Tornai all'appartamento e senza perdere tempo corsi verso la camera in cui dormivo. Chiusi la porta alle mie spalle e solo dopo essere balzato sul letto, affondai la testa tra i cuscini e gridai per tirare fuori tutto il dolore che avevo trattenuto fin in quel momento. Non voglio vederti, aveva detto prima di tagliarmi fuori dalla sua stanza d'ospedale. Tre parole con gravità una peggio dell'altra. Tre parole che mi avevano lacerato all'interno.
L'avevo combinata grossa. Avrei dovuto restare in silenzio e lasciare ad Armie la possibilità di scegliere, di agire e di capire come rendere la verità, meno dolorosa per la moglie. Invece, preso da una sensazione di perdita imminente, ho dato retta alla mia stupida parte altruista e così facendo, avevo tolto ogni minima possibilità di rendere meno traumatica la notizia.
Che possibilità avrei avuto? Zero.
Strinsi forte il cuscino attorno l'addome, dove già iniziavano a farsi sentire le solite fitte di dolore. Lo conoscevo bene. Il dolore provocato dalle persone che amiamo, che ritieniamo più importanti e indispensabili per la nostra sopravvivenza, è quello che ti toglie il respiro anche quando dormi. Lo sentivo scavarmi da dentro e aprirsi un varco tutto suo, spezzare il respiro e lasciarti debole senza alcun modo di riprenderti. Le sue parole e il ghiaccio nei suoi occhi, mi avevano colpito a fondo. Giacevo sul letto immobile e contorto nel mio senso di colpa. Se mi fossi stato zitto e non avessi reagito in alcun modo alle pretese della moglie indignata, adesso non mi ritroverei a singhiozzare.
«Timmy» mi chiamò Saoirse entrando nella camera degli ospiti. Evidentemente mi aveva sentito tornare e sbattere la porta d'ingresso. Non mi ero decisamente accorto che, anche se avrei voluto non emettere un suono, i miei singhiozzi erano più rumorosi di una porta sbattuta in faccia.
«Ehy ma che succede? Stavo per uscire e venire in ospedale.» aggiunse guardandomi disteso in lacrime sul letto. Il silenzio che ci separava, era interrotto dai miei singhiozzi profondi.
«Non ce ne sarà bisogno.» risposi asciugando con la manica della camicia il viso per eliminare ogni traccia del pianto. Ultimamente mi veniva spontaneo lasciarmi prendere dalle emozioni, cosa che facevo difficoltà ancora a capire. Ora però sapevo che il motivo era solo uno: Armie mi odiava. Mi detestava perché mi ero spinto ad aiutarlo. Mi ero spinto fin troppo dentro la sua invalicabile corazza. E il risultato era l'opposto di ciò che avrei desiderato che accadesse.
Bastò il mio viso rigato dalle lacrime a farla agitare. Pensò il peggio precipitandosi subito ai piedi del letto. Si sedette sulla valigia ancora disfatta.
«Ti prego non dirmi...»
«Non è ciò che pensi.» le dissi zittendola subito.
«E allora? » chiese avvicinandosi e appoggiandosi sul letto.
«Ho fatto un casino. Un casino enorme.»
Gli raccontai dell'accaduto, della chiamata e della furia della moglie. Non tralasciai nessun dettaglio perché in fin dei conti, di dettagli non ce n'erano. Digrignò i denti sentendo il nome di quella donna. Ancora stentava a provare un minimo di compassione per Elizabeth Chambers, dato che era stata l'artefice delle mie sofferenze, del mio incidente e che tutt'ora continuava, in qualche modo, ad essere un appiglio scomodo nelle nostre vite. Rimaneva sempre la solita spina nel fianco, che andava ad oltranza a conficcarsi nelle profondità del mio rapporto con Armie. Era pur sempre sua moglie ma in qualche modo riusciva a provocare dolore. Questa cosa mi dava davvero i nervi.
«Mi ha cacciato. E me lo merito» le confessai. La granata era esplosa e l'unico a ferirsi ero io. Armie invece, oltre che a trovarsi in un letto d'ospedale, presto avrebbe dovuto combattere con la custodia dei figli. Signore, ti prego non lasciarglieli portar via, pregai mentalmente.
«Shhh. Non dire così. Ti sei preoccupato. Vedrai che lo capirà Armie»
«No invece. - mi scansai per vederla dritta negli occhi e farle capire la gravità di ciò che sarebbe successo da qui in poi- non vuole più vedermi.»
«Perché dici così? Che significa che non vuole più vederti?»
Saoirse era più confusa del solito. Ci aveva lasciati solo poche ore prima, in procinto di andare in ospedale subito dopo averci visto assieme e solo ora le andavo a blaterare l'odio che iniziava a insinuarsi tra me, la moglie e il mio ragazzo. L'odio era più che giustificato per le conseguenze delle mie azioni, come lo era nei confronti dei suoi divertimenti mattutini con Pierre. Odiavo ogni cosa di quella donna, i capelli portati fino alla vita bassa, le unghie sempre curate e i vestiti sempre abbinati con le scarpe. Cosa ci aveva visto Armie nel sposarla proprio non lo capisco. Non era un tipo brutto fisicamente, ma caratterialmente era pessima.
«Perché gli ho tolto l'unica ragione per cui lui continua a vivere. I suoi figli.»
Mi abbracciò più forte che poté per dissipare la sofferenza che avvertivo. Tuttavia quel suo gesto mi faceva sentire ancora più in colpa del dovuto. Mi sentivo un verme, un ipocrita ed egoista. Non avevo pensato per niente alle conseguenze, ad Armie, o a sua moglie. Avevo solo giocato come un cretino, con un ordigno pericolante e pronto ad esplodere.
La granata aveva sortito il suo effetto. Era scoppiata tra le mie mani, colpendomi più forte che mai. Non era stata sua moglie, o le offese lanciatemi contro per difesa, ad attivarla. Erano state le parole, lo sguardo blu oceano e la fermezza di Armie a detonare la granata.
La durezza del ghiaccio nei suoi occhi voleva significare una cosa sola: la parte migliore del noi, di ciò che siamo, ora era in bilico per colpa mia e difficilmente sarebbe tornata indietro. Il tutto dipendeva da ciò che avrebbe scelto Elizabeth. Sua moglie avrebbe senz'altro combattuto più ferocemente. La sua determinazione mi metteva paura perché su quello era impareggiabile. La risolutezza con cui agiva Elizabeth superava di gran lunga quella di mio padre, perché sapeva dove mirare senza recare danni fisici, ma semplicemente colpire nel più profondo. Conosceva suo marito meglio di me e l'unica cosa che teneva di più al mondo, ora stava a casa, chiedendosi dove fosse finito loro padre.
Quanti giorni erano trascorsi da quando Armie era scappato di casa? Cinque giorni? O forse una settimana? Stava di fatto che il piccolo Foster e sua sorella Harper, ne sentivano la mancanza e l'avrebbero percepita di più, se Elizabeth avrebbe intrapreso la battaglia sulla custodia. Me lo sentivo nel profondo, come un peso sulla bocca dello stomaco. Mi sentivo oppresso, schifato di me stesso, e ansioso solo a pensare ad una cosa del genere: avrebbe tolto per sempre i figli ad Armie e con loro avrebbe perso anche me.
«Lo perderò... Saiorse. Lo perderò.»
«Sono solo stupide supposizioni. Ora non cominciare a pensare al peggio.»
«Pensare al peggio? Qui ci sta in ballo la felicità di Armie e della sua famiglia. Io non voglio esserne l'artefice della rottura.» le dissi ormai spazientito di tutta la situazione.
«Difatti non lo sei e non lo sarai mai. Guardati - disse indicandomi - sei un ragazzo normale, buono e altruista. Come fai a considerarti uno schifo?»
Se voleva risollevarmi su di morale era lontano anni luce. Lei non aveva visto la chiarezza, la fermezza con cui Elizabeth parlò a suo marito.
Non poteva capire la serietà. Non volevo che Armie rinunciasse ai figli, per causa mia.
Sarei tornato in ospedale e anche se non mi avesse guardato negli occhi, gli avrei detto ciò che stavo pensando: se mi ami consentimi di aiutarti, altrimenti tutto questo è stato solo una falsa e una perdita di tempo.Mi alzai di scatto.
«Vado a farmi una doccia e dopo mi riaccompagnerai in ospedale. Devo parlargli» dissi con un tono serio e conciso.
«Esatto. Così si fa. Non devi buttarti giù di morale»
«Ho capito. Basta parlarne.» le risposi acido. Mi diressi in bagno dove mi chiusi a chiave. Senza pensarci, come avevo fatto tante volte, aprii la doccia e dopo essermi svestito mi fiondai sotto il getto d'acqua fredda.
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Tu sei il mio Oliver e io sarò il tuo Elio - La Scelta Di Continuare
Fanfiction«Io senza di te non saprei dove andare, né cosa significhi vivere se non ho te al mio fianco.. Tu sei il mio Oliver, Armie.... Ti prego amore mio ricordati chi eravamo e non lasciarmi affrontare questo abisso da solo.... Torna da me.» Le lacrime, il...