Capitolo 13

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Penso a tutti i bei momenti passati insieme ad Enea e ogni volta che mi costringo a ricordare è come se un coltello mi trafiggesse il cuore, poi solo il vuoto.
Mi ha scambiata per Adelaide e questo non ha fatto altro che peggiorare le cose. La seduta di yoga con Tom e le altre ragazze non ha dato frutti e adesso sono più nervosa e ansiosa di prima, ho paura a rivederlo e se non mi ricordasse mai più? La mia vita non ha più senso senza di lui, ormai Enea è la mia ragione di vita, colui che mi dà un motivo in più per andare a lavorare, per vivere, per andare avanti. Penso alla festa che diedi per festeggiare la mia laurea, a quando lo trovai come imbambolato seduto sul mio letto a fissare una mia foto, a quando avevo ed ho tutt’ora un enorme desiderio di abbracciarlo e baciarlo ogni volta che lo vedo, vorrei stringere quelle braccia possenti e baciare quelle labbra così carnose e morbide fino a farmi perdere la ragione, vorrei che le sue dita mi carezzassero con una tale delicatezza da farmi rabbrividire, come solo lui sa fare, respirare il suo incantevole profumo e perdermi nei suoi occhi.
Vorrei tanto sapere la dinamica dell’incidente. È stato accidentale o provocato? Perché stava venendo da me? Cosa voleva dirmi?
Tutte queste domande mi porteranno alla rovina. Non rassegnata metto il pigiama e vado a dormire sperando che domani sia un giorno migliore.

                               ***

L’indomani mi vesto in fretta e furia, la sveglia non è suonata e arriverò in ritardo a lavoro. Indosso un paio di jeans, un cardigan rosso, scarpette ed un giubbotto pesante visto che fuori si gela. Salto la colazione nonostante mia madre mi prega di bere almeno una tazza di latte, la ignoro ed esco fuori correndo, salgo in auto e parto ma quasi a metà strada vedo la macchina balbettare. <<Come se ne avessi pochi di problemi, mannaggia, questa non ci voleva.>> Impreco mentre scendo dall’auto, apro il cofano e ci infilo la testa dentro, sembra tutto apposto, o almeno credo, io non capisco niente di motori e di macchine in generale.
<<Scusi, ha bisogno d’aiuto?>> Sussurra una voce maschile alle mie spalle, questa voce la conosco fin troppo bene motivo per cui sento il cuore iniziare a martellare e le mani a tremarmi.
Mi volto lentamente e lo vedo: indossa un paio di jeans blu, una maglia nera e un giubbotto di pelle dello stesso colore dei pantaloni, un look fuori dal suo stile, è semplicemente bellissimo, non riesco a proferire parola.
<<Ah ma tu sei la ragazza dell’ospedale, Serena, giusto?>>
<<Ehm s…si. >> Balbetto. <<Non ricordi nient’altro di me?>> La speranza è ultima a morire anche se sono consapevole che rimarrò terribilmente delusa dalla sua risposta.
<<Ricordo solamente che ho fatto un orribile figura quando mi sono svegliato all’ospedale, insomma ti ho scambiata per la mia fidanzata, Adelaide, non è una cosa da niente che passa inosservata.>> Risponde dispiaciuto.
All’udire la parola "fidanzata" associata all’orribile nome Adelaide è come se iniziasse a mancarmi l’aria, indietreggio fino a sbattere contro il cofano dell’auto e ci poggio le mani per sostenermi, Enea a quanto pare nota la mia reazione e mi afferra per i fianchi, aiutandomi a stare all’in piedi.
<<Ehi tutto apposto?>> Chiede con espressione preoccupata,
sento le sue calde mani sulla mia pelle dal momento in cui le ha messe sotto il maglione e non mi spiego il perché, lo guardo dritto negli occhi. <<Si ora va un po’ meglio, la macchina non parte, devo andare altrimenti arriverò in ritardo a lavoro.>> Mi divincolo dalla sua presa, prendo le chiavi, chiudo il cofano e l’auto, poi inizio a camminare, se tutto va bene dovrei arrivare in sartoria tra circa trenta minuti.
<<Ehi dove vai a piedi? Sali in macchina, ti do un passaggio io, dove lavori?>> Mi grida alle spalle.
L’istinto mi dice di ignorare la sua proposta e continuare a camminare, ho paura che Adelaide ci veda insieme e mi farà soffrire più di quanto soffra adesso.
<<No grazie, preferisco fare quattro passi.>> Rispondo dispiaciuta ma il cuore mi grida di salire su quell’auto ed approfittare del lasso di tempo fino ad arrivare in sartoria, vorrei tanto bloccare il tempo, parlare all’infinito con lui nella speranza di fargli ricordare tutta la nostra storia e soprattutto chi sia veramente Adelaide, ho una gran voglia di abbracciarlo, stare tra le sue braccia, di baciarlo e lasciarmi avvolgere dal suo meraviglioso profumo ma tutto questo non mi è concesso.
<<Dai insisto, vorrei farti alcune domande.>> Cerca di convincermi con tono implorante.
<<Che domande?>> Mi volto a guardarlo con le mani dentro le tasche del giubbotto per tenerle al caldo.
<<Sali in macchina e ti dirò tutto.>> Mi indica la sua nuova auto, un bellissimo SUV grigio della Mercedes Benz.
Al diavolo Adelaide, in fin dei conti non stiamo facendo niente di male.
<<Allora? Queste domande?>> Chiedo impaziente mentre salgo in auto.
<<Dopo aver parlato con Tom, ho capito di aver cancellato un bel po’ di anni dalla mia memoria quindi mi domandavo se tu potessi aiutarmi su un particolare argomento.>> Chiede una volta messo la cinta.
<<Certo, dimmi.>>
<<Ricordo di avere una particolare alimentazione che ho sempre ricavato da un tipo di pesce ma non ricordo quale.>> Chiede con espressione confusa.
<<Questo è un argomento davvero delicato.>> Rimango colpita dalla domanda, questo è un problema perché io non so pescare. <<Portami al porto.>> Taglio corto. Avviso il mio datore di lavoro con un SMS che ritarderò.
<<Adesso? Farai tardi al lavoro.>> Esclama dispiaciuto.
<<Non preoccuparti, la tua alimentazione è più importante.>> Tiro un sospiro.
<<Se proprio insisti…>> Mette in moto. <<…Ci andiamo.>>
<<Ricordi cosa ti accade se non bevi il liquido con una certa costanza?>>
<<Tom mi ha spiegato tutto nei minimi dettagli.>> Risponde con tono serio. <<E so anche che hai rischiato la vita pur di starmi accanto.>>
<<Ma di tutto questo non ricordi niente.>> Sussurro con un nodo in gola.
Si volta a guardarmi. <<Serena.>>
<<Tranquillo, hai un vuoto di memoria, non è colpa tua.>> Gli rivolgo un sorriso ma senza coinvolgere gli occhi.
<<So che è difficile per te ma io amo Adelaide.>> Si fa dispiaciuto.
<<Potresti per favore non nominarla? Non in mia presenza almeno.>> Tiro un sospiro per colmare i nervi e il dolore che mi perfora il cuore.
“Io amo Adelaide.”
Non avrei mai creduto di poter sentire quelle parole uscire dalla sua bocca, tantomeno per Adelaide, non può amarla, non può provare un sentimento così forte per una persona così spregevole, n on può e basta.
Non riesco a dargli una risposta, preferisco rimanere in silenzio e aspettare di arrivare in fretta a destinazione.

                               ***

Dieci minuti dopo arriviamo al porto.
In totale silenzio scendo dall’auto e cerco nel porta bagagli una canna da pesca e dopo una ricerca ben accurata ne trovo una con delle esche, sicuramente Tom si è preoccupato di mettere tutto il necessario affinché Enea potesse andare a pesca, non tenendo conto del suo vuoto di memoria.
<<Ricordi come si fa?>> Gli indico la canna.
<<Si certo, mio nonno mi ci portava sempre.>>
<<Beh allora andiamo.>> Camminiamo fino a giungere il bordo di un muretto. <<Il pesce che hai sempre pescato è blu a strisce gialle.>> Lo guardo in viso. <<E solo con questo tipo di esca riuscirai a prenderlo.>>
Qualche minuto dopo Enea riesce a pescare il primo pesce dunque afferro un coltello da dentro la cassettina e glielo porgo.
<<Taglialo in orizzontale, troverai una sacca e lì ci sarà il liquido blu, dopodiché lo berrai.>> Gli spiego.
Enea, perplesso e in silenzio esegue gli ordini.
<<Hm è davvero buono, ne vuoi un po’?>> Domanda porgendomi il pesce.
<<No grazie, una volta ho insistito perché me lo facessi assaggiare e nonostante il tuo avviso ho corso il rischio. Non ho il piacere ripeterlo nuovamente.>> Gli rivolgo un sorriso.
<<Bene, perché mi nutro proprio di questo liquido?>>
Chiudo gli occhi e tiro un respiro profondo, poi li riapro e fisso l’Oceano dinanzi a me iniziando a raccontargli la storia della sua famiglia.
<<Quindi questo è il mio cibo? La mia…come dire…camomilla?>> Domanda allibito.
<<Si, a casa tua e in macchina hai delle bottigliette piene quindi se ti dovessi sentire male bevine immediatamente una.>>
Non capisco perché non ricorda questa parte della malattia, ricorda delle giornate in cui andava a pesca con suo nonno ma non rammenta da quale pesce ne ricava il liquido.
<<Faccio ancora l’insegnante oppure ho un lavoro?>> Domanda confuso.
<<Dopo che mi sono laureata hai accettato un lavoro come architetto, in un ufficio.>> Rispondo in tutta tranquillità, sono felice di rispondere a tutte le sue domande, così capirà quanto sono stata e sono vicina e presente nella sua vita.
<<Bene e la mia assenza chi l’ha giustificata?>> Chiede lecitamente.
Scontata come domanda vista la sua lunga assenza da lavoro.
<<Tom, il giorno dopo l’incidente ha spiegato tutto al tuo superiore e ora saresti in malattia, dovresti essere a casa e non in giro.>> Lo ammonisco con espressione seria.
<<Ah bene, cercherò di ritornare a casa presto allora.>> Dice con tono sarcastico come se fosse un bambino che esegue gli ordini della madre dopo averlo rimproverato, è così dolce e ascolta con attenzione tutto quello che gli racconto.
<<Ora però portami a lavoro altrimenti farò davvero tardi.>> Esclamo sorridendo, vorrei tanto passare altro tempo insieme a lui ma per motivi diversi entrambi dobbiamo ritornare ognuno per la propria via, io in sartoria e lui a casa per giustificare il periodo di convalescenza.
<<Va bene.>> Come un galantuomo mi fa alzare da terra e ci dirigiamo verso l’auto.
<<È raro che mi fidi di una persona.>> Sussurra rompendo il silenzio mentre ingrana la quarta. <<E non so spiegarmi il motivo ma riesco a fidarmi ciecamente di te.>>
Mi volto a guardarlo: ha i lineamenti del volto tesi e le nocche che stringono lo sterzo sono adesso bianche.
<<Come se ti conoscessi da tempo.>>
<<In realtà ci conosciamo da diversi anni ormai.>> Rispondo con un nodo in gola. <<Ed io sono più di una semplice conoscenza per te.>> Una lacrima mi riga la guancia ma appresto ad asciugarla con il palmo della mano, Enea afferra la mia mano poggiata sulla mia coscia. <<Mi dispiace così tanto.>> Si fa dispiaciuto. <<Ho davvero cercato di ricordarti ma non riesco nel mio intento.>> Stinge di più la presa ma dopo qualche secondo riporta la mano sullo sterzo, mi volto a guardare fuori e non riesco a credere ai miei occhi.
<<Come fai a…>> Deglutisco. <<Ricordi dove lavoro.>> Esclamo estasiata.
<<A quanto pare.>> Piega le labbra in un sorriso. <<Per tutto il viaggio sono stato consapevole di stare andando in un posto da me conosciuto ma non sapevo quale fosse.>>
<<Come se a guidarti fossero state le tue gambe.>> Sgrano gli occhi incredula, sorride e sulla guancia gli si crea quella fossetta che tanto amo, d’istinto gli carezzo la guancia ed Enea non accenna a spostarsi, al contrario piega la testa contro la mia mano, tira un respiro profondo poi mi guarda serio in volto. <<Vorrei tanto poterti ricordare.>> Sussurra con tono fievole.
Non riesco a proferire parola, so che se parlerò scoppierò a piangere dunque avvicino il suo viso al mio e lo bacio: una scossa si fa strada lungo tutta la colonna vertebrale e le orecchie mi divampano.
<<Serena.>> Mi allontana da lui lentamente. <<Forse è meglio se andassi adesso.>>
<<Scusa.>> Rispondo mortificata, sento le guance divamparmi e il cuore in tachicardia. Scendo dall’auto ma prima di andare via mi volto a guardarlo. <<Grazie per il passaggio.>> Mi poggio contro il portello ancora aperto.
<<Sono io quello che dovrei ringraziare.>> Esclama piegando le labbra in un sorriso.
<<A presto allora.>> Lo saluto e vado via con l’anima in tempesta e il cuore in subbuglio.
Prima di oltrepassare la soglia d’ingresso della sartoria tiro un bel respiro e con un sorriso sulle labbra entro.
<<Salve a tutti, scusate il ritardo, purtroppo la macchina ha deciso di lasciarmi a piedi.>> Mi giustifico.
<<Non preoccuparti.>> Risponde il mio capo. <<Dobbiamo dirti una cosa.>> Guarda la moglie con espressione felice.
Sento l’ansia assalirmi, cosa devono dirmi di così importante?
<<Ricordi lo stilista?>>
Faccio cenno con la testa, sento il cuore battermi forte e divento sempre più ansiosa, forse non vuole più vedermi, chi si azzarderebbe a rimandare un appuntamento con uno stilista? Solo una pazza scellerata come me ma avevo tutte le mie buone ragioni per farlo.
<<È molto impaziente di vederti, dobbiamo solamente confermare l’appuntamento.>>
<<Per me anche ora.>> Rispondo felice.
<<Bene, l’appuntamento si svolgerà a Parigi.>> Esclama felice la moglie.
<<A Parigi?>> Ripeto stupita.
<<Si, è dovuto ritornare per motivi di lavoro ma ti vuole conoscere ugualmente. Partirai tra due settimane.>> Interviene Matìas.
Vorrei fare salti di gioia ma per il momento mi limito ad abbracciare entrambi sperando che il giorno della mia partenza arrivi in fretta.



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