Capitolo 19

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Alle dieci di mattina finalmente poggio la valigia sulla sedia della stanza dell’hotel che mi ha gentilmente prenotato lo stilista Pierre a cui sono stata affiancata, inoltre le spese sono tutte a carico suo.
Dieci minuti dopo le porte dell’ascensore si aprono e, mentre mi dirigo nell’ufficio dove si terrà una riunione per noi aspiranti stilisti, vedo Edwige iniziare a parlare su un palco.
Che ci fa qui?
A quanto pare è lui che ci presenterà il programma e quali saranno i nostri compiti iniziali.
Terminata la riunione con passo svelto lo raggiungo. <<Ciao.>> Poggio una mano contro la sua spalla per farlo voltare verso di me.  
<<Ciao.>> Risponde entusiasta. <<Come sei finita qui?>> Alza le braccia per mostrare la maestosità che ci circonda: lunghi tendoni in velluto rosso ricoprono le finestre ove tra una e l’altra vi sono diverse foto di modelle che percorrono la passerella durante le sfilate. Le sedie, innumerevoli, sono in tinta con le tende ed infine un palco e al centro di esso un lungo banco con cinque microfoni.
<<I miei ex datori di lavori mi hanno messo in contatto con uno degli stilisti di Parigi, Pierre Dubois.>> Lo informo con espressione felice. <<E tu? Come mai eri su quel palco a spiegarci i nostri futuri passi?>>
<<È una lunga storia.>> Mi cinge il braccio con una mano e tira un respiro profondo. <<Senti, che ne pensi se andassimo a cena? Così, per ricordare i vecchi momenti e mentre colgo l’occasione per raccontarti come sono arrivato qui, ti porto in un bel ristorante.>> Piega le labbra in un sorriso.
<<Meglio se facciamo una passeggiata e mangiamo un panino, non vorrei fare tardi, domani mi attende una lunga giornata e mi devo alzare all’alba.>> A quanto pare il lupo perde il pelo ma non il vizio, Edwige è sempre stato un donnaiolo, coglie sempre la palla al balzo e di solito tutte cascano dinanzi alla sua galanteria, non io però.
Fa un sorriso. <<Va bene.>>
Dunque iniziamo a camminare verso l’uscita dell’hotel.
<<Come sei arrivato qui?>>
<<Dopo la laurea, grazie ad un amico, ho scoperto un concorso e mi sono iscritto, c’era solamente un posto disponibile.>>
<<Cosa riguardava?>>
<<Diventare vicepresidente in una delle case di moda più famose di Parigi, grazie a Dio sono stato il vincitore ed ora mi trovo qua. Tu?>>
<<Beh io dopo la laurea ho lavorato in una sartoria, ho incontrato due persone meravigliose che mi hanno accompagnato nella mia carriera lavorativa, sono i proprietari della sartoria e grazie a loro ho conosciuto il mio attuale capo, è uno stilista bravissimo, non ci siamo ancora incontrati ed è per questo che ho appuntamento nel suo ufficio.>> Tiro un lungo respiro. <<Sono contenta di averti incontrato.>> Affermo contenta.
<<Per quanto tempo starai qui?>> Chiede fermandosi per guardarmi negli occhi.
<<Una settimana, purtroppo.>> Rispondo con espressione. malinconica.
<<Perché purtroppo?>> Alza un sopracciglio confuso.
<<La mia vita in America non è facile, ho passato momenti terribili, ho conosciuto un uomo e purtroppo ha perso la memoria a causa di un incidente e non ricorda niente di noi. A peggiorare le cose, la sua ex ragazza la quale si sta approfittando di lui in quanto ricorda solo lei e i suoi cari. Stavo entrando in depressione e da quel momento i miei genitori mi stanno col fiato sul collo, non si fidano delle mie azioni, ho accettato di venire qui per allontanarmi un po’ da loro nella speranza che quando ritorni si siano sistemate un bel po’ di cose.>>
<<Perché non rimani qui a Parigi? Metterò una buona parola su di te con il capo.>> Dice con tono scherzoso ma al contempo vedo un filo di serietà. 
<<La mia vita è a Los Angeles, anche se sono qui, il mio cuore e la mia mente sono nel mio paese, dall’uomo che amo. Potrei accettare la tua proposta se fossi qui con lui ma dal momento che sono in questa situazione preferisco tornare a casa.>>
<<Ti manca, vero?>>
<<Si molto, non sai quanto.>> Rispondo malinconica ed in questo momento è come se un coltello stesse trafiggendo, per l’ennesima volta, il mio cuore, poi rimango in silenzio percorrendo la strada che porta ad una tavola calda.

                               ***

Guardo l’orario dal cellulare e sono le nove di sera, non posso rimanere per sette giorni rinchiusa in questa stanza d’hotel, dunque mi vesto in fretta e vado nel bar vicino l’hotel insieme ad una ragazza italiana che ho conosciuto alla riunione per aspiranti stilisti, Claudia.
<<Ehi ciao.>> Mi siedo in uno degli sgabelli alti del bancone in marmo. <<Un Aperol Spritz per favore.>> Ordino al barista, un ragazzo moro robusto dagli occhi neri.
<<Per me uno scotch.>> Ordina Claudia.
<<Potete accomodarvi, vi manderò un cameriere con il vostro ordine.>> Enuncia il barista, indossa un pantalone nero come il gilet ed una camicia bianca.
<<Salve, di chi è l’Aperol Spritz?>> Chiede alle mie spalle una voce maschile, una voce che conosco abbastanza bene, il cuore salta un battito e le mani iniziano a tremarmi, mi volto lentamente fino ad incontrare lo sguardo di Enea.
Deglutisco e tiro un sospiro profondo. <<Come sapevi dove fossi?>>
<<Matías.>> Mi porge il drink con fare gentile, socchiudo gli occhi ed inizio a preoccuparmi per quel pover uomo. <<Non l’avrai mica aggredito per fartelo dire?>>
<<Ho imparato a gestire la rabbia.>> Piega le labbra in un sorriso. <<Imparo in fretta.>>
<<Perché sei venuto fin qui?>> Chiedo circospetta. <<L’ultima volta sono stata abbastanza chiara, mi sembra.>> Dico con tono gelido, devo capire se è realmente cambiato come dice, non voglio più ripetere quei brutti attimi: le sue mani addosso intente a farmi del male, così come i suoi baci pieni di odio, io rivoglio il mio Enea, quello dolce e premuroso.
<<Non potevo rimanere a Los Angeles con le mani in mano, non ce la facevo più, devo parlarti, vieni con me.>> Afferra la mia mano. <<Temo che la tua amica dovrà aspettare un po’.>> Sussurra Enea.
Senza proferire parola decido di dargli un’ultima chance e fare come dice, lascio i soldi per pagare il mio drink a Claudia, guardo la sua espressione confusa, come darle torto, le rivolgo un sorriso, mentre vedo Enea prendere i miei soldi e restituirmeli.
<<Perché?>> Aggrotto la fronte.
<<Offro io.>> Stringe la presa sulla mia mano. <<Andiamo.>> Mi trascina fuori iniziando a camminare fino a giungere in un posto incantevole: un prato verde ricoperto da diversi fiori di vari colori, delle panche sparse e piste ciclabili ma ad attirare la mia attenzione una tovaglia scozzese rossa e bianca stesa per terra.
Enea mi fa cenno con la mano di sedermi, è agitato e…imbarazzato di fronte al mio sguardo che imperterrita non ho tolto dal suo viso da quando mi ha fatta sedere.
<<Mi dispiace averti trattato in quel modo, forse l’ho fatto perché a te ci tenevo e non me ne rendevo conto. Non ti ho mai ringraziato per tutto quello che hai fatto per me mentre ero in ospedale, nessuno mai si è preso cura di me come hai fatto tu, sei dolce, premurosa e…>> Tira un respiro profondo. <<E gentile, nonostante il trattamento che ti riservavo.>> Si china in avanti e mi afferra la mano con dolcezza. <<Ho capito che ci tieni veramente a me, anche se ho perso la memoria hai insistito tanto facendomi fare quel percorso venendo in ospedale e quando ti ho incontrata al bar, beh, lì non me lo perdonerò mai. Io credo che in quella storia, che mi raccontasti prima di portarmi a pesca e ricordarmi che avessi una malattia, c’era dolore, sofferenza e questo mi dispiace perché forse l’ho creato io il disordine dentro te. Sto cominciando a capire quanto vali per me e, anche se non ricordo niente, potremmo provarci, almeno fin quando vivrò, visto il perfido gesto che mi ha fatto Adelaide.>> Mi guarda negli occhi e tira un respiro profondo. <<Chiudi gli occhi.>> Sussurra con tono fievole.
Sento le lacrime solcarmi copiose il viso. Sapevo che tutti i miei sforzi non sarebbero andati in fumo e che alla fine si sarebbe anche minimamente ricordato di me.
Deglutisco e faccio come dice lui, lo sento avvicinarsi a me, il suo respiro caldo colpisce la pelle delle mie guance ancora bagnate, mi bacia asciugandomi le lacrime che non smettono di scendere, afferra il mio viso con entrambe le mani e poi accade quello che ho sempre desiderato: poggia le sue labbra contro le mie in un bacio, mi abbraccia, mi stringe a sé come se non ci fosse un domani. <<Perdonami.>> Sussurra. <<Perdonami per tutto il male che ti ho fatto.>> Poggia la fronte contro la mia.
<<Enea, come faccio a...>> Tiro un lungo respiro per riprendermi dal bacio.
<<Capisco.>> Si siede sui talloni. <<Non posso pretendere il tuo perdono dopo tutto l’inferno che hai passato per causa mia.>> Abbassa la testa fissando un punto qualsiasi della tovaglia.
Sento il cuore rimpicciolirsi, gli guardo le mani e vedo che sta tremando, non posso e non voglio aumentare la sua agonia, afferro le sue mani. <<Volevo dire che non posso non perdonarti.>>
Alza la testa con movimento veloce e i suoi occhi sono adesso lucidi.
<<Perché ti amo. Non ho mai smesso di amarti, nonostante tutto.>> Poggio la mano contro la sua guancia.
<<Devo prima dirti una cosa.>> La sua espressione ritorna seria. <<Ho fatto una cosa terribile e non me lo perdonerò mai.>> Tira un lungo respiro.
<<Non cambierò idea su di te.>> Lo rassicuro. Cosa può aver mai fatto di così terribile che non ha fatto già?
<<Il giorno in cui tu partisti, io corsi in aeroporto per raggiungerti e pregarti di non partire ma tuo padre mi disse che ormai era troppo tardi. Litigai con una guardia all’ingresso per aver parcheggiato la mia auto dove non dovevo.>> Tira un lungo respiro. <<Serena, io…>>
<<Non preoccuparti, continua.>> Lo incito a parlare anche se non so se voglio sapere o meno che fine abbia fatto quel pover’uomo.
<<L’ho costretto a salire nella mia auto e l’ho consegnato al peggiore degli scagnozzi di Adelaide.>> Si strizza gli occhi. <<E se penso all’espressione della guardia: paura, rimorso, rassegnazione alla morte…>> Si afferra la testa. <<L’ho fatto uccidere solo perché voleva arrestarmi.>>
<<Non eri in te, Enea.>> Non posso dargli colpa di una cosa che realmente non avrebbe mai fatto se non fosse stato sopraffatto dalla malattia, lui non farebbe del male neanche ad una mosca.
Alza la testa per un attimo guardandomi negli occhi. <<Sono un mostro, Serena.>> Poi abbassa di nuovo lo sguardo.
<<Dov’è Adelaide in questo momento?>>
<<Non lo so, non le ho detto niente.>>
<<Non sa che sei qui?>>
<<Probabilmente sì o forse no, non lo sa neanche Tom.>> Si passa una mano sul volto. <<A tal proposito, devo informarti della loro attuale situazione.>
Sgrano gli occhi sconvolta. <<In che senso?>> Borbotto.
<<L’ultima volta che l’ho visto è stato il giorno in cui, si beh, quando Adelaide ci ha raggiunti nella mia stanza e tu…>>
<<Non ricordarmelo per favore, mi sento terribilmente sdegnato nei miei confronti. >> Sussurra adirato.
<<Non era colpa tua, eri nel bel mezzo della trasformazione, gli è successo qualcosa?>>
<<Sta insieme ad Adelaide.>> Dice d’un fiato.
<<Cosa?>> Sgrano gli occhi sconvolta, non avrei mai pensato ad un gesto simile da parte di Tom, mi ha ingannato per tutto questo tempo, perché? È stato così protettivo nei miei confronti. <<Da quando?>>
<<Dopo che l’ha aggredito in palestra.>>
<<Quindi tutti i consigli su di te, l’uscita organizzata, era una cosa schifosamente pianificata?>>
<<Mi dispiace dirtelo, ma…si.>> Fa una pausa, durante la quale regna il silenzio e l’indignazione, poi mi racconta quando Tom è entrato nel losco e sadico giro di Adelaide, mi fornisce dettagli sconcertanti dell’incidente che gli ha provocato la perdita di memoria, di chi l’ha provocato, mi racconta di come ha scoperto della relazione tra il cugino e Adelaide, mi racconta tutto pure cosa gli ha fatto ricordare me.
<<Quando ero in auto, di ritorno dall’aeroporto, dopo che ho lasciato quel povero poliziotto al…>> Tira un respiro profondo. <<…suo orrendo destino, ascoltavo la radio e hanno trasmesso la musica di quando ballammo al ballo dei laureandi.>>
<<Dopo tutto quello che ho fatto per aiutarti a ricordare...>> Scuoto la testa incredula. <<È bastata una…>>
<<Musica per ricordarmi di quel meraviglioso ballo, che potevo toccarti, sfiorare la tua pelle e sussurrarti all’orecchio davanti a tutti senza destare sospetti.>>
<<Cosa ricordi poi?>>
Scuote la testa. <<Niente.>> Risponde con tono deluso.
<<Non preoccuparti, ricominceremo da capo.>> Gli rivolgo un sorriso nella speranza si rassereni. <<Ormai sono quasi le sei del mattino, ti va di guardare l’alba?>> 
<<Va bene.>> Piega le labbra in un sorriso afferrando il mio bacino per farmi voltare di spalle.
<<Vieni qui.>> Mi avvicina a sé ed io poggio la nuca contro il suo petto, le sue braccia mi cingono i fianchi stringendomi più che possono come se non ci fosse un domani. 
<<A proposito della tua malattia, come la mettiamo ora?>>
<<Adelaide era un’umana comune quando ha deciso di trasformarsi dal nulla e per questo è stata in coma. Io, avendo ereditato il DNA, non so cosa mi riserverà il futuro perché a peggiorare le cose c’è la sindrome di Minamata. Il liquido non mi fa più effetto da un po’ di tempo e la macchia è ferma a pochi centimetri dal cuore da una settimana. >>
<<Troveremo un modo per farti ritornare com’eri un tempo.>> Mi volto a guardarlo e gli poggio una mano sulla guancia in una carezza. <<Anche se a dirla tutta, gli occhi blu ti donano.>> Sussurro con tono fievole.
<<Grazie, sei gentile a consolarmi su questo punto.>> Piega le labbra in un sorriso.
<<Ritorniamo in hotel? >> Sono esausta. Da quando è arrivato Enea a Parigi le ore sono passate come il vento. Guardo la prima luce dell’alba illuminare l’incantevole paesaggio naturale che ci circonda.
Non voglio cantare vittoria ma finalmente, nonostante la trasformazione, sento che Enea pian piano sta ritornando quello di un tempo, bisogna solamente ricominciare la nostra relazione da capo, senza Adelaide tra i piedi ovviamente.


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