal punto da sentire una sensazione di delusione e di vuoto ogni qualvolta in aula entra la Johnson.
Perché non ritorna? E se gli fosse accaduto qualcosa?
Non ho più voglia di studiare, i voti sono bassi e tra poco entrerò nella stanza del rettore.
<<Prego.>> Una signora dai capelli rossi e mossi, occhi verdi con addosso un tailleur blu notte e camicia bianca mi fa accomodare nella sua stanza.
<<Si accomodi signorina Smith.>> Incrocia le mani poggiando le spalle allo schienale della poltrona marrone dello stesso colore della scrivania con sopra dei libri, due portapenne e un portatile.
<<C’è qualcosa che non va?>> Chiedo con tono preoccupato.
<<Rischia seriamente di non passare l’anno accademico, è indietro in molte materie, se ne rende conto?>> Mi ammonisce con lo sguardo
<<Se non riprenderà a studiare con costanza dovremmo prendere seri provvedimenti.>> Mi guarda con fare serio. <<Era una delle migliori studentesse, c’è qualche problema?>>
<<No.>> Dico secca.
<<Non voglio ritrovarla ancora al secondo anno al nuovo semestre.>>
La tentazione di chiedergli di Aragona è tanta ma non voglio creare sospetti, cercherò di resistere ancora un po’, la sua assenza improvvisa mi sta divorando, l’ho visto e mi sembra stare bene, perché non viene a lezione? La guardo di sfuggita e i suoi occhi emanano fuoco, è infuriata e vorrei uscire da questa stanza per poter fuggire dalle sue fredde parole. 
Dopo dieci minuti circa di tortura esco dall’ufficio e ritorno a casa in completo silenzio.

*

Ormai sono giorni che lo pedino, mi sento una perfetta stalker, ho scoperto dove abita e ogni giorno lo vado a trovare, ovviamente senza farmi notare, perché ritorna nel suo appartamento con borse piene di pesci?
Dopo cinque minuti circa lo vedo uscire di nuovo portando con sé una canna da pesca e una cassettina in mano. Lo seguo fino al porticciolo e mi nascondo dietro un angolo. Lo vedo aprire i pesci pescati dai quali ricava un liquido, sembra un perfetto professionista, ma chi diamine è quest’uomo? Cosa ci farà con quel liquido?
Mi sporgo di più per guardare meglio e si gira di scatto nella mia direzione.
“Dannazione, mi ha vista!” Mi nascondo immediatamente.
<<Cosa ci fa qui Smith e perché non è a lezione?>> Guarda l’orologio da polso. <<A quest’ora dovrebbe esserci la mia lezione con la Johnson.>>
Tiro un sospiro e mi sporgo per intero. <<Perché voglio lei come insegnante, non la Johnson.>> Rispondo con tono deciso.
Mi fa cenno con la mano di sedermi al suo fianco, mi avvicino a lui e mi siedo sul bordo del muretto mentre faccio penzolare i piedi sopra l’acqua cristallina del mare. 
<<Cosa hanno combinato questi poveri pesci per meritarsi
questa fine?>> Aggrotto la fronte mentre lo guardo aprire un pesce dallo stomaco.
Rimane in silenzio per alcuni istanti. <<Perché non è a lezione?>> Insiste, ignorando la mia domanda.
<<Non si fa una domanda su un’altra domanda.>> Esclamo.
Lo sento tirare un sospiro. <<La mia famiglia è stata sottoposta ad esperimenti. Il mio bisnonno è stato rapito ed ha subito trattamenti scientifici per modificare il suo DNA, gli hanno iniettato nel sangue diverse sostanze provenienti da questo tipo ti pesce.>> Alza quello che tiene ancora in mano. <<E costretto a procreare con la moglie per dare vita a bambini geneticamente modificati.>>
“Esperimenti umani?” Sgrano gli occhi sconcertata. Non credo alle mie orecchie, pover’uomo, avrà sofferto tanto e passato le pene dell’inferno.
<<Una volta in circolo tali sostanze, nel suo organismo è subentrata una sorta di dipendenza da questo...>> Afferra una bottiglietta con del liquido gelatinoso blu. <<E l’astinenza ci fa diventare particolarmente aggressivi.>> Mi guarda in volto con espressione seria. <<Basta un giorno, addirittura qualche ora per diventarci rischiando anche di uccidere chi abbiamo davanti.>>
<<I tuoi genitori sono come te?>> Deglutisco.
<<Il DNA di questa razza la ereditano esclusivamente i discendenti maschi e ci nutriamo quasi solamente di questa sostanza…e io, come mio nonno, l’ho ereditata.>> Spiega serio in volto.
<<È da suo padre che l’ha ereditata?>> Chiedo con un filo di curiosità.
<<No. Dalla famiglia di mia madre.>> Risponde.
Mi guarda in volto.
<<E lei è arrivato ad uccidere mai delle persone?>> Una lacrima si fa strada lungo la guancia.
<<Fortunatamente no, mio nonno mi insegnò ad andare a pesca e così posso nutrirmi facilmente.>>
<<Quindi questo è per lei…>>
M’interrompe. <<Lo può definire un calmante. Comunque, come vanno gli studi?>> Taglia corto cambiando discorso.
<<Beh non tanto bene.>> Tiro un sospiro seguito da un’espressione triste.
<<Per quale ragione?>> Aggrotta la fronte e termina di sviscerare quel povero pesce.
<<Tutto è cambiato da quando è arrivata l’isterica.>> Rispondo infuriata.
<<Non la chiami così, è pur sempre una mia collega e sua insegnante, bisogna portare rispetto a quelli più grandi di te.>> Esclama con aria professionale.
<<Adesso devo andare.>> Si alza in piedi e mi aiuta ad alzarmi poi prima di andare via mi punta il dito contro. <<E riprenda a studiare come si deve.>>
<<Va bene, ma solo se mi promette di ritornare presto.>> Affermo colma di speranza.
Lo vedo tirare un respiro profondo. <<Venga nel mio studio un giorno di questi e la aiuterò a studiare. Adesso andiamo.>> Taglia corto.
Questa è la notizia più bella che potesse darmi in questo momento dopo settimane di agonia, questo vuol dire che ritornerà in accademia a breve! Vorrei fare salti di gioia ma preferisco contenermi e poi dove ho trovato tutto quel coraggio di affrontare un discorso insieme a lui? Scuoto la testa incredula e ritorno a casa.

*

Come al solito esco dall’aula e mi dirigo verso il suo studio felice e spensierata da quando mi aiuta a studiare dopo il suo ritorno in accademia, ma non per fare lezione in aula.
Lo sento parlare con un altro insegnate e anche se so che origliare è sbagliato decido di ascoltare ugualmente la conversazione.
<<Per il momento viene quasi ogni pomeriggio nel
mio studio, le sto dando una mano a studiare.>> Racconta al suo collega.
<<Qual è il problema?>>
<<Mi infastidisce.>> Scuote la testa. <<È diventata molto possessiva.>> Risponde serio in volto mentre fa girare il cellulare tra le dita.
Sento un senso di delusione invadermi, dunque decido di non andare più da lui dal momento che gli creo così tanto fastidio e sarei diventata possessiva, giro i tacchi e ritorno a lezione carica di rabbia e vergogna.

*

Sono passate due ore circa dall’ultima volta che l’ho visto e con mia sorpresa lo vedo entrare in aula. A quanto pare ritorna a fare l’insegnante e per tutta la durata della lezione mi mostro indifferente e distaccata.
Dopo quaranta minuti circa interrompe la lezione. <<Signorina Smith, può seguirmi fuori dall’aula un attimo?>> Mi chiede con occhi glaciali, gli stessi del primo giorno di lezione.
Lo guardo qualche istante poi mi alzo e lo precedo, chiude la porta dell’aula alle sue spalle una volta uscito fuori.
<<Perché sei così fredda con me?>> Chiede serio passando al “tu”. <<Sei così distaccata e non riesco a capirne il motivo.>> Alza le braccia per aria.
<<Se le do così tanto fastidio da essere possessiva
poteva anche dirmelo, avrei tolto immediatamente il disturbo.>> Rispondo con tono irritato.
Aggrotta la fronte, evidentemente confuso. <<Non riesco a seguirti.>>
<<Ho ascoltato la conversazione con il suo collega stamane.>> Confesso rossa in volto e mi maledico subito dopo per averlo spifferato.
Lo vedo sorridere all’istante.
<<Cosa ci trova di così divertente da ridere?>> Chiedo infuriata.
<<Rido perché la ragazza in questione non sei tu ma una mia alunna a cui do ripetizioni e da un po’ di tempo è diventata...>> Si gratta il mento alzando lo sguardo al cielo. <<Direi appiccicosa.>> Dice divertito dalla situazione.
Divento rossa in volto per la figuraccia.
“Maledizione a me e ai miei film mentali.”
<<Non ti farei mai del male.>> Tira un sospiro. <<Ti voglio bene e mi fai stare meglio.>> Mi dà una carezza sul viso. <<A quanto pare mi aiuti a distrarmi da questo strano gene che ho ereditato.>> Piega le perfette labbra in un sorriso.
Sento un calore improvviso partire dalla sua mano contro la mia guancia. Vorrei fare salti di gioia e al contempo sento un senso d’imbarazzo per la brutta figura appena fatta, a quanto pare sembra diventata la mia specialità fare figuracce in sua presenza.
<<Anche io le voglio bene.>> Affermo e d’istinto lo abbraccio ma non appena mi accorgo del gesto mi stacco immediatamente da lui rossa in volto. Lo guardo e mi schiarisco la voce. <<Mi scusi.>> Gli rivolgo un sorriso imbarazzato, lui rimane in silenzio e credo che la cosa migliore sia ritornare a lezione.

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