L'ambulanza arrivò in ospedale dopo dieci minuti che eravamo partiti dall'appartamento di Saoirse. Per tutto il tragitto avevo contemplato il suo viso barbuto e perfetto. Mi piaceva ogni cosa di quel volto. Dalle orecchie piccole e cicciottelle, dai lobi (una delle sue zone erogene) alle gote, il naso acquilino e dritto, le labbra sottili e liscie. Per ultimo mi lasciai il magnifico scintillio blu cobalto perché era la parte che preferivo di più di lui. Erano stati quegli occhi e ovviamente il sorriso vampiresco a scombussolarmi la vita. Ogni minima parte di Armie l'avevo memorizzata efficacemente nella mia mente.Tuttavia pensarlo e ricordarlo non era la stessa cosa di averlo accanto e poterlo assaporare da vicino. Non reggeva il paragone il semplice ricordo con la realtà. Nemmeno le mie solite allucinazioni o i sogni tormentati delle notti insonne, potevano competere. Avevo temuto di poterlo perdere per una follia immane e anche tutt'ora, nonostante sapevo che tutto era finito, che mio padre era stato arrestato, che Armie era cosciente e vicino a me, io mi sentivo ancora perso in quel limbo di paura. Una parte di me ancora era ferma al momento in cui mio padre aveva fatto irruzione in casa della mia migliore amica, sbraitando le sue idiozie sulla vergogna di avere un figlio "diverso" e mettendo in atto il suo folle piano di separarci. Invece la mia parte razionale e cosciente con il mondo esterno, era concentrata a capire il motivo di quell'assurda situazione. Come aveva fatto a trovarci?
Nessuno dei miei genitori sapeva che vivevo, anche se pur momentaneamente, da Saoirse. Nemmeno quando ero stato in ospedale e Sors aveva avvertito i miei di arrivare, avevo fatto trapelare notizie. L'unica che era al corrente di tutto era appunto la mia migliore amica. Anche se c'era un'altra persona che sapeva dove mi trovassi e saper cercarmi.
Non potevo crederci, non il sangue del mio sangue, pensai.
«Pauline» sussurrai senza farmi sentire da Armie.
Perché lo avrebbe fatto? Perché mai spifferare ai quattro venti tutto? Prima la mia storia con Armie e poi l'alloggio? Ripensai alle parole che mi aveva detto il giorno in cui era tornata dalle isole Baleari. Fai tu il primo passo, perdonali per ciò che hanno fatto. Mia sorella voleva a tutti costi che perdonassi mio padre. Che cosa avrebbe pensato una volta saputo ciò che Marc Chalamet aveva compiuto? Avrebbe ritenuto ancora, l'importanza di perdonare la persona che si identificava come nostro padre?
Pauline che lo volesse o meno, era complice di mio padre.
«Tim..» mi chiamò Arm mentre scendevamo dall'ambulanza e lo portavano all'ingresso del pronto soccorso.
Lo guardai. Era impaurito?
«Arm... andrà tutto bene» gli dissi accarezzandolo sul viso. Il paramedico Bratt mi chiese di aspettare nella sala del triage nel tempo in cui avrebbero visitato Armie nel box del pronto soccorso. Sapevo bene le procedure ospedaliere e in certi versi non potevo far altro che pazientare.
Lo lasciai nelle mani dei paramedici ma prima di farglielo portare via gli dissi :- Ci sono io qui. Non ti lascerò più. Te lo prometto Arm. Ti amo troppo.Mi prese la mano e se la portò sulle labbra per baciarla anche se con fatica.
«Tim non ho paura di ciò che mi faranno... ho paura che se chiuderò gli occhi ti vedrò scomparire.»
Sapevo dove voleva arrivare con il discorso. Se avrebbe chiuso gli occhi avrebbe rivisto ciò che stavo vedendo io: la luca metallica familiare e il suono dell'ira che gli ha spezzato le ali. Mi strinse il cuore nel vederlo così impaurito. Gli premetti forte le braccia attorno al collo. «Non scomparirò amore mio. Non scomparirò»
Lo portarono via dietro un porta scorrevole e con lui una piccola parte di me. Mi sedetti all'aperto vicino al parcheggio delle autoambulanze. L'aria fresca della notte mi aiutava a rimanere lucido e concentrato. Sentivo ancora la spossatezza derivata dalla tensione arrivata alle stelle. Se avessi potuto dormire mj sarei accasciato a ridosso di un'ambulanza. Ma il solo pensiero di chiudere gli occhi e di ripercorrere le ultime ore e gli ultimi minuti mi dava la forza necessaria per restare sveglio. Ero cotto ma poco importava. Dovevo rimanere in forze per Armie. Presto lo avrebbero portato in sala operatoria per rimuovere il proiettile.
Rabbrividii all'idea del mio ragazzo steso inerme e pallido sotto i ferri e sotto anestesia. Non era l'operazione in sé a farmi preoccupare, ma l'induzione del sonno che gli anestetici gli avrebbero procurato.
Ho paura di chiudere gli occhi e vederti scomparire, così aveva detto.
Ciò nonostante l'operazione chirurgica era l'unica via per poter riparare le ali del mio angelo.
«Di nuovo qui?» disse una voce femminile alle mie spalle. Mi girai per capire chi fosse.
«Non ti sei stancato ancora del pronto soccorso?» chiese l'infermiera.
La conoscevo, o meglio era stata lei a curarmi durante i miei giorni in ospedale.
«April?» domandai sorpreso e felice di avere qualcuno che conoscevo, vicino a me.
«Già... ma che ci fai qui? Ti sei fatto di nuovo male?»
«No no... sano come un pesce ma...»
Mi scrutò da cima a fondo e alzò un sopracciglio quando vide le macchie di sangue sparse sulla maglietta.
«Il mio ragazzo...» dissi con la voce smorzata dal pianto. Provavo dolore anche a parlarne ad alta voce.
«Ehy ...non fare così. Non sei obbligato a dirmi nulla se questo ti crea dolore.»
«Hanno sparato al mio ragazzo.»
«Mi dispiace tanto Timothee» mi abbracciò stretta al suo petto. Non sapevo il perché ma in quel momento avevo bisogno di un contatto fisico, di qualcuno che mi dicesse che non era successo nulla e che era solo stato uno scherzo di cattivo gusto.
«Starà bene. Qui al Samaritan sono bravi - disse incoraggiandomi - farò tutto il possibile per tenerti aggiornato.»
«Grazie April.»
«Posso sapere com'è successo?» domandò.
La sua curiosità era sincera e amichevole, eppure riusciva a provocarmi dolore anziché darmi conforto.
«Mio padre» bastò quella semplice parola a fargli capire come si era evoluta la faccenda. April aveva assistito, durante la mia ospedalizzazione, alla discussione con mio padre, perciò non le fu difficile collegare i fatti gli uni con gli altri. Osservai il suo mento stringersi e digrignare i denti per la rabbia. Da ciò che mi ricordavo anche lei aveva subito pesanti ripercussioni con la propria famiglia. Anche lei aveva combattuto la sua guerra da ben diversi anni e chissà se era rimasta illesa come il mio Armie. O forse era soltanto mio padre ad essere uscito fuori di testa quella sera?
«La famiglia sarà anche la cosa più preziosa che abbiamo ma è allo stesso tempo la cosa che ci fa star male di più al mondo.»
Mi scostai perché non volevo sporcarle la divisa. Mi asciugai le lacrime con la manica del giaccone.
«Rientro per vedere come procede la visita. Ti terrò aggiornato. Appena so qualcosa ti faccio sapere.»
«Come?» gli chiesi.
«Al gabbiotto del Triage. Per tutto il turno sarò lì.» mi toccò la guancia e tornò infine alla sua postazione. Mi misi di nuovo seduto affianco al veicolo e poggiai la testa. Chiusi solo per un attimo gli occhi e come avevo temuto prima, rividi con esattezza il sorriso che mi riservò prima di cadere, la luce argentea della canna del fucile e poi quel maledetto rumore freddo che con difficoltà n avrei trascurato.
Presi il telefono e mandai un messaggio a Sors
Da: me
A: Saoirse Ronan
Sono bloccato in ospedale. Armie è entrato in sala operatoria. Ho paura Sors. Anche se starà bene. Non riesco a scordarmi ciò che è accaduto.
Scrissi le ultime parole e inviai il messaggio. Andrà bene Timmy, Armie è in buone mani, ripetei il mantra per incoraggiarmi a non pensare al peggio. L'iphone vibrò per l'arrivo di una nuova notifica.
Da: Saoirse Ronan
A: Me
Timmy vedrai che durerà poco. Arrivo subito. Resisti campione. Fallo per Armie. Non farti trovare impaurito e afflitto.
Finito di leggere il messaggio mi alzai per dirigermi di nuovo al triage del pronto soccorso ma prima di varcare la porta scorrevole sentii il rumore tipico delle fusa di una moto da corsa. Sapevo già a chi apparteneva. Mi rigirai verso l'unica persona che non volevo vedere in quel momento. Poco mi interessava se fosse sangue del mio sangue. Era colpa sua se ci trovavamo qui, pensai mentre osservavo Pauline dritta negli occhi.
«Tim» gridò mia sorella scendendo dalla moto e correndomi in contro. Si catapultò addosso e senza darmi il tempo di allontanarla mi strinse a sé.
Guardai Giacomo parcheggiar la sua moto e venerci anche lui incontro. Mi diede una pacca amichevole guardandomi con uno sguardo dispiaciuto.
«Tim. Dov'è ? Come sta Armie?»
La continuai a guardare negli occhi senza dirle una sola parola. Aveva davvero il coraggio di presentarsi? Evidentemente si, dato che era lì di fronte.
«Ehy.. Tims di qualcosa... Armie ...»
«Armie? Ti rendi conto che cosa hai causato? »
Restò di stucco e con la bocca aperta.
«Tim che cosa c'entro io?»
« Se ti fossi stata zitta. Ora lui non si troverebbe sotto ai ferri. Nostro padre non avrebbe mai premuto il grilletto e non sarebbe mai venuto in quel cazzo di buco.»
Ricominciai a piangere ma questa volta non per il dolore che provavo ma per la rabbia che avevo nei confronti dell'unica persona che credevo fosse dalla mia parte. Fin da piccoli avevamo condiviso tutto, dalle nostre avventure fino ai nostri errori e mai e poi mai avevamo infranto la nostra promessa.
Inevitabilmente il mio pianto coinvolse anche il suo.
«Timmy io ... oddio scusami» disse stringendosi di nuovo attorno al mio collo. La scansai lontano facilmente e il mio gesto la ferì più delle parole dette.
«Hai infranto la nostra promessa. FINCHÉ VIVREMO ENTRAMBI, CI SAREMO L'UNO PER L' ALTRA. IL NOSTRO SANGUE NON VERRÀ MACCHIATO...»
«DALLA MENZOGNA, DAL TRADIMENTO E DALLE BUGIE...» terminò lei.
«Tim io non ho infranto nulla. Lasciami spiegare...,»
«Non voglio sentire altre bugie. Non voglio perdere tempo. Su una cosa papà aveva ragione: se una cosa ti sta a cuore, la difenderesti con i denti senza mollarla mai.- infine prima di voltarmi per entrare la guardai e aggiunsi- Tu mi hai mollato e questo mi basta.»**************
Corsi verso il triage e chiesi all infermiera dove potessi trovare April. Mi indicò il gabbiotto interno dove sedeva. Andai verso la sala interna con il cuore a mille e la mia mente che viaggiava a ruota libera su ogni conseguenza o possibilità.
«April.» la salutai.
«Tim.. sei arrivato giusto in tempo. Seguimi.»
Mi lasciai guidare all'interno del pronto soccorso del Great Samaritan Hospital. Superammo i box, anche quello dove ero stato ricoverato, per poi girare a destra e ritrovarci vicino a due ascensori. Prendemmo il primo e salimmo fino al terzo piano. Ci ritrovammo davanti ad un lungo corridoio che portava all'unico reparto: Chirurgia delle urgenze ed emergenze. Solo il nome mi fece accapponare la pelle.
«Dove stiamo andando» le chiesi.
«Il tuo Armie è lì. Lo hanno da poco portato giù dalla sala operatoria. È stato davvero fortunato perché il proiettile piccolo non ha perforato organi importanti, tuttavia ...»
«Che succede?»
«Ha toccato i nervi della coda equina.»
«che significa?» Iniziai a preoccuparmi sul serio. Aprì la porta del reparto e mi fece entrare. Sentii il puzzo tipico dell'ospedale. Il linoleum e le pareti verde acqua mi davano fastidio.
« Vuol dire che potrebbe rimanere paralizzato dalla vita in giù. »
Quando mi vide impallidire per ciò che aveva appena detto aggiunse in fretta:
«Però è ancora presto per capire se avrà tali conseguenze. I medici sono fiduciosi. Ecco qui..»
Arrivammo alla stanza 13 ed entrammo piano. La luce era soffusa e le macchine emettevano solo un lieve bip elettrico. Mi avvicinai lentamente verso il lettino. Armie era disteso e ricoperto da un telo verde. Indossava diverse accessi e gli elettrodi per monitorare l'attività cardiaca. Gli accarezzai la mano e il tocco leggerò lo destò dagli ultimi residui dell'anestesia.
«Sei tu.... E..l..i..o» disse con voce rauca e bassa.
«Sono io Oliver» risposi giocando con i nomi del film che avevamo preso parte. April mi guardò sorpresa.
«Tu sei quello di Call me by your name?»
Dopotutto il tempo che avevo passato in ospedale solo ora aveva capito chi ero?
«Si» le dissi ridendo.
«La tua ri-sa...ta.»
April uscì dalla stanza per lasciarci un po' di privacy. Ritornai a guardarlo.
«Shhh amore mio non sforzarti.»
Mi strinse la mano debolmente ma fu sufficiente a riempirmi il cuore di gioia e speranza.
«Sento freddo..» disse. Lo coprii con un ulteriore coperta.
«E sono nudo.» replicò arrossendo di brutto.
«Sei incredibile. Ti preoccupi che sei nudo ? Sei vivo cavolo. Sei vivo»
Gli presi il volto tra le mani e lo tempestai di baci su ogni piccola parte di esso. Per ultimo mi lasciai le labbra.
«Mi sta diventando duro Tim»
Risi e una mano la feci scivolare sotto il lenzuolo per capire se dicesse la verità. Si stava dicendo la verità.
«Non ho parole. Anche in punto di morte sei irreparabile Oliver»
«È la tua presenza che mi cura dai malanni, Elio.»
Lo baciai più volte.
«Dormi amore. Dormi.» gli dissi cullandolo tra le mie braccia.
«Resterai? Non andartene.»
«Dove vuoi che vada? Sei tu la mia luce. E se me ne vado potrei perdermi nel buio.»
Era la verità. La caratteristica del buio è che ci galleggi dentro: tu e l’oscurità siete separati l’uno dall’altra perché l’oscurità è assenza di qualcosa, è un vuoto. La luce, al contrario, ti avvolge delicatamente. Ti rende forte abbastanza da non smarrirti nel buio. Diventa parte di te e non ti lascia più.
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Tu sei il mio Oliver e io sarò il tuo Elio - La Scelta Di Continuare
Fanfiction«Io senza di te non saprei dove andare, né cosa significhi vivere se non ho te al mio fianco.. Tu sei il mio Oliver, Armie.... Ti prego amore mio ricordati chi eravamo e non lasciarmi affrontare questo abisso da solo.... Torna da me.» Le lacrime, il...