2. Non ti libererai di me Tim.

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Non di nuovo. Non potevo rivivere la perdita una seconda volta, non né sarei uscito vivo per niente.  Conoscevo benissimo il dolore silenzioso che mi paralizzava, costringendomi a rimanere fermo nel letto senza poter dire una sola parola o poter urlare. Lo avevo provato perché, a causa di segreti e incomprensioni, troncai il rapporto nato con Armie. Aveva appreso ogni sfaccettatura di quel supplizio. Le notti passate insonni, non erano nulla a confronto dei pensieri.
L'unica cosa che mi era stata concessa in quei momenti buii, era proprio quello di pensare all'agonia  che si celava dietro al ricordo della perdita e dell'abbandono. Doveva lottare o saremmo sprofondati assieme. Quel dolore, che non auguravo a nessuno, nemmeno al peggior nemico, sentivo che presto sarebbe tornato a tormentarmi la notte. Non volevo ricadere a terra e sprofondare sempre di più nell'abisso dove già sono caduto e dove conoscevo ogni singola parte. Questa volta doveva essere diverso, lui non poteva abbandonarmi, non poteva arrendersi come anch'io... né ora e né mai.
L'adrenalina che fin in quel momento aveva alimentato il mio cuore e mi aveva fornito la giusta grinta per affrontare mio padre, stava ormai diminuendo. L' effetto collaterale del rilassamento iniziava a farsi sentire.
Percepivo le gambe tremare e cedermi sotto al peso della sconfitta. Mi accasciai vicino ad Armie e lasciai le lacrime irrigarmi il viso, bagnando la sua camicia. Armie era sdraiato su un fianco con le mani appoggiate nel punto in cui la furia di mio padre aveva assestato un colpo. Quel suono lo avrei ricordato senz'altro, come avrei ricordato il suo sorriso prima di cadere a terra.  Mio padre invece era fermo sul bordo del letto affaticato e impaurito.  Non lo degnai nemmeno di uno sguardo perché tanto non sarebbe servito a nulla. Aveva vinto, aveva ottenuto ciò che voleva di più al mondo: separarmi dalla mia unica ragione di vita. Vedere suo figlio essere normale come tutti gli altri ragazzi. Sarà stato anche vincitore di quella battaglia senza senso, ma il mio essere e il mio modo di vivere sarebbero rimasti tali e quali. Avrei sempre amato quell'uomo e nessuno poteva impedirmelo. Eppure quel nessuno aveva fatto breccia nel suo addome.
Arm respirava male ed era zuppo di sangue.
«Armie... ti prego svegliati.» gli dissi scuotendolo vigorosamente. Ma più lo agitavo e più non ricevo nessuna risposta da parte sua. Era svenuto.
«Per favore amore mio. Non lasciarmi... svegliati..» Gli presi il viso tra le mani e lo baciai dolcemente, sperando invano che quel tocco leggero delle mie labbra lo destasse  dallo svenimento.
«Ti prego» implorai urlando e scuotendolo dal colletto della camicia.
Non sapevo che cosa fare, come muovermi e guarire la brutta ferita all'altezza dell'addome. Il sangue usciva copiosamente anche se pressavo con le mani. Mi tolsi la maglietta e premetti  nel punto esatto in cui era entrato il foro. Il suo stato d'incoscienza era correlato alle perdite di sangue subite? Tutto attorno a noi, sotto il suo corpo fino alle gambe e ai piedi,  era ricoperto da una pozzanghera rosso vinaccio che andava sempre più ad allargarsi. Ne sentivo anche la puzza nauseante di ruggine mista a sale.
«Maledizione»
«Sors.... aiutami» gridai per attirare la sua attenzione. Non mi fregava che mio padre avesse a disposizione altri tiri. Non mi interessava se avesse premuto il grilletto. Non potevo lasciarlo impotente a terra. Dovevamo fare qualcosa altrimenti lo avrei perso lì, sotto le mie stesse mani.
«Io ... cos'ho fatto....» cercò di dire mio padre. Aveva ancora in mano il vecchio fucile di famiglia e lo sguardo era perso nel vuoto. Non era più freddo, atroce e determinato come prima. Al posto della determinazione si insinuava in lui la consapevolezza di aver commesso un errore. Non mi faceva né pena né dispiacere vederlo in quel modo. Provavo solo una rabbia cieca nei suoi confronti.
«Mi dispiace Timotheé»
Stava scherzando? Dopo aver commesso quel fottuto errore, gli dispiaceva quando il mio ragazzo era in fin di vita?
Mi sentivo preso in giro e trattato come uno stupido. Lo incenerii con lo sguardo e incurante delle lacrime che mi coprivano la visuale, mi inveii contro mio padre e questa volta lasciando alla collera il libero arbitrio.
«Ti dispiace? Sei venuto fin qui ha sbraitare cose senza senso, ha fare di testa tua solo perché tuo figlio, tuo figlio non è ciò che desideri vedere. Ti dà fastidio la parola bissessuale? Che io sia gay? Che me la faccio con gli uomini ? Che razza di padre sei?. Anzi questo nome non ti si addice nemmeno. Non sei altro che una merda.»
«Se mi avessi dato retta tutto questo non sarebbe successo.» cercò di scusarci arrampicandosi sugli specchi. Aveva ancora il coraggio di credersi il vincitore ? Davvero alludeva all'idea che fosse colpa mia? Aveva superato il limite.
Non ci vidi più dalla rabbia. Mi avventai contro l'uomo che credevo fosse mio padre. Sferrai pugni dove meglio potevo finché non gli misi le mani attorno al collo. Premetti ancora con più forza quel tanto che bastava per vedere il suo faccione diventare rosso.
«Cosa credi che cambierebbe se ti avessi ascoltato? Io lo amo diamine. Lo vuoi capire oppure no. Lui è tutto per me. Nessuno mi ha capito come mi capisce lui» gli gridai sputandogli la verità in faccia.
La sua reazione non era quella che mi sarei aspettato. Si lasciò scuotere senza difendersi e reagire ai miei insulti.
«Lo so.»  quelle lacrime di coccodrillo potevano convincere qualcun'altro ma non me.  Lo conoscevo nel profondo e se un'idea l'aveva fissa in testa evidentemente era perché voleva a tutti i costi ottenerla. E così è stato. Il fucile di mio nonno Jean-Pierre sarebbe rimasto appeso all'ingresso della nostra casa, se solo lui non si fosse spinto così tanto; né il mio Armie si troverebbe steso incosciente nella sua pozza di sangue.
«Guarda là emerito idiota. Guarda cos'ha fatto il tuo ripudio.»
«O mio dio. Armieee.» disse Sors entrando in camera. Mi guardò impaurita e sorpresa nel vedermi lottare con mio padre. Mi venne incontro e con una mano mi costrinse a togliere la presa sulla sua gola.
«No Tim non ne vale la pena. Armie ha bisogno del nostro aiuto.»
Aveva ragione, non potevo sporcarmi di vergogna. Allentai la presa per farlo respirare di nuovo.
«Chiama l'ambulanza per favore»
«ok torno subito.»
Si allontanò ma prima di scomparire dietro la porta mi fissò per un ultima volta, pregandomi di non fare cavolate.
Lasciai mio padre disteso sul letto mentre tossiva  e riprendeva aria.
«Arm. Amore...» lo scossi come avevo fatto prima delicatamente. Ancora non riusciva a riprendere i sensi... non volevo pensare alle conseguenze. Lui sarebbe sopravvissuto.
«Stanno arrivando il più veloce possibile - disse Sors rientrando e infine, guardando schifata mio padre, aggiunse sottovoce - anche per lui.»
Si sedette affianco a me e con una carezza gli scostò i capelli dal viso sudato.
«Svegliati dannazione.... amore ti prego.... non lasciarmi» continuai a dirlo convinto che lui mi rispondesse, che mi desse segnale che era ancora tra noi. Saiorse gli sollevò la testa con un cuscino e gliela piazzò di lato. Posò due dita all'altezza del collo e mi fissò.
«È vivo, ma il polso è lento» mi disse piangendo.
«Resisti campione. Stanno arrivando e tutto questo non avrà più senso.» gli sussurrai all'orecchio. Baciai di nuovo quelle labbra ma questa volta più a lungo. Si mossero...
«T..i.m» disse con voce flebile.
«Sono qui amore mio»
Bastò il modo con cui mi chiamò, a farmi ricredere su ciò che avevo pensato. Era un combattente proprio come me. Il nostro amore poteva sfuggire anche a questa. C'è l'avevamo fatta, pensai.
«Non ti libererai facilmente di me..» Anche nei momenti peggiori sapeva essere sempre il solito buffone . Mi fece ridere nonostante le lacrime e gli occhi gonfi e arrossati. Sorrise debolmente al suono della mia risata.
«No non mi liberò facilmente» replicai portando di nuovo le mie labbra sulle sue impazienti di ricevermi.

***************
I paramedici arrivarono dopo dieci minuti che Sors aveva composto il numero per le emergenze. Assieme a loro  arrivarono anche due poliziotti. Lasciai quest'ultimi fare il loro dovere e poco importava cosa né facessero di Marc Chalamet. Ora la cosa più importante mi stava arreggendo la mano. Gliela strinsi e con l'altra gli accarezzai il viso pallido e sudaticcio.
Malgrado le quantità di sangue perso, Armie era ancora in forze. I paramedici non appena videro il foro e la rispettiva pozza sottostante, gli introdussero un accesso venoso sul braccio e con esso, instillarono diversi soluzioni saline.
Gli presero anche i parametri. Per primo misurarono la pressione e la frequenza per poi terminare con un strumento sul pollice. Non sapevo che cosa stessero rilevando ma su una cosa ero sicuro:aveva perso troppo sangue e il suo colorito cadaverico ne era una prova evidente.
«Dobbiamo portarlo in ospedale. Ha la pressione bassa e il respiro veloce.» disse la ragazza di nome Bratt. L' altro paramedico invece guardò Armie e con voce rassicurante gli disse: «Dovranno toglierti il proiettile. Inoltre hai perso molto sangue pertanto ti faranno anche delle trasfusioni.»
«va bene... Ma  per quanto devo tenere questo coso?» gli rispose indicando con il mento l'ago posizionato sul braccio sinistro.
Non potevo crederci. Di tante cose di cui poteva aver paura, quella era la più idiota che avessi mai sospettato. Aveva paura degli aghi?
«Che c'è da ridere.» mi chiese mentre lo issavano sulla barella.
«Sei proprio incredibile. Non hai avuto paura di una fucilata e ora basta metterti un ago per farti tremare come una foglia.» gli sorrisi di nuovo e anche lui mi accompagnò ridendo.
«Avevo paura che sparasse a te. Non potevo perderti. Io ti amo piccolo.»
Gli tappai la bocca con un dito. Non doveva sforzarsi ulteriormente.
«No pensare. Ora riposa» gli stampai un bacio veloce e leggero.
«Siete carini assieme» ci disse il paramedico Gabriela.
«Grazie.» le rispondemmo all'unisono.
Lasciai i paramedici portarlo via e mentre Sors ripuliva il sangue, dovetti parlare con i poliziotti.
Mi chiesero le dinamiche dell'incidente, di cosa avesse spinto mio padre a reagire in quel modo.  Gli raccontai la verità.
«Mi dispiace davvero. Faremo il possibile.»
Dichiararono l'arresto. Gli misero le manette  e lo portarono di là in salone. Prelevarono anche il fucile e lo depositarono in una busta per le prove.
«Scusami figlio mio.»
Prima di rispondergli mi avvicinai quel tanto che potevo per ritrovarlo a pochi centimetri dal mio viso.
La rabbia, l'ansia e la paura di perdere l'unica ragione della mia vita, erano scomparse.
Gli riservai lo stesso sguardo che poche ore prima mi aveva riservato lui: freddo, vuoto e determinato.
Presi il tempo necessario e dopo aver respirato profondamente gli dissi qualcosa che lo avrebbe ferito peggio di una fucilata.
«Tu non sei mio padre. Lui è morto tanto tempo fa.»
Uscii dall'appartamento di Saoirse, e salii sull'ambulanza in partenza per il Great Samaritan Hospital.
«Cosa faranno di tuo padre.» mi chiese con tanto di maschera d'ossigeno e con la sua familiare solarità.
Dopo tutto quello che era successo pensava a mio padre?
«Perché non rispondi» mi disse prendendomi una mano.
«Di lui non mi interessa cosa ne faranno. Mi interessa cosa faranno di te.»
«Starò bene.»
Lo guardai piangendo di gioia e lo abbracciai forte.
«Prometti che non farai più  una cazzata come questa. Prometti che non rischierai la vita per me.» sussurai al suo orecchio.
«Non posso» disse guardandomi con il suo oceano blu caldo e splendente. Diceva sul serio. Avrebbe di nuovo rischiato la vita per me. Era completamente testardo e ottuso. In quel momento però non volevo contraddirlo, perché mi bastava che lui era vivo. Vivo da poter di nuovo perdermi in quel sorriso raggiante che mi regalava solo e soltanto al suo Elio.

Tu sei il mio Oliver e io sarò il tuo Elio - La Scelta Di ContinuareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora