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Sono passate due settimane dalla festa e con Enea viviamo la nostra storia d’amore in gran segreto, ci incontriamo solamente il Sabato e la Domenica a causa degli impegni lavorativi, quando stiamo insieme dico ai miei genitori di essere con Cherol, siamo ormai migliori amiche da anni, lei mi sostiene in tutto e viceversa, insomma ci lega una profonda amicizia ma nonostante tutto ancora non sa chi sia il destinatario di quella poesia, non le ho detto di me e di Enea, so che potrei dirglielo e forse capirà ma ho paura che accada tutto l’opposto e farà di tutto, per il mio bene, affinché possa separarci e io non voglio che accada, Enea è la mia ragione di vita e adesso che possiamo vivere la nostra storia d’amore legalmente non posso permettermi che qualcuno si metta tra noi separandoci.
Enea ha accettato un nuovo lavoro in un ufficio come architetto dove a quanto pare ha fatto subito successo grazie alle sue capacità lavorative mentre io adesso inizierò a lavorare presso una sartoria, Il Taglio D’Oro, dove i proprietari Matías e Giulia, sono una coppia sposata italo-francese.
Oggi è il primo giorno di lavoro e sono davvero emozionata. Entro nella reception dalle pareti rosso fuoco, difronte un’insegna ovale in legno con il nome della sartoria, alla mia sinistra il banco con un divano porta spilli in miniatura, tappezzato con della stoffa rossa e gialla, a seguire un porta caramelle con dentro delle golosità morbide alla frutta ricoperte di zucchero, un porta penne e accanto al banco un camerino con una tenda dal tessuto pesante per non far trasparire niente ed infine alla mia destra uno specchio alto circa un metro e mezzo e un’altra tenda con decorazioni londinesi da dove stanno uscendo i proprietari, entrambi sulla quarantina.
<<Ciao Serena.>> Il marito dai capelli neri, occhi castani e corporatura in carne mi porge la mano che provvedo immediatamente a stringere.
<<Salve.>> Rivolgo un sorriso ad entrambi, indossano dei camici bianchi e hanno dei metri al collo.
<<Oh, chiamaci Giulia e Matìas.>> Interviene la moglie dai capelli castani, occhi verdi e corporatura esile. <<Seguimi, ti mostro il laboratorio, i vari macchinati e il loro utilizzo.>>
<<Va bene.>> Rispondo con tono timido.
Entriamo nel laboratorio, una stanza con pareti interamente bianche, difronte una lunga mensola contenente diversi filati di tutti i colori per tutta la lunghezza del banco e sopra di esso cinque macchinari.
<<Questa è una ricamatrice, la usa principalmente mio marito.>> Ci poggia su la mano, a seguire tre macchine da cucire per tessuti normali e una cover. <<Invece questa serve per cucire e fare orli a tessuti in maglina.>>
<<Ok.>> Rispondo. Mi guardo intorno, è tutto in perfetto ordine. Ci dirigiamo nella parete difronte e altri due macchinari diversi da quelli di prima sono disposti uno accanto all’altro sopra un altro banco.
<<Questa è una taglia e cuci, taglia e cuce contemporaneamente.>> Spiega con fare gentile. <<La usiamo quando accorciamo o stringiamo un pantalone, oppure per non far sgranare il tessuto che stiamo lavorando.>> Poggia la mano sull’ultimo macchinario, è verde e sembra davvero antico, mi chiedo se funziona ancora oppure è per semplice mostra.
<<Questa macchina ha oltre trent’anni, come puoi vedere ha la cinghia e funziona perfettamente grazie alla manutenzione accurata che le fa Matìas.>> Mi volto a guardarlo ed è poggiato sull’immenso baco da lavoro con un sorriso fiero sulle labbra.
<<La usiamo solamente per cucire tappeti, borse o qualunque tessuto pesante.>> Continua il marito.
Sopra i macchinari una lunga mensola a formare una “L” vi sono i lavori che devono ancora iniziare disposti dal Lunedì al Sabato, sotto la mensola più lunga vi è un’asse da stiro professionale bianca con i piani ricoperti di stoffa blu, accanto c’è una porta tappezzata con del raso rosso e un ricamo con scritto “Toilette” con carattere d’orato, difronte un appendi abiti con tutti i lavori pronti per la consegna, a quanto pare il negozio è ben avviato.
<<Per le prime settimane sarai in prova e lavorerai dalle nove del mattino fino alle tredici.>> M’informa Giulia.
<<Perfetto.>> Le rivolgo un sorriso. <<Da dove inizio?>>
Entrambi si guardano e mi indicano una busta sopra il banco da lavoro, esco fuori il contenuto, quattro pantaloni, poi leggo il bigliettino, “quattro orlo pantaloni”, tiro un sospiro e mi metto all’opera.
***
Sono passate altre due settimane da quando ho iniziato a lavorare e i proprietari desiderano parlarmi, lo so, sento che mi licenzieranno oppure mi diranno che non sono abbastanza per quello che cercano loro, ho sbagliato solamente due orli e li ha dovuti rifare Giulia ma per il resto non ho combinato altri danni.
Posteggio l’auto lungo il marciapiede difronte la sartoria, prendo il cellulare, la borsa e scendo. Tiro un sospiro profondo prima di entrare in negozio, chiudo gli occhi e sento la porta aprirsi.
<<Ciao Serena.>> La dolce voce di Giulia mi porta ad aprire gli occhi di scatto e la vedo, elegante nel suo abito color tortora alto fin sopra il ginocchio, il camice bianco aperto sul davanti e un metro attorno il collo.
<<Salve Giulia.>> Le rivolgo un sorriso, sento l’ansia assalirmi e se vorranno veramente licenziarmi? Scuoto la testa per cacciare via questo pensiero.
<<Serena, stai bene? Ti vedo un po’ pallida.>> Sussurra la signora una volta scostata per farmi entrare.
<<Si certo.>> Piego nuovamente le labbra in un sorriso. L’ansia mi sta divorando. <<Cosa dovevate dirmi?>> Chiedo con voce tremante.
<<Entra e lo vedrai.>> Mi fa cenno di precederla in laboratorio, la guardo titubante ed entro, vedo Matìas con un’espressione felice in volto e mi appresto a salutarlo con un gesto della mano. <<Salve.>> Gli rivolgo un sorriso timido.
“Perché tutti questi sorrisi oggi?” Comincio a non capire la situazione.
<<Serena, sin da subito abbiamo notato il tuo talento, ogni giorno che passa fai progressi e diventi sempre più brava…>>
<<Ho degli ottimi maestri.>> Interrompo Matìas.
<<No…>> Interviene Giulia. <<…è solo grazie al tuo talento e alla tua infinita fantasia se oggi abbiamo deciso di assumerti a tempo indeterminato, se tu lo vorrai ovviamente.>>
Sgrano gli occhi incredula alle mie orecchie, mi do un pizzicotto nella mano destra per verificare che non si tratti di un sogno, rimango in silenzio dinanzi ai proprietari di questa meravigliosa sartoria.
<<Serena? Rimarrai, vero?>> Chiede Matìas d’un tratto, riportandomi sulla terra ferma.
<<Si, certo che rimarrò.>> D’istinto li abbraccio entrambi. <<Sono più che felice di rimanere insieme a voi, siete fantastici e non potevate farmi proposta migliore.>> Esclamo mentre una lacrima di gioia si fa strada lungo la guancia. <<Grazie.>> Mi appresto ad asciugarla e poi faccio un passo indietro per guardarli in volto, sembrano entrambi felici e tra l’altro sono una coppia che va sempre d’amore e d’accordo, tranne qualche volta ma in amore è lecito ed è perché sono così che lavorare insieme a loro è un piacere.
D’un tratto sento vibrare il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans, lo prendo in mano e guardo chi sia. <<Posso?>> Indico il cellulare ad entrambi.
<<Certo.>> Rispondono all’unisono.
Esco fuori e rispondo alla chiamata. <<Mamma.>>
<<Tesoro, Cherol è stata arrestata. L’anno mandata in un centro di riabilitazione per tossicodipendenti.>> Dice con tono dispiaciuto.
Porto la mano contro la bocca. <<Ma…ma quando l’hanno arrestata?>> Non credo alle mie orecchie, è impossibile che si sia cacciata in un simile guaio.
<<Ieri.>>
<<Ieri? E dove si trova esattamente questo centro? Voglio andare a trovarla.>> In questo momento sono davvero infuriata con Cherol, ho un diavolo per capello, come ha potuto cacciarsi in un guaio simile? Non avrei mai pensato le accadesse questo, non appena mi vedrà ne sentirà quattro da parte mia.
<<Inutile che vai, tesoro.>> Sento la voce di mia madre diventare sempre più tremante.
<<Perché non posso? Cosa c’è che non mi dici?>> Adesso inizio a preoccuparmi, perché è inutile che io vada a trovarla?
<<Cherol…si, Cherol è…>> La sento tirare un sospiro. <<È morta ieri per overdose mentre la portavano al pronto soccorso del centro. Ormai era troppo tardi perché il suo corpo era pieno di miscugli di droghe.>>
Non riesco a proferire parola, sento come se un macigno si fosse piantato sul mio cuore, non riesco a piangere, a gridare…Rimango immobile e devastata dalla notizia ricevuta, sono delusa dalla mia migliore amica e allo stesso tempo arrabbiata con me stessa, come ho potuto non accorgermi che avesse iniziato a fare uso di tali sostanze? Come ha potuto farmi una cosa del genere? Come si è permessa a nascondermi tutto? Avrei potuto aiutarla…Adesso sento tanto dolore e delle lacrime scendono copiose lungo le guance, chiudo la chiamata senza proferire parola nonostante sentivo mia madre piangere dall’altra parte del telefono, chi le ha detto della sua morte? Perché non sono stata informata prima io? Ero io la sua migliore amica, ero io a tirarla su di morale e l’aiutavo nei momenti più difficili ma questo a quanto pare non è bastato per confidarmi la strada che aveva deciso di percorrere portandola alla morte.
Rientro in sartoria. <<Per oggi posso ritornare a casa?>> Chiedo con il volto bagnato dalle lacrime. Più i secondi e i minuti passano e più realizzo che la mia migliore amica non sarà più con me.
<<Certo, sei devastata.>> Giulia mi abbraccia e io scoppio in un pianto pieno di dolore, rabbia e risentimento.
***
Nella strada di ritorno, a cento metri da casa mia, vedo una ragazza piombare di fronte la mia auto, è bionda con gli occhi blu come l’oceano ed è bellissima, la carnagione rosa come una bambola di porcellana, indossa dei pantaloni attillati blu e una camicetta a quadretti bianchi e blu, con le maniche arrotolate sugli avambracci e delle scarpe di tela tutte bianche.
<<Ma dico, sei matta? Potevo investirti.>> Le grido contro una volta abbassato di tre centimetri circa il finestrino.
<<Lascia in pace Enea, non cercarlo più.>> Dice avvicinandosi al finestrino dando un colpo al vetro con la mano, sobbalzo sul sedile, questa è tutta matta. <<Ma che problema hai? E poi come sai di noi?>> Chiedo perplessa e non posso fare altro che notare delle macchie sul braccio, le collego all’istante a tutto quello che mi raccontò Enea riguardo il suo DNA associato alla sindrome di Minamata: gli occhi blu, le macchie e l’aggressività. Rimango bloccata con le mani strette al volante e il piede sull’acceleratore, questa situazione non promette niente di buono.
La ragazza non proferisce parola ma si limita ad andare via.
Tiro un sospiro di sollievo non appena la vedo scomparire tra gli alberi del bosco, posso rendermi ufficialmente fortunata per non essere stata uccisa da quella bellissima ragazza un po’ folle.
Faccio un’inversione e decido di andare immediatamente da Enea. Per un momento ho dimenticato Cherol e ho dato spazio alla paura, paura di morire senza rivedere un’ultima volta il mio grande amore.
Quindici minuti dopo sono sotto l’edificio dove lavora Enea. Scendo dall’auto come una furia e cammino con passo accelerato verso l’ingresso. <<Devo parlare con Enea Aragona.>> La porta è protetta da due giganteschi metronotte, neanche fosse una banca.
<<Chi lo desidera?>> La guardia porta il peso del corpo da un piede all’altro infilando i pollici dentro la cintura, a quanto pare entrambi non sono intenzionati a farmi entrare.
<<Serena Smith, diteglielo e vedrete che mi farà entrare immediatamente, è una questione urgente.>> Ma anche dopo avergli detto chi sono non accennano a spostare neanche un dito evitando di farmi entrare.
<<Ehi ragazzi, che succede?>> Esclama una voce da uomo,
una voce che mi fa sobbalzare il cuore in gola e divampare
le guance.
<<Niente, questa ragazza la desidera.>> Lo informa una delle due guardie.
Enea li scosta e porta i suoi occhi su di me. <<Fatela entrare, la conosco, è tutto ok.>> Le guardie finalmente mi fanno largo facendomi entrare nell’edificio.
<<Ma che ci fai qui? Sai che non puoi venire.>> Dice con tono irritato afferrandomi per un braccio. <<Ero poggiato per caso nella grande vetrata del mio ufficio quando ti ho vista gesticolare e urlare contro la sicurezza, sono sceso per il tuo bene, ti avrebbero arrestata, dal tono della tua voce ho capito che sei qui per una questione importante.>> Afferma cingendomi con un braccio le spalle, indossa un pantalone elegante nero e una camicia bianca di raso sempre con i primi tre bottoni aperti. Tutti portano una cravatta ad eccezione di lui che si distingue tra tutti per il portamento e lo stile meraviglioso. Entriamo in ascensore in totale silenzio e non appena le porte si riaprono ci dirigiamo nel suo ufficio. Al centro della porta vi è una targhetta placcata in oro con scritto “Enea Aragona”.
<<Ora vuoi dirmi il motivo della tua presenza, per favore?>> Si poggia sulla scrivania di fronte a me che sono seduta su una poltrona di pelle nera.
<<Sai cosa mi è successo per strada mentre ritornavo a casa?>> Sono piena di domande.
<<No, cosa ti è successo?>> Chiede arricciando la fronte.
<<Una ragazza, credo con il tuo stesso DNA e malattia, è piombata al centro della mia corsia, sono stata costretta a fermarmi perché non si spostava.>> Lo guardo in volto. <<Mi ha detto che ti devo lasciare in pace e non ti devo più cercare.>> Lo guardo negli occhi per cercare una risposta.
<<Impossibile, ne sei certa?>> Chiede sorpreso.
<<Occhi blu, macchie sulla pelle e particolarmente aggressiva. Ora mi credi?>> Adesso sono più nervosa di prima, abbasso la testa e stringo la borsa per scaricare la tensione.
<<È impossibile, Serena, lo sai.>> Instiste gesticolando con la mano. <<Magari se me la descrivessi potrei capire di chi si tratta.>>
Mi alzo in piedi e inizio a camminare avanti e indietro. <<Era bionda, occhi blu, indossava un pantalone blu attillato, una camicetta a quadretti blu e bianchi con le maniche arrotolate, le scarpe di tela completamente bianche, ed era molto aggressiva e…bella.>> Sento le mani tremarmi.
<<Adelaide.>> Esclama con tono agitato.
Afferro le sue mani. <<Chi è questa Adelaide?>> Lo guardo dritto negli occhi, lui fa il giro della scrivania e si siede nella sua poltrona di camoscio blu, poggia la mano contro la fronte come se fosse disperato. <<Non la conosci e non te ne ho mai parlato, è la mia ex ragazza, prese una cotta per me all’età di diciotto anni, poi mi lasciò perché si innamorò di mio cugino, Ettore, dopo tre anni si sposarono e Adelaide decise di diventare come lui, provò tutti i modi possibili fin quando non ci riuscì, si fece una trasfusione con il sangue del marito, rischiò di morire perché quello di Ettore non era compatibile con il suo tipo di sangue ma dopo cinque giorni di coma si risvegliò in quanto il sangue di mio cugino aveva delle cellule particolari che riuscirono ad uccidere i globuli rossi del vecchio sangue di Adelaide e, una volta eliminato tutto il suo sangue, si mise in circolazione quello del marito, modificando tutti i tessuti e il midollo osseo e una volta che il sangue raggiunge la testa, il cervello manda degli impulsi al sistema nervoso facendo impazzire la persona e purtroppo non c’è una cura…>>
<<E il liquido blu che bevi? Non può berlo?>> Lo interrompo rimanendo in piedi difronte a lui, bellissimo e preoccupato.
<<No, il liquido blu non le fa effetto perché se il DNA viene trasmesso in questo modo si diventa più aggressivi e se non si è morti durante la trasfusione si muore a lungo andare, non si è più se stessi, non si ha più la concezione del pericolo e si diventa molto pericolosi.>> Dice alzando lo sguardo verso il mio.
Come ha potuto fare una cosa del genere? Perché ha voluto trasformarsi come il marito?
<<Non capisco perché vuole che io ti lasci.>> Sussurro con tono fievole.
<<Ettore è morto e dal momento in cui Adelaide mi reputa il colpevole della morte del marito ora vorrebbe far soffrire me attraverso te, questa volta sei stata fortunata, ti ha dato un preavviso, ma la prossima volta ti potrà anche uccidere, da oggi in poi ti accompagnerò io al lavoro e a casa.>> Lo sento sospirare poi mi guarda nuovamente.
Mi piego sulle ginocchia e poggio le mani sulle sue gambe. <<Non devi tardare e prendere permessi da lavoro per colpa mia, me la saprò cavare.>> Dico.
<<Sei sempre testarda come al solito.>> Ringhia. <<Serena se ti succedesse qualcosa non me lo perdonerei mai, sottovaluti molto la forza di Adelaide, quindi da oggi in poi ti porterò ovunque io e se necessario dì ai tuoi genitori che andrai a dormire a casa di Cherol o di una tua amica per un po’ perché ha bisogno del tuo aiuto ma in realtà verrai a casa mia così potrò proteggerti meglio.>> Insiste Enea. Stavolta la mia testardaggine non ha prodotto una piega nei sui pensieri ma al sentire il nome della mia migliore amica il dolore prende il possesso del mio corpo, le gambe cedono facendomi finire per terra con il viso che si ricopre per l’ennesima volta di lacrime.
<<Serena.>> Enea cerca di farmi alzare ma non ho le forze. <<Serena, cosa è successo?>> Chiede con tono preoccupato. <<Serena, rispondimi.>> S’inginocchia difronte e mi poggia le dita sotto il mento portando il mio sguardo contro il suo. <<Serena cosa non mi ha detto ancora? Ti ha fatto del male?>> Aggrotta la fronte confuso.
<<N…no avrei preferito questo in realtà.>> Rispondo con le labbra tremanti.
<<Non dire simili scemenze. Cosa è successo allora?>>
<<Cherol…>> Abbasso lo sguardo.
<<Cherol?>>
Non proferisco parola. Enea mi strattona dalle spalle. <<Cherol cosa?>> Sento che sta per perdere la pazienza.
<<È morta.>> Dico d’un fiato.
<<Cosa?>>
<<È morta, mi ha lasciata per sempre, sola e adesso non so come farò senza di lei e come se non bastasse Adelaide vuole che ti lasci in pace, io…>> Scoppio in un pianto pieno di dolore e…paura. <<Non voglio perdere anche te.>>
<<Tu non mi perderai, non permetterò ad Adelaide di dividerci.>> Esclama serio. <<Farai come ti ho detto, ti trasferirai nel mio appartamento e ti proteggerò da lei, sarai sempre sotto la mia protezione tranne quando sarai in sartoria ma per questo provvederò immediatamente. Non lascerò che ti accada niente.>> Afferra il mio viso tra le mani. <<Non sei sola, io ci sono e ci sarò, ovunque e per sempre.>> Mi bacia e il cuore inizia a battere forte, mi bacia come se non ci fosse un domani, mi bacia e non posso che notare la sua preoccupazione e senso di protezione che ha nei miei confronti, è davvero preoccupato, tanto da prendere sul serio la situazione e portarmi nel suo appartamento per proteggermi da Adelaide.
Faccio cenno di sì con la testa. <<Ok. Vedrò di inventarmi una scusa con i miei.>> Tiro un sospiro, forse di sollievo o…non credo di esserne sicura ma di una cosa sono certa, avrò la protezione di Enea e questo mi basta per andare avanti e affrontare il dolore della morte della mia migliore amica.
Qualche minuto dopo mi siedo sulla poltrona posando gli occhi su di lui senza distogliere lo sguardo.
<<Non mi fissare quando lavoro, mi metti a disagio.>> Dice con un filo di imbarazzo.
<<Mi piace tanto guardarti mentre lavori. Sei molto…>> Mi fermo a pensare alzando la testa verso il tetto. <<Molto sexy.>> Mi alzo e vado da lui abbracciandolo alle spalle, Enea d’un tratto si gira e con un gesto mi ritrovo seduta sulle sue gambe e le labbra contro le sue in un bacio, stretta in un abbraccio, al sicuro, protetta da tutto e da tutti.
Ovviamente le cose o i momenti belli durano poco e i genitori irrompono nei momenti meno opportuni: una chiamata di mia madre interrompe il momento che finalmente mi aveva dato un apparente attimo di pace.
<<Tesoro, dove sei?>> Chiede con voce stridula ma preoccupata.
<<Scusa se prima ho staccato la chiamata senza salutarti ma non riuscivo più a parlare.>> Borbotto.
<<Ti capisco tesoro, quando ritorni a casa?>>
Odio mentire ai miei genitori, non l’ho mai fatto ma questa è una bugia a fin di bene, per la mia e per la loro incolumità, non voglio che Adelaide faccia loro del male, stavolta sarei io a non perdonarmelo.
<<Per un po’ di tempo dormirò da Nicole, stiamo attraversando tutti un periodo difficile e mi vorrebbe accanto.>> Butto giù la prima cosa che mi viene in mente cercando di essere il più credibile possibile e non farla insospettire, nel frattempo sento Enea baciarmi sul collo cercando di distrarmi ma tento in tutti i modi e con tutte le forze di rimanere impassibile, lo allontano con la mano ma non riesco nel mio intento, è troppo forte per me.
<<Va bene ma cerca di non dare fastidio e stai attenta.>> Le solite parole materne, d’altronde non ha tutti i torti, l’ospite è come il pesce, dopo tre giorni inizia a puzzare ma dal momento in cui la mia informazione è una bufala cerco di non dar peso alla cosa ma dentro di me sento un senso di colpa invadermi per aver mentito loro.
<<Non preoccuparti.>>
<<Tesoro ricorda che domani ci saranno i funerali alle quattro del pomeriggio in chiesa.>> M’informa, non avrei mai voluto sentire una notizia simile.
<<Ok. A domani mamma.>> Dopodiché riattacco seria in volto, Enea assume la mia stessa espressione.
<<Domani pomeriggio ci saranno i funerali di Cherol.>> Tiro un sospiro pieno di tristezza e dolore. <<Non so se sarò in grado di andarci.>>
<<Tu ci andrai, lo devi alla tua amica.>> Risponde con tono serio.
<<Io…non…>> Strizzo gli occhi con l’indice e il pollice. <<Sono arrabbiata con lei perché non mi ha detto niente, non mi ha detto che aveva iniziato a fare uso di sostanze stupefacenti e non…>>
<<Tu le hai detto di noi?>> M’interrompe carezzandomi con la mano la coscia.
<<No.>> Rispondo sincera. <<Per quanto le volessi bene non potevo permetterle di mettersi tra di noi, non avrebbe capito.>>
<<Allora non biasimarla. Tu hai fatto la stessa cosa con lei, l’hai esclusa, l’hai tenuta all’oscuro di tutto nascondendole la nostra storia e sono sicuro che lei avesse notato tutto ciò.>> Afferra il mio viso tra le mani voltandomi a guardarlo. <<Ma questo non ti dà il diritto di essere arrabbiata con lei o di sentirti responsabile della sua morte.>>
<<Non ho fatto niente per aiutarla.>> Borbotto con tono fievole.
<<Non te lo permetto.>> Scuote la testa. <<Non lo sapevi.>>
<<Potevo, se solo fossi stata sincera con lei.>> Cerco in tutti i modi di trovare una scusa o qualunque cosa per attribuirmi la colpa ma in realtà ha ragione Enea, non posso sentirmi in colpa per una cosa che non sapevo ma al contempo non posso essere arrabbiata con lei per non avermelo detto perché stavo ricambiando con la stessa moneta.
<<Domani andremo insieme al suo funerale.>> Dice con tono deciso.
<<Ma ci vedranno.>>
<<Non m’importa, è stata mia alunna, ci saranno altri insegnanti e poi basta nasconderci, se lo scopriranno ben venga. Io starò al tuo fianco tutto il tempo.>>
<<Grazie.>> Lo abbraccio.
<<Non devi ringraziarmi.>> Mi stringe di più a sé.
<<Grazie per tutto quello che hai fatto, che fai e che farai per me. Grazie.>> Tiro un sospiro di sollievo.
<<È colpa mia se ti ho cacciata nei guai con Adelaide, non ti ho mai detto niente di lei perché non credevo arrivasse a tanto.>>
<<Le persone non si finiscono mai di conoscere.>> Penso a Cherol e da quanto la conosco non avrei mai pensato che potesse suicidarsi, aveva tutto nella vita, genitori amorevoli, un fratello protettivo e solo un’amica che non è stata sincera con lei. Penso immediatamente a quello che mi ha detto Enea e fortunatamente mi aiuta a cacciare via il senso di colpa cambiando argomento. <<Cosa cercavi di fare mentre parlavo a telefono con mia madre?>> Chiedo d’un tratto pensando al quel momento.
<<Ho scoperto che mi piace baciarti mentre parli a telefono. Sei…>> Alza gli occhi verso il soffitto.
<<Sei molto…sexy. >> Sussurra mentre mi fa l’occhiolino.
***
Sono le nove di sera e finalmente Enea finisce di lavorare e quindi possiamo andare via.
<<Ciao ragazzi.>> Enea saluta le guardie dando loro una pacca sulle spalle contemporaneamente mentre io sono dietro di lui.
<<Ci scusi per prima signorina ma non possiamo violare i nostri ordini.>> Dice la guardia dai capelli neri e occhi dello stesso colore.
<<Non preoccupatevi, capisco, è tutto ok.>> Rivolgo un sorriso ad entrambi per rassicurarli. Usciamo dall’enorme edificio interamente in vetro dalla tonalità grigio scuro, un immenso piano ricoperto in pietra Luserna fiammata, una scalinata che porta sul marciapiede. Intreccia le sue dita alle mie e andiamo verso la sua auto, una bella Mercedes nera tirata a lucido e sedili grigi in pelle.
<<Cosa vorresti mangiare?>> Mi chiede una volta seduto a lato guida.
<<E la mia auto?>> Ignoro la sua domanda, non posso lasciarla qui.
<<Starà al sicuro, i ragazzi hanno il turno notturno.>> Indica le guardie.
<<Rimarranno tutta la notte in piedi davanti l’ingresso?>> Chiedo stupita.
<<No.>> Sorride. <<A turno faranno un giro dell’edificio e poi staranno seduti a guardare dalle telecamere.>>
<<Wow.>> Non so se sarei capace di fare un mestiere del genere.
<<Allora? Non hai risposto alla mia domanda di prima.>>
<<Cuciniamo insieme, cosa uscirà fuori mangeremo.>>
<<Lo sai che non adoro questo tipo di cibo. >> Enea piega le labbra in un sorriso.
<<Va bene, vorrà dire che cucinerò da sola.>>
Non proferisce parola ma si limita ad accendere l’auto e partire.
***
Davanti la cucina con lui alle mie spalle apro il frigorifero e con meraviglia vedo una lattuga, l’unica e la sola, la prendo in mano e gliela indico.
<<Vorrei imparare a mangiarla ma non ci riesco, è disgustosa.>> Fa un’espressione di disprezzo.
<<È ricca di fibre e ti aiuta ad andare in bagno.>> Soffoco una risata.
<<Serena, sei disgustosa.>> Fa il giro del banco e va a sedersi in uno dei sgabelli.
La lavo e inizio a tagliarla, poi vorrei condirla ma non trovo niente. <<Non dirmi che non hai neanche del sale e dell’olio.>> Esclamo alzando le braccia per aria, lo vedo fare un cenno di negazione con la testa e porto la mano sul viso.
<<Vuol dire che la mangerò così.>> Prendo una forchetta e inizio la mia cena non condita e ricca di fibre mentre Enea come al solito beve il suo liquido, chissà che gusto avrà.
<<Me lo faresti assaggiare?>> Chiedo, mentre guardo la bottiglia che tiene in mano.
Enea sgrana gli occhi. <<Non ti piacerà.>>
<<Se non provo non potrò saperlo.>> Sono decisa nel farlo, Enea me la porge e la porto sulle labbra.
<<Ma è orribile! È quasi gelatinoso, inizialmente dolce ma poi diventa terribilmente amaro.>> Faccio un verso seguito da un’espressione di disgusto.
Lo vedo sorridere. <<Te l’ho detto che non ti sarebbe piaciuto.>> Esclama divertito.
<<Ma come fai a berlo?>>
<<È come il pompelmo, le prime volte che lo bevi è amaro ma poi ci fai l’abitudine e il senso dell’amaro non lo senti più.>>
<<Come fai a sapere che gusto abbia il pompelmo?>> Chiedo con tono curioso.
<<È l’unica cosa a piacermi che bevete voi comuni esseri umani.>>
<<Bene. Dovresti assaggiare la Coca Cola, io l’adoro.>> Esclamo felice alzando la mano.
<<No, provato ed è troppo gassata e dolce.>>
Lo guardo sconvolta poi iniziamo a pulire casa, i maschi sono davvero disordinati alle volte, Enea è un caso disperato, non fa pulizie generali da due settimane. Mi butto di peso sul divano mentre aspetto che mi porti una sua maglia e un paio di boxer dal momento in cui non ho dei vestiti con me. <<Ecco tieni, questi dovrebbero andarti bene.>> Mi porge una maglia a mezze maniche bianca e dei boxer neri, adesso che ha un fisico più snello ha dovuto rinnovare tutta la sua biancheria e sono decisamente più piccoli.
<<Grazie.>> Li prendo in mano ed entro in bagno, è spazioso, il pavimento in marmo e le pareti blu danno un’aria fresca, a destra una vasca spaziosa in marmo beige con mensole per sapone e bagnoschiuma, al centro del lavello anch’esso in marmo con un grande specchio sopra a due ante, di fronte il WC e una cassettiera in
legno massiccio.
Inizio a spogliarmi e piego i jeans, poi tolgo la maglia e gli slip. Sotto il mobiletto del lavello, in sospeso, trovo dell’Amuchina a detersivo quindi lavo i miei vestiti, li risciacquo e li stendo fuori, poi richiudo la finestra, apro il getto dell’acqua calda, tolgo il reggiseno e lo poggio sopra il mobiletto, entro nella vasca e finalmente dopo un lungo giorno posso rilassarmi.
Dieci minuti dopo esco dalla gabina e mi avvolgo in un asciugamano, strizzo i capelli e inizio ad asciugarli con il phon, poi metto i boxer e la maglia e raggiungo Enea.
<<Finalmente.>> Esclama, entrando in bagno.
<<Ti dovrai abituare.>> Gli faccio la linguaccia e chiude la porta del bagno e solo quando si fanno le tre e trenta del mattino andiamo a dormire. Come un gentil uomo ha accettato le mie condizioni, non dormiremo insieme, non adesso almeno, anche se vorrei tanto dormire tra le sue braccia per svegliarmi al mattino e avere la certezza di trovarlo abbracciato a me o al mio fianco in tutta la sua bellezza, ha deciso che sarà lui a dormire sul divano e io nella sua camera da letto, entrambi stiamo bene in compagnia l’uno dell’altro ma sono una terribile romantica e aspetto il momento giusto e il posto giusto per farlo, anche se Enea sarebbe andato al dunque quella sera stessa.
***
<<Amore, è tardissimo sono le nove e siamo ancora in pigiama.>> Esclama con voce alta per farmi svegliare.
<<Cosa? Che ore sono?>> Domando sgranando gli occhi mentre cado dal letto come un salame dallo spavento.
<<Le nove passate e ti devo accompagnare immediatamente a lavoro.>> Corro in bagno e prendo i vestiti che ho appeso fuori ieri sera, la maglia è stropicciata ma poco importa, lavo la faccia, metto gli slip ancora un po’ umidi, devo andare a ogni costo a casa mia a prenderne altri, non posso uscire sempre con gli stessi vestiti anche se le mie uscite per il momento si limitano dall’appartamento di Enea in sartoria e dalla sartoria a casa di Enea ma questo non vuol dire vestirsi sempre con gli stessi indumenti. Corro nella camera da letto per dargli spazio in bagno, indosso i jeans, il reggiseno e la maglia, lego i capelli in una coda di cavallo e ritorno in bagno dove vedo Enea che sta lavando ancora i denti con il pantalone blu notte del vestito, tiro un sospiro quando guardo il suo addome perfettamente scolpito.
<<E io come lo faccio?>> Chiedo mentre poggio una mano sulla nuca.
<<Ti presterò il mio spazzolino.>> Risponde una volta finito.
<<E va bene ma oggi mi accompagnerai a casa per prendere altri vestiti e lo spazzolino.>> Specifico.
<<Ok ma ora sbrigati, siamo in ritardo.>> Dice mentre mette della cera tra i capelli e io lavo i denti poi lo seguo nella camera da letto e lui va verso l’armadio per mettere una camicia, è come quella del ballo e i pensieri mi portano al passato, al suo discorso e alla rivelazione dei sentimenti che provava e che prova tutt’oggi per me e purtroppo ricordo quando d’un tratto si sentì male e io mi presi cura di lui senza perdere il controllo.
Venti minuti dopo, finalmente, usciamo dalla porta d’ingresso dell’edificio del suo appartamento con passo svelto, oserei dire correndo e mentre saliamo in macchina metto la mano dentro la borsa e sgrano gli occhi, “adesso s’infuria” penso immediatamente.
<<Ho dimenticato il cellulare nell’appartamento.>> Adesso urla.
<<Donne.>> Esclama con apparente calma. <<Tieni le chiavi e sbrigati, io ti aspetto in auto.>>
Corro, cerco la chiave della porta d’ingresso del suo appartamento sperando di azzeccarla, prendo il cellulare finito sotto il letto e ritorno, sempre correndo, in auto con il fiatone e una ciocca di capelli davanti gli occhi, lo vedo fissarmi e con fare dolce la posiziona dietro l’orecchio poi mi posa un casto bacio sulla fronte afferrando il mio viso tra le mani. <<Sei bellissima.>> Sussurra facendomi arrossire, vasi capillari traditori.
Durante il tragitto verso la sartoria lo scopro a guardami imperterrito. <<Che c’è? Dai smettila di fissarmi, mi metti a disagio.>> Borbotto poi gli do una pacca sul braccio per ammonirlo.
<<Non è colpa mia se sei bella, non posso fare altrimenti.>> Esclama con espressione felice.
<<Non esagerare ora, mi fai arrossire se mi dici queste cose.>> Rispondo timida poi ritorno al presente e assumo un’espressione seria e pensierosa, oggi c’è il funerale di Cherol, lui sicuramente avrà capito il mio stato d’animo, afferra la mia mano e la poggia sul proprio ginocchio, sento gli occhi bruciarmi, mi volto a guardarlo, lui mi dà serenità e stabilità mentale.
<<Perché hai gli occhi lucidi?>>
Gli rivolgo un sorriso poi mi sporgo per dargli un bacio sulla guancia non appena si ferma davanti l’immenso edificio dove lavora. Non voglio rattristirlo con i miei pensieri quindi decido di non dirgli niente. <<Niente di cui tu debba preoccuparti.>> Lo bacio sulle labbra prima di scendere dall’auto.
<<Ti verrò a prendere a mezzogiorno e ti porterò a casa.>> M’informa.
Faccio un sospiro ma prima che inizi a parlare mi poggia una mano contro le labbra.
<<Tranquilla mi fermerò dietro la siepe in modo che non ci veda nessuno poi nei giorni a venire io ti seguirò fino a lavoro, poi forse sarà meglio se andrai a dormire a casa di una tua amica per qualche settimana così potrò cercare Adelaide. Ok?>>
Non proferisco parola ma mi limito a fare un cenno con la testa. Scendo dall’abitacolo, prendo la mia auto e mi immetto sulla strada seguita dalla bellissima Mercedes di Enea così lucida da rispecchiare i maestosi pini che contornano la strada.
Sono le nove e quaranta quando arriviamo in sartoria, posteggio l’auto lungo il marciapiede e salgo i quattro scalini che mi portano al negozio. Enea si assicura che entri sana e salva dalla porta, mi volto a guardarlo e lo vedo salutarmi con un gesto della mano, ricambio e vado a lavorare.
<<Scusatemi per il ritardo, ho avuto un contrattempo.>> Dico una volta entrata in sartoria, prima che parlino i miei superiori ma non proferiscono alcuna parola negativa a riguardo.
<<Come stai?>> Chiede Giulia venendomi incontro.
<<Meglio, grazie.>> Rispondo seria in volto.
<<Quando sarà il funerale?>> Domanda Matìas.
<<Oggi pomeriggio.>> Come fanno a sapere del funerale? Poi penso alla loro amicizia con i miei genitori e tutto torna.
<<Ritieniti libera allora. So che sarà difficile per te e dopo vorrai stare in compagnia dei tuoi cari.>> Dice la moglie con fare dolce.
<<Ma…>>
<<Niente ma Serena. Te lo meriti e so cosa si prova in questi momenti, quindi accetta quello che ti ho appena detto.>> M’interrompe Giulia.
<<Grazie.>> Abbasso la testa in segno di gratitudine.
<<Non ringraziarmi, adesso lavoriamo.>>
Giulia è una delle donne più gentili e persuasive che abbia mai conosciuto, Matìas è un uomo fortunato ad averla accanto, chissà se hanno dei figli, a quanti anni si sono sposati? Come si sono conosciuti? Chi ha scelto di aprire il negozio? Non abbiamo mai parlato della loro vita privata nè io della mia ma forse è meglio così anche se al contempo vorrei conoscerli di più, d’altronde la curiosità è donna, prima o poi dovremmo prendere questo discorso ma non oggi, quindi inizio a lavorare.
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Il mistero dei tuoi occhi.
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