Capitolo 1

764 21 5
                                    

1



Un anno è passato in fretta e adesso frequento l’ultimo anno dell’accademia e, rispetto agli anni passati, credo che la mia vita sia migliorata di gran lunga rispetto al passato.
Il rapporto con Aragona va alla grande, mi ha aiutata molto con lo studio e anche moralmente con la vita privata rafforzando di più il nostro rapporto.
Grazie a lui adesso sono più tranquilla e non vedo l’ora di ritornare in accademia per rivederlo e parlargli solo per guardalo dritto nei suoi meravigliosi occhi marroni che al sole diventavano quasi verdi e sentire il suo profumo invadermi le narici mi riempie il cuore di gioia e rallegra la mente ma soprattutto mi dà un motivo in più per andare a lezione e studiare.
Ogni giorno aspetto con impazienza che entri da quella porta in pino di Svezia e vorrei tanto bloccare il tempo e deliziarmi della sua presenza finché posso, magari all’infinito… Detesto la Domenica in quanto l’accademia è chiusa e questo è motivo di gioia incondizionata di molti studenti ma non per me. Vorrei vederlo ogni giorno della settimana e più ore possibili al giorno, lui è ormai come una droga per me, in sua assenza la mia mente va in astinenza e se penso a Clare, una ragazza che frequenta il mio stesso corso di studi, il mio sistema nervoso perde le staffe perché da qualche tempo ho notato il tipico comportamento da civetta nei confronti di Aragona e così le lezioni diventano sempre più stressanti, la odio perché coglie sempre la palla al balzo per raggiungerlo nella grande lavagna e farsi spiegare la lezione, ma la verità è solo una: lei approfitta della generosità e gentilezza del mio uomo.
Si “il mio uomo”, mi piace dargli questo vezzeggiativo. Anzi, amo chiamarlo così, mi piace pensare sia mio e di nessun’altra e se Clare iniziasse a studiare con serietà tutti questi problemi non li avrebbe, è una ragazza intelligente, con il massimo dei voti in tutte le materie ma la cosa che più mi dà sui nervi è il suo atteggiamento da civettuola. Durante l’ora di matematica l’insegnante ha la brutta abitudine di creare dei gruppi e fortunatamente Clare è finita in quello della mia amica, Cherol.
Tutto andava a gonfie vele fin quando non entra dalla porta d’ingresso con un sorriso stampato in faccia Clare, mentre con atteggiamento di chi si dà arie si accomoda insieme agli altri del suo gruppo. <<Ho visto Aragona ed è più bello che mai.>> Esclama con tono eccentrico. Mi tappo le orecchie e cerco di concentrarmi sulla lezione obbligando il mio cervello a non sentire la sua voce stridula. <<Oggi indossa un abito grigio chiaro e una camicia nera con i primi tre bottoni aperti, ragazze è…>> Tira un sospiro con espressione sognante.
<<Guarda che a noi non interessa se ti sei innamorata di Aragona.>> Esclama Andrew. <<Tieni i pensieri per te e lasciaci studiare questa orrenda materia incomprensibile in pace.>> Continua. Da oggi lo posso reputare effettivamente il miglior compagno maschio di classe con un po’ di cervello rispetto agli altri, finalmente qualcuno che non corre dietro a Clare come un cagnolino.
<<Ma…>> Borbotta Clare.
<<Clare.>> L’ammonisce con lo sguardo.
<<Ok, ok, ho capito.>> Esclama irritata mentre alza gli occhi al cielo e io non posso che soffocare un sorriso di compiacimento.
Finalmente l’ora passa in fretta e vedo Cherol avvicinarsi a me. <<Devo raccontarti una cosa. La vuoi detta ora o dopo? O meglio ancora…mai?>> Domanda con espressione preoccupata.
<<Lo sai che non so aspettare, dimmi tutto ora.>> Rispondo impaziente.
<<Beh! Ecco…Il punto della questione è Clare.>> Aggrotta la fronte, non le piace per niente parlare di lei perché sa che non provo tanta simpatia nei confronti della nostra adorata compagna di studi.
<<Dai non dilungarti, vai al punto.>> Comincio ad innervosirmi, al solo pensiero di parlare di Clare perdo la ragione.
<<Durante l’ora di matematica, come ben sai, nel mio gruppo c’è Clare e ha detto che oggi Aragona è più bello che mai.>> Sottolinea la frase detta da Clare con le dita come a fare le virgolette.
<<Si, l’ho sentita.>> Esclamo irritata. Tiro un sospiro. <<Mi verrebbe voglia di strozzarla.>> Socchiudo gli occhi per l’odio che provo nei confronti di Clare immaginando la scena ma non posso fare niente altrimenti rischierei una denuncia per lesioni aggravate e l’espulsione dall’accademia per chissà quanti giorni e addio ai miei film mentali mentre Aragona spiega la sua lezione.
<<Voglio chiedergli di farmi da relatore.>> Confesso d’un tratto, senza pensarci due volte.
<<Perché proprio lui?>> Alza un sopracciglio con fare sospettoso. <<Abbiamo altri insegnanti disponibili e alla mano.>>
<<Aragona è perfetto, gentile e pure disponibile.>> Faccio una pausa. <<O almeno spero.>>
<<Che io sappia è già pieno di richieste, nonostante il suo caratteraccio.>>
<<Non ha un caratteraccio.>> Puntualizzo mentre sistemo i libri nella mia tracolla.
<<Ti ricordi il primo incontro con l’aula?>> Mi guarda seria in volto. <<Non parlate, non usate i cellulari, non fate questo e quell’altro.>>
Sento il bisogno incessante di difenderlo come se fosse una cosa dovuta, non voglio che si parli male di lui, odio sentir parlare male del mio uomo. <<Aragona non è come pensi.>>
<<A no? E com’è? Sentiamo.>> Poggia le mani sui fianchi in attesa di una risposta.
<<È un uomo che ha una passione verso l’arte e pretende che gli si porti rispetto.>> Stingo le labbra in una linea sperando di non aver fatto trapelare i miei sentimenti nei confronti del mio uomo.
La vedo socchiudere gli occhi e poi sfoderare un’espressione indagatrice. <<Ti piace.>> Conferma.
<<Chi?>> Faccio l’indifferente.
<<L’insegnate di Arte. Aragona.>> Si avvicina a me più del dovuto ed io faccio due passi indietro.
<<Assolutamente no.>> Scuoto la testa. <<È il mio insegnate e poi non è il mio tipo.>> Borbotto, cercando di essere credibile.
<<Ah, ah.>> Alza un sopracciglio. <<Non ti credo.>>
La guardo di sbieco. <<Be, sbagli.>> Le volto le spalle ed esco dall’aula in fretta prima che mi raggiunga.

***

Più passano i giorni e i mesi e più ho voglia di conoscere cose sulla vita di Aragona, vorrei conoscere il suo stile di vita, i suoi gusti, tutto, ma soprattutto sapere come convive con il gene ereditato.
Lo guardo bere quel liquido seduto sul muretto del porticciolo che dà sul mare, tiro un sospiro e decisa gli corro incontro, mi siedo a cavalcioni sulle sue gambe e lo bacio ma all’istante mi scosta da lui.
<<Mi scusi, non so cosa mi sia preso.>> Dico mortificata. Mi alzo in piedi indietreggiando mentre mi tocco le labbra con le dita, faccio per andare via ma lui mi blocca afferrando il mio polso con una presa salda, mi avvicina a lui afferrando il mio viso con entrambe le mani.  <<Finalmente ti sei decisa, non aspettavo altro che questo momento.>> Esclama e dopodiché poggia le sue labbra contro le mie trasformando tutto in un bacio dolce e lento. Il mio cuore esplode, lo sento battere all’impazzata, le orecchie divampano mentre poggia una mano contro il mio fondoschiena avvicinandomi a sé ponendo fine alla distanza che c’è tra noi e con l’altra affonda le dita tra i miei capelli dietro la nuca. I nostri respiri affannosi si fondono come se fossimo un’unica persona così come i nostri corpi ansimanti e carichi di desiderio l’uno per l’altra, poi il nulla…
Mi sveglio di soprassalto con il cuore che batte a mille, mi guardo intorno e con l’amaro in bocca realizzo che stavo solamente sognando. Mi tocco le labbra ripensando al suo bacio. Sembrava così reale…
Mi alzo dal letto e vado in bagno a lavarmi la faccia e i denti, mi vesto, prendo lo zaino correndo giù per le scale e come al solito saluto i miei saltando la colazione.
<<Tesoro non vuoi niente da mangiare?>> Chiede mia madre dall’altra parte del tavolo.
<<No, mangerò qualcosa al volo in accademia.>> Esclamo, poi esco di casa.

***

Seduta al mio solito posto, assisto alla sua lezione con la mentre tra le nuvole e pensando al sogno che non smette di porre fine alla voglia che ho di baciarlo. Lo guardo da quando è entrato e spesso mi capita di toccarmi le labbra ripensando al bacio ma ogni qualvolta lo faccio divento immediatamente rossa in viso e sento il mio cuore battere all’impazzata.
<<Allora ragazzi, qua c’è un problema bello e buono.>> Esclama Aragona mentre di spalle controlla il calendario accanto la lavagna. <<Vorrei farvi fare una verifica pre-esame.>> Si volta a guardarci con espressione seria e i ragazzi alle mie spalle non perdono tempo per protestare.
<<Ma prof. abbiamo altre materie da preparare oltre la sua. Siamo distrutti e i nostri poveri cervelli fra poco scappano dalla nostra scatola cranica.>> Esclama Andrew, il più spiritoso ma anche il meno studioso dell’aula e per il quale ultimamente provo stima, spera con questo tentativo di riuscire a corrompere l’insegnante e vederci direttamente agli esami.
<<Andrew, lei parla sempre a sproposito.>> Gli lancia uno sguardo serio. <<Mi dispiace ma ho bisogno di sapere se avete tutto ben chiaro. Non ci sarà niente di difficile, state tranquilli.>> Si volta nuovamente di spalle e guarda il calendario per un attimo. <<Giovedì per voi va bene?>> Chiede. Immediatamente in coro esclamiamo un “si” tanto depresso e rassegnato che lo porta a ridere.

***

Il giorno della verifica pre-esame arriva in fretta e con Cherol prepariamo tutto l’occorrente per non perdere tempo.
<<Non preoccuparti, andrà bene.>> Esclama con tono rassicurante.
<<Ho come un lapsus. Non ricordo più niente.>> Dico preoccupata mentre le ginocchia mi fanno Giacomo-Giacomo.
<<Sono sicura che Aragona se ti vedrà in difficoltà ti aiuterà. Ne sono certa.>> Mi lancia un sorriso carico di malizia.
<<Ancora con questa storia.>> L’ammonisco poi lo guardo entrare con un’immensa premura visto il suo ritardo. <<Vi prego di perdonarmi ma il rettore mi ha trattenuto più del previsto.>> Esclama mortificato.
“Com’è adorabile!” Esclama la vocina nella mia mente.
<<Non si preoccupi professore Aragona.>> Cinguetta Clare con un sorriso malefico in viso.
Le lancia un’occhiata indecifrabile mentre sistema i fogli di fronte a sé. <<Non è niente di difficile. Dovrete rispondere a qualche domanda e tracciare qualche linea.>> Ci informa mentre inizia a consegnarci dei fogli con delle misure e altre cose incomprensibili.
Durante la verifica riscontro delle difficoltà in un disegno, come sospettavo all’inizio, ma non ho intenzione di dirlo al mio uomo nonostante in questo momento passeggia tra di noi allievi. Tamburello le dita e muovo le ginocchia a ritmo frenetico.
<<Cosa c’è che non va?>> Chiede materializzandosi al mio fianco.
Faccio un sobbalzo e alzo la testa di scatto. Quando si è avvicinato? Non proferisco parola.
<<Dammi, ti aiuto.>> Sussurra mentre avvicina il foglio a sé. <<Posso?>> Mi indica la matita che ho in mano e ci porto lo sguardo sopra. <<S...si certo.>> Gliela porgo. Le nostre dita si sfiorano e le sue sono stranamente bollenti come se in questo momento avesse la febbre.
Ogni riga che fa mi guarda negli occhi per vedere se ho capito ma come al solito non ricambio lo sguardo e continuo a guardare il foglio per non fargli notare il mio cambiamento di colore sul volto e cercando di non pensare al bacio ed a se le sue labbra sono così morbide come quelle del sogno.
<<Adesso continua tu.>> Mormora mentre mi restituisce la matita e avvicina il foglio a me.
<<Grazie.>> Sussurro rossa in volto.
Piega le labbra in un sorriso e riprende a camminare tra le postazioni.
Mi volto leggermente verso Clare seduta al banco alla mia sinistra e la vedo fissarmi in cagnesco come se le avessi fatto un torto, poi ritorno a guardare il mio foglio.
<<Ehi.>> Cherol mi dà una gomitata sull’avambraccio. <<A quanto pare sei la preferita di Aragona.>> Esclama con tono malizioso.
<<Ma che dici.>> Esclamo, guardandola di sottecchi. <<Non è vero.>> Scuoto la testa.
<<Si certo.>> Alza un sopracciglio seguito da un sorriso malefico.
<<Smettila.>> Le restituisco la gomitata e ritorno a disegnare per tutta la durata del tempo che mi resta.
<<Smettetela voi due.>> Ci ammonisce Aragona con tono duro.
Regola infranta. “Non dovrete parlare tra di voi.”
Divento rossa di vergogna all’istante a differenza di Carol la quale sorride in silenzio. Come fa ad essere così spacciata?
Scuoto la testa e ritorno sul foglio.

***

Durante la pausa pranzo, mentre divoro la mia insalata di pollo, al megafono sento una voce femminile annunciare la mia immediata convocazione nello studio del professor Aragona.
Il cuore salta un battito e guardo Cherol mentre deglutisco a fatica il pranzo.
<<Che aspetti? L’uomo delle tue fantasie ti aspetta.>> Mi fa cenno con la mano di andare da lui.
<<Perché pensi che mi piaccia?>> Domando prima di andare via.
<<Da come ti comporti in sua presenza. Diventi all’istante taciturna con espressione sognante e se ti rivolge la parola o un semplice sguardo diverti rossa come un peperone.>> Spiega come se avesse scopeto un mio grande segreto.
Sbatto le palpebre più volte prima di dare una risposta. <<Non credo proprio. Adesso vado.>> Le rivolgo un sorriso e vado via.
Più mi avvicino a lui e più sento il cuore battere all’impazzata. Raggiungo il suo studio in fretta. La porta è chiusa dunque prima di entrare mi sistemo la camicia blu notte e busso.
<<Avanti.>> La sua voce è serena ma al contempo stanca.
<<Salve.>> Sussurro rossa in volto.
<<Si siediti, dobbiamo parlare.>> Risponde serio.
Entro con passo timido, l’ansia e la curiosità di sapere cosa abbia da dirmi prendono il possesso del mio stato d’animo. Mi siedo difronte a lui e cerco di guardarlo negli occhi.
<<Ho approfittato di qualche ora libera per guardare i vostri lavori e quando sono arrivato al tuo...>> Tira un sospiro.
Cos’è? Delusione? Amarezza?
Poggia una mano sulla fronte. <<Hai fatto degli errori assurdi.>>
<<Si lo so, mi scusi, non riuscivo a concentrarmi.>> Borbotto.
<<Tranquilla.>> Alza il viso guardandomi con occhi stanchi. <<Ti aiuterò io, domani pomeriggio rimani in accademia e ti spiegherò alcune cose.>> Piega le labbra in un sorriso, quelle incantevoli labbra morbide e carnose del sogno, scuoto la testa per cacciare via quel pensiero non appena sento il volto divampare.
<<Grazie, apprezzo molto il suo gesto.>> Rispondo con il cuore in gola. <<A proposito, come va? Oggi l’ho vista particolarmente stanco.>>
<<Niente di cui tu debba preoccuparti.>> Mi rivolge un sorriso stentato e sorpreso per la domanda, d’altronde sono la prima al di fuori della sua famiglia a sapere del suo DNA.
<<Senta.>> Tiro un lungo respiro cercando di raccogliere più coraggio possibile.
<<Dimmi.>> Poggia il gomito sulla scrivania e strofina le dita contro la fronte.
<<Le andrebbe di farmi da relatore?>> Dico con tono sicuro mentre mi alzo dalla sedia.
<<Certo.>> Mi rivolge un sorriso dolce, un sorriso che non gli ho mai visto fare.
<<Non sa quanto mi ha reso felice.>> Avrei voglia di girare dall’altra parte della cattedra e abbracciarlo ma dopo l’imbarazzo dell’ultima volta è meglio se mi limiti a ringraziarlo. <<Grazie infinite.>>
<<Aspetta a ringraziarmi.>> Sorride divertito. <<Dovrai lavorare sodo affinché possa farti passare la tesi. Sono molto pignolo a riguardo.>> Mi guarda adesso con espressione seria.
Smetto di respirare. “In che senso molto pignolo?” Mi taglierà interi capitoli, intere pagine segnate con la penna rossa e quant’altro?
<<Sono pronta ad affrontare tutto.>> Intreccio le dita. <<A domani professore.>>
<<A domani Smith.>> Risponde senza alzare lo sguardo dal foglio.
Esco dallo studio e posso rilasciare il fiato trattenuto per tutto il tempo.
“Diamine se mi crea imbarazzo!” Esclamo tra me e me.
Inizio a salire gli scalini che portano al piano superiore e divoro la mente di domande: sarà andato male solo il mio? Domani saremo da soli o ci saranno altri alunni? Chissà come sarà assistere ad una sua lezione il pomeriggio, dalle sue parole ho notato delusione e io non voglio deluderlo, è l’ultima cosa che voglio provocargli, vorrei che fosse fiero di me e vorrei tanto capire alla perfezione ogni minima cosa di Arte come un tempo, penso al suo consenso per seguirmi durante la stesura della tesi, mi guardo intorno e faccio dei salti di gioia e anche di vittoria, poi ritorno a casa sperando che domani arrivi presto.

***

Sento la sveglia suonare, guardo l’orario e sono le sette del mattino. Prima di andare a scuola, metto un filo di matita per occhi, un paio di jeans attillati blu, magliettina a mezze maniche semi scollata bianca a strisce azzurre, come scarpe delle ballerine nere e degli accessori.
Arrivata in accademia, supero con ansia la mattina. Il pomeriggio arriva in fretta, i minuti passano ma di lui nessuna traccia.
Aspetto in solitudine sul muretto che circonda il giardino dell’ingresso per circa un’ora e mezza e realizzo che per oggi non si presenterà più. Con un senso di delusione ritorno a casa, per cena mangio una mela e mi butto sul letto esausta, cadendo in un profondo sonno.

***

Il giorno dopo, decido di saltare la sua lezione, non voglio neanche guardarlo in viso, questa non è serietà, poteva almeno avvisare chi di dovere che non si sarebbe presentato così da risparmiarmi tutta quella lunga attesa.
<<Ehi! Ehi! Serena fermati un attimo.>> Blocca il mio cammino afferrandomi per un braccio non appena mi vede sfrecciare al suo fianco. <<Perché non sei venuta a lezione?>>
<<Non mi andava.>> Rispondo secca.
<<Non è da te fare così, cosa è successo?>> Chiede sorpreso.
<<Provi ad indovinarlo.>> Dico sempre più infuriata.
<<Dannazione.>> Impreca. <<Hai ragione.>> Si fa dispiaciuto. <<Ho avuto problemi di salute, vieni con me.>> Mi prende per mano e mi porta dove nessuno può vederci, alza la manica della camicia del braccio destro e vedo una grossa macchia blu con diverse diramazioni. <<Sono malato Serena.>> Tira un sospiro seguito da un’espressione rassegnata.
<<Malato?>> Chiedo preoccupata. 
<<Ho la sindrome di Minamata.>> Mi guarda di sottecchi.
<<Che cos’è la sindrome di Minamata?>> Chiedo confusa.
<<Intossicazione da mercurio.>> Tira un sospiro. <<Una volta ingerito, il mercurio si distribuisce in tutti gli organi del corpo umano in meno di sessanta giorni.>>
<<E…e cosa accade?>> Balbetto.
<<Danni permanenti al sistema nervoso, polmonare, al cuore ed ai reni.>>
<<E come l’ha contagiata?>>
<<Pesci avvelenati da mercurio.>> Porta il suo sguardo sul mio. <<Dal momento che mi nutro solo di loro, la malattia ha un effetto devastante e galoppante su di me, si può perdere il controllo e non si è più sé stessi ma la cosa più grave è la morte.>> Deglutisce.
<<M…morte?> Sbatto le palpebre incredula alle mie orecchie.
<<Si.>>Alza lo sguardo sul mio. <<Serena non ti affezionare a me più di tanto.>>
Tiro un sospiro di dolore? O forse di rabbia? Perché proprio a lui? 
<<Io ci sarò sempre per lei.>> Dico d’un fiato mentre mi appresto ad asciugare una lacrima con il palmo della mano.
<<Non piangere.>> Piega la testa di lato. <<È l’ultima cosa che voglio.>>
<<Non sto piangendo.>> Mormoro guardandomi i piedi. <<Scusi se non sono venuta a lezione, sono rimasta delusa per ieri pomeriggio ma non si preoccupi, posso fare qualcosa?>> Lo guardo negli occhi con fare dispiaciuto e noto che stanno cambiando colore, adesso sono quasi blu. <<I suoi occhi. Stanno cambiando…>> M’interrompe.
<<…Colore. Si, è colpa di questa dannata macchia.>> Dice mentre copre di nuovo il braccio con la camicia. <<Oggi pomeriggio vieni a casa mia e ti farò studiare.>> Mi dà una carezza. <<Promesso.>> Piega le labbra in un sorriso.
<<A casa sua?>> Ripeto rossa in volto.
<<Si, a casa mia.>> Sorride lievemente ma non coinvolge gli occhi. <<Credo tu sappia dove si trovi.>> Mi guarda negli occhi. <<Ti ho visto spesso nei paraggi.>>
Divento all’istante rossa, come se fossi stata scoperta a fare un furto. <<Io…io…>> E adesso che gli dico?
<<Non preoccuparti. A dopo.>> Mi saluta con un cenno della mano e va via.
Dannazione! Che vergogna. Poggio la schiena contro il muro e scivolo fino a piegarmi sulle ginocchia. Mi avrà presa per una stalker. Bè, ci penso su un attimo: in effetti un filo di verità c’è ma a fin di bene, per assicurarmi che stesse bene…

***

Giunto il pomeriggio, mi reco a casa di Aragona. Busso alla porta d’ingresso del suo appartamento con il cuore in gola e quando apre vedo dalla sua espressione che nota i traditori dei miei vasi capillari, mi sento divampare il viso ma fortunatamente vedo indifferenza da parte sua. <<Accomodati.>> Mi invita ad entrare. <<Vuoi qualcosa da bere?>>
<<Un bicchiere di acqua, per favore.>> Entro e inizio ad osservare tutte le pareti della casa, sono tappezzate di quadri con vari paesaggi: New York, il ponte di Brooklyn, Parigi, Amsterdam, Piazza degli orologi di Praga, Las Vegas, Roma…
<<Sono tutti i posti in cui sono stato.>> Sussurra al mio fianco.
<<Wow. Le piace viaggiare.>> Esclamo meravigliata.
<<Molto.>> Sorride.
<<Mi piacerebbe tanto andare a Roma. È uno dei tanti sogni che ho nel cassetto.>> Tiro un sospiro.
<<Qual è il primo?>>
<<Cosa?>>
<<Il tuo primo sogno nel cassetto.>> Dice piegando le labbra in un sorriso mentre ci troviamo davanti al quadro della Tour Eiffel e mi porge un bicchiere di acqua.
<<Diventare una stilista.>> Intreccio le dita.
<<Stai studiando per questo. Te lo auguro.>> Poggia una mano sulla mia spalla. D’istinto la guardo.
<<Complimenti per l’arredamento, comunque.>> Cerco di non concentrare l’attenzione sulla sua mano.
Un divano in pelle grigio scuro è posto al centro della stanza e un tappeto persiano bordeaux con sopra un tavolinetto interamente in vetro.
<<Grazie.>> Dice guardandosi attorno. <<Adesso mettiamoci all’opera.>>
Seduta sul divano lo guardo sedersi al mio fianco e iniziamo a studiare.
Mi capita spesso di fissarlo ma quando lui alza lo sguardo io lo abbasso immediatamente provocando in lui un dolce sorriso.
Per tutto il tempo le mie guance insieme alle orecchie sono rimaste rosse come peperoni e ho parlato davvero poco.
Due ore dopo, siamo stremati e finalmente decidiamo di fare una pausa per riposare le menti e rilassarci.
Enea indossa una maglia a mezze maniche grigio fumo e non posso che notare la macchia sul braccio.
<<Perché questa macchia sta facendo cambiare il colore dei suoi occhi?>> Domando incuriosita ma allo stesso tempo preoccupata, non ha una buona cera.
<<Perché mi sta infettando il sangue, lo trasforma da rosso a blu e fa cambiare anche colore agli occhi.>>
<<Ma quanto ha bevuto…si be… quel liquido dal pesce…non ha notato che fosse infetto?>>
<<Di norma si vede dagli occhi ma in quel momento stavo davvero male per guardare le condizioni di quel povero animale, non bevevo il liquido da molte ore ed ero in astinenza.>>
<<Se solo fosse stato più attento non si sarebbe trovato in queste condizioni.>> Credo di aver usato un tono ammonitore ma sono davvero preoccupata per lui, vorrei fare qualcosa per guarirlo, aiutarlo, ma la mia ignoranza a riguardo mi porta a sentirmi completamente inutile.
<<Tutto quello che riguarda la mia vita, il mio organismo, non è così semplice come tu credi.>> Fa una pausa. <<Faccio sempre attenzione a selezionare i pesci ma in quel momento ero annebbiato dal dolore e non potevo perdere altro tempo.>> Mi spiega d’un fiato.
<<Mi dispiace.>> Abbasso il viso mortificata.
Lo sento avvicinarsi a me e poggiare due dita sotto il mento per alzarmi il viso, quando incontro i suoi occhi il cuore salta un battito, li guardo con attenzione, sono quasi completamente blu e le pupille stanno per scomparire del tutto.
<<Ci vede bene?>> Gli passo una mano davanti il viso, sembra ipnotizzato dai miei occhi.
<<Benissimo.>> Poggia la fronte contro la mia e afferra il mio volto con entrambe le mani, credo di aver smesso di respirare, sento il cuore battere all’impazzata e non sono in grado di proferire parola, una mano contro la sua e l’altra sulla sua coscia, stringo la presa sulla mano e tiro un lungo respiro, penso al sogno e al nostro bacio. <<Ho sognato di baciarla.>> Dico d’un fiato senza pensarci.
<<Mmmm.>> Chiude gli occhi e lo sento gemere.
<<Eravamo al porto e lei stava pescando ed io in preda al desiderio l’ho baciata.>> Mi mordo il labbro e sento una scossa di adrenalina scorrere lungo la spina dorsale.
<<Serena?>> Tira un lungo respiro sfiorando a malapena le mie labbra.
<<Si?>> Chiedo trepidante.
<<Forse è meglio se adesso vai via.>> Riapre gli occhi e si scosta accompagnandomi alla porta. <<Buona notte, Serena.>>
<<Buona notte, professore.>> Esco fuori dal suo appartamento, lo saluto con un cenno della mano e vado via.
Sono le nove di sera quando arrivo a casa e dopo aver cenato salgo nella mia camera da letto, tiro un sospiro profondo e mi siedo sul letto, aziono l’MP3 e mentre ascolto le note di una musica dolce e melodiosa decido di buttare giù quattro frasi pensando a lui e senza essermene accorta ottengo una vera e propria poesia d’amore:

“La tua dolce presenza mi fa arrossire.
I tuoi dolci occhi mi rallegrano la visione della vita.
La tua dolce voce mi fa distrarre da tutto e da tutti.
Il tuo dolce profumo mi fa perdere i sensi.
Il mio dolce sogno mi fa soffrire perché so di non poterti mai raggiungere.
Quando mi stai vicino e mi parli hai quella magia di farmi star bene, di farmi volare…
Tutte le sante volte.
Caro dolce Amore Mio anche se so
di non poterti mai avere
Ti Amo e Ti Amerò Per Sempre”

L’indomani decido di farla leggere a Cherol. <<Che te ne pare?>> Chiedo impaziente, ovviamente non le dirò a chi sia destinata.
<<Questa poesia è semplicemente meravigliosa, in poche parole riassumi tutti i sentimenti che provi per lui.>> Risponde allibita. <<Perché non gliela mandi?>> Sventola la lettera.
<<Perché non ho il coraggio, ho paura di rovinare il rapporto che si è instaurato tra noi.>> Affermo preoccupata.
<<A chi è destinata questa meraviglia?>> Domanda maliziosamente.
<<Non posso dirtelo, è una situazione più grande di quanto immagini ma a tempo debito te lo dirò.>>
Cherol annuisce, sa che prima o poi verrà a scoprire tutto, in un modo o nell’altro. <<Ho saputo che Aragona ha chiesto un paio di giorni di malattia, lo sapevi?>> Dice d’un tratto.
<<No, no, non ne sapevo niente.>> Rispondo sorpresa, non ne ho proprio idea, perché non mi ha detto niente?
<<Neanche io, mi ha informata Clare.>> Esclama.
Come fa a sapere tutto?
<<Adesso andiamo in aula, la lezione d’inglese sta per iniziare.>> Dico dirigendomi verso la porta d’ingesso dell’aula.

***

Busso alla porta d’ingresso dell’appartamento di Aragona e l’ansia e la preoccupazione stanno prendendo il sopravvento.
<<Chi è?>> Lo sento dare un colpo di tosse.
<<Sono io, Serena.>> Dico poggiando una mano contro la porta.
<<Oggi non posso Serena.>> Un altro colpo di tosse.
<<Perché?>>
<<Non posso.>>
<<Lasci che l’aiuti.>> Esclamo preoccupata. Adesso i colpi di tosse sono più frequenti.
<<Va via, ti prego.>> M’implora.
<<Apra la porta o rimarrò qui dietro tutto il pomeriggio e se necessario tutta la sera, non mi sfidi.>> Dico d’un fiato.
Lentamente vedo la porta aprirsi, entro ma lui non c’è, mi volto leggermente e non appena lo guardo capisco che sta veramente male, tossisce, suda in continuazione ed è dimagrito molto in pochissimi giorni.
<<Ti prego, va via.>> Mi supplica nuovamente.
<<Non ci penso proprio, mi prenderò cura di lei, non posso lasciarla solo in queste condizioni.>> Insisto. <<Ma che le sta succedendo?>> Lo scruto in viso e lo vedo tenersi il braccio.
<<La macchia sul braccio.>> Lo indico con la mano tremante, si è estesa quasi per tutto lo stesso, è una visione non bella, starà soffrendo da matti e la cosa più brutta è che io non posso farci niente, solamente assisterlo, per quello che posso. Mi sento così inutile e insignificante…
<<Non appena arriverà al cuore sarà la fine, Serena.>> Da un altro colpo di tosse mentre si trascina sul divano.
<<Non dica sciocchezze.>> Ringhio. <<Lei non morirà.>>
<<Si invece, per questo l’altro giorno ti ho detto di non affezionarti a me, sono spacciato Serena e non posso farci niente…>> Mi guarda con occhi sofferenti. <<…e non voglio vederti soffrire.>>
<<Ce la faremo.>> Fisso i miei occhi contro i suoi. <<Insieme.>> Afferro la sua mano, è bollente e sta tremando, la guardo ed è dello stesso colore del braccio.
<<Serena.>> Si porta l’altra mano sulla bocca e dà un ennesimo colpo di tosse mentre raggiunge il divano.
<<Si?>>
<<Grazie.>> Socchiude gli occhi, poi si addormenta con la testa poggiata sulle mie gambe.
<<Non permetterò che questa orrenda malattia l’abbia vinta.>> Sussurro. Gli do un bacio sulla fronte poi mi armo di acqua fredda, panno e tanta pazienza.

***

Dopo quel pomeriggio, ogni mattina mi alzo prima del dovuto per portargli la colazione. Il pomeriggio prendo in considerazione la scusa dello studio e gli preparo da mangiare ma tutto ciò è inutile perché ha deciso di fare lo sciopero della fame.
<<Deve mangiare altrimenti non andremo da nessuna parte>> Peggiora di giorno in giorno.
<<Non voglio niente di tutto ciò, non so se te l’ho detto ma non adoro tanto il cibo che mangiate voi.>> Esclama disteso sul divano con addosso una tuta blu notte e una maglia bianca.
<<E cosa mangia oltre a quel liquido? Me lo dica e gliela porterò subito.>>
<<Solo quel liquido.>> Sorride sardonico. <<Sai pescare?>> Chiede, finalmente si è arreso alla mia testardaggine.
<<In verità no ma posso sempre imparare.>> Lo vedo fare una risata sarcastica, sa che ho il coraggio di farlo pur di aiutarlo. So di essere testarda come un mulo e se dico che farò una cosa, niente e nessuno potrà fermarmi.
<<Sei davvero cocciuta, sono felice di averti conosciuta. Lasciando stare il fatto che non sai pescare, non riconosceresti la razza del pesce che dovresti pescare nonostante te l’abbia fatto vedere e quindi sarebbe tutto tempo perso e io continuo a peggiorare a vista d’occhio. Non c’è più niente che tu possa fare.>> Sussurra ormai rassegnato.
<<Non sia ridicolo, almeno in mia presenza, non si deve arrendere, deve essere forte e resistere a tutto…>> Gli guardo il braccio e lui segue la direzione del mio sguardo.
<<Tutto questo?>> Alza a malapena il braccio terminando la mia frase, sta iniziando a perdere le forze. <<Mi dispiace dirtelo, ma non puoi…non puoi fare più niente. Ormai la macchia sta giungendo al termine e a breve arriverà al cuore e poi…>> Corro verso di lui e con le lacrime agli occhi gli tappo la bocca con la mano per farlo terminare di parlare. Ogni parola che esce dalla sua bocca mi trafigge il cuore e non voglio sentire quella terrificante parola “morirò”.
So che mi provocherà tanto dolore e già sto soffrendo abbastanza solo a vederlo in quello stato. Continua a rimanere coricato sul divano, sudato, tremante e nonostante tutti i canovacci umidi passati sul meraviglioso viso per asciugargli il sudore, quando mi allontano per bagnarlo nuovamente la situazione è punto e a capo. Ha la febbre più alta del dovuto quindi decido di attuare il metodo “nonna Gioele”. Quando ero piccola e avevo la febbre mia nonna mi spogliava e mi immergeva dentro dell’acqua fredda così la temperatura si abbassava.
<<Le sembrerà assurdo quello che sto per dirle.>>
Mi guarda con espressione confusa. <<Cosa dovresti dirmi?>>
<<Si spogli.>> Aragona aggrotta la fronte. <<Santo cielo, si
fidi di me per una buona volta.>> Esclamo priva di pazienza.
Lui annuisce e lo aiuto a spogliarsi lasciandogli solamente i boxer, è davvero magro, gli si vedono le costole e la macchia insieme alle sue diramazioni sta per giungere il cuore con fare minaccioso, rimango a fissare il suo petto ma nonostante ciò decido di non perdermi d’animo.
<<Dov’è il bagno?>> Chiedo in fretta e furia.
<<Perché ti serve il bagno?>> Aggrotta la fronte.
Lo guardo minacciosa ignorando la sua domanda. <<Si alzi.>>
Lui alza un sopracciglio ma si mette a sedere e lo aiuto ad alzarsi e, con passi lenti e sofferenti, finalmente raggiungiamo il bagno.
<<Si segga un attimo sul bordo della vasca.>> Lo aiuto.
Mentre riempio la vasca di acqua fredda noto la sua espressione confusa ma decide di rimanere in silenzio.
<<Adesso deve immergersi qui dentro.>> Indico la vasca piena.
Con un dito tocca l’acqua e immediatamente si ritrae. <<Io non ci entrerò mai qui dentro, non vorrai farmi morire di ipotermia.>> Esclama.
<<Voglio solo aiutarla.>> Sussurro seria in volto. <<L’aiuterà ad abbassare la temperatura oppure la porterò in ospedale.>> Alzo le braccia.
<<Odio gli ospedali, quindi non mi resta che questa opzione.>> Guarda l’acqua con espressione rassegnata e lentamente si immerge fino al collo.
Spero che faccia effetto il più presto possibile. Lo sento rabbrividire, gli afferro la mano per dargli coraggio e qualche minuto dopo il termometro segna una temperatura di trentasette gradi, chiudo gli occhi, tiro un sospiro di sollievo e ringrazio Dio per avermi aiutata.
Lo aiuto ad asciugarsi e ovviamente sento dell’imbarazzo
una volta arrivata ai boxer. <<Forse è meglio se io…>> Indico la porta con il pollice.
<<Si sono d’accordo con te.>> Afferma con un leggero rossore in volto.
<<Rimarrò dietro la porta, non esiti a chiamarmi se avesse bisogno di aiuto.>> Mi incammino verso l’uscita e mi chiudo la porta alle spalle.
Che imbarazzo! Ma n’è valsa la pena, il metodo della nonna non fallisce mai, per mia fortuna.
Mi fa male vederlo così sofferente, senza nessuno dei suoi cari che si prenda cura di lui. Lentamente lo vedo uscire avvolto da un accappatoio blu notte e in totale silenzio entriamo nella sua camera da letto. Alzo le coperte e lo aiuto a sdraiarsi.
<<Sua madre?>> Chiedo d’un tratto.
Alza lo sguardo per incrociare il mio. <<Mia madre cosa?>>
<<Perché non è qui?>>
<<Semplicemente perché non sa che io sia malato.>> Risponde girandosi dall’altra parte.
<<Perché no?>> Non capisco, tutti in questi momenti vorremmo le nostre madri al nostro fianco, ad accudirci e prendersi cura di noi come solo loro sanno fare.
<<Perché suo padre è morto allo stesso modo.>> Rimane a fissare l’angolo del letto opposto a noi con espressione vuota.
Rimango pietrificata. <<La prego di scusarmi per la mia invadenza e la poca delicatezza.>>
<<No, non devi scusarti, non potevi saperlo.>> Si volta a guardarmi con fare gentile. <<Sei la ragazza più gentile che abbia mai conosciuto.>> Strofina le nocche della mano destra contro la mia guancia, chiudo gli occhi e assaporo l’uragano di emozioni che sto provando in questo momento. Il cuore batte all’impazzata e forse è meglio se mi costringo a ritornare a casa per non far insospettire i miei. <<Adesso devo andare.>> Sussurro con rammarico.
<<Tranquilla, sono d’accordo con te. Dovresti ritornare a casa.>> Borbotta da sotto le coperte.
<<Mi preoccupa il fatto di lasciarlo da solo in queste condizioni.>>
<<Starò meglio. Hai fatto più del tuo dovere.>> Mi rivolge un sorriso. <<Nessun’alunna farebbe tutto questo per un suo insegnante.>>
<<Beh, io sono diversa e lei merita tutte le mie attenzioni.>> Afferro la sua mano.
<<Di solito siamo gli incubi di tutti gli alunni.>> Sorride divertito.
<<Be, in effetti lei incute terrore, ma non a me.>> Sussurro con tono divertito mentre sistemo per bene la coperta.
<<Grazie.>> Mi bacia le nocche dolcemente.
<<Le voglio tanto bene.>> Mi alzo dal letto. <<Ci vediamo domattina.>>
<<Va bene.>> Mi bacia un’altra volta le nocche poi chiude gli occhi.
Ritorno in soggiorno e dentro la borsa vedo la poesia chiusa dentro una busta color avorio, me n’ero completamente dimenticata, dunque rientro con passo felino in camera da letto e la poggio sul comodino poi faccio ritorno a casa.

Il mistero dei tuoi occhi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora