8. Forse avrei dovuto starmene in silenzio.

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«Elizabeth» disse Armie sbiancando completamente e vedendo sua moglie bloccata.
Lei era ferma sull'uscio della porta con la stessa colorazione pallida di suo marito e una faccia che mai e poi mai, sarei riuscito a dimenticare: inorridita, schifata e incredula. Una combinazione perfetta per ciò che aveva scoperto. Mi scostai da Armie spostando le braccia da un'altra parte. Scesi dal letto ma restandogli comunque accanto.
«Non è vero. Vi prego ditemi che è uno scherzo» iniziò a dire spostando lo sguardo velocemente da me ad Armie e viceversa. Mi strinsi attorno al  suo braccio perché inspiegabilmente avvertivo una certa pressione provenire da sua moglie, dalle sue parole e ovviamente dai suoi occhi glaciali.
Oltre ad essere inorridita era anche arrabbiata e il suo sguardo rivolto a me, ne era una prova. Occhiata assassina era più che idonea per definire il suo modo di scrutarmi. Se avesse avuto la possibilità di uccidermi o farmi in mille pezzi all'istante, l'avrebbe colta senza remore.
Armie si spostò sul bordo del letto, si staccò gli elettrodi dal torace e il saturimetro e si mise in piedi. Barcollò e se non lo avessi sorretto da dietro, sarebbe caduto facilmente. Lo feci accomodare di nuovo sul letto d'ospedale. Il semplice atto di alzarsi gli costava uno sforzo enorme e gli richiedeva anche un respiro immane.
«Lasciami spiegare Elizabeth.»
Provò ad alzarsi ma glielo impedii questa volta.
«Non puoi alzarti.»
«Timotheé spostati.» rispose freddo e con un mano mi scansò. Quel gesto distaccato fu più glaciale rispetto al mio nome pronunciato per intero.
Me ne fregai della sensazione flemmatica che sentivo in quel momento e provai di nuovo ad oppormi per il suo bene.
«Per favore, ti indebolirai, se starai in piedi.»
«Ti ho detto di scansarti» disse più convinto e con la stessa tonalità di prima.
«Da quanto tempo che va avanti questa tresca? Da quanto tempo scopi con quello stupido ragazzino?» disse indicandomi con le sue lunghe unghie curate. Tremava in tutto il corpo per quanto fosse adirata. Mi ero sbagliato a pensare che avessi lanciato nelle sue mani una granata. Elizabeth stessa era la granata pronta ad esplodere.
E il più vicino era Armie. Non potevo permettergli di prendersela con lui. Sarebbe crollato di nuovo. La granata gliela avevo lanciata di proposito e pertanto era più opportuno che fossi io a pagarne le conseguenze. Forse avrei dovuto approcciarmi in modo diverso.Tutte quelle nozioni, suo marito in un letto di ospedale sopravvissuto per miracolo alla furia di mio padre, lui che mi bacia e io che lo assecondo tirandolo sempre di più verso il mio corpo, l'avevano colpita velocemente senza darle la minima idea di capire cosa stesse succedendo. Ora compresi il motivo per il quale Armie mi aveva avvertito di lasciar perdere: era meglio darle il tempo necessario per metabolizzare il tutto  più lentamente anziché conferirgli un colpo devastante in quel modo. Era una donna imprevedibile.
«Elizabeth calmati. Dammi il tempo di spiegarti»
«Il tempo l'hai avuto abbastanza. Scommetto che quando uscivi era per scopartelo, non è vero?» domandò quasi urlando.
«Per favore. Non fare così.»
Mi intromisi per calmare le acque già agitate. Tutto ciò non faceva bene ad Armie. Aveva appena subito un'operazione e perso sangue, il minimo che doveva fare, era restare fermo e riposare, invece se ne stava in piedi con una mano appoggiata sul fianco sinistro ad affrontare la moglie.
«Arm. Per favore...»
«Per favore. Per favore... sai solo dire questo stupido ragazzino? Ti rendi conto della gravità ?» disse finalmente incenerendomi con i suoi occhi castano ambrati.
Si me ne rendevo conto della gravità della situazione e anche delle sue parole taglienti come lame di coltelli. Per un attimo rimasi sconcertato dal fatto che avesse ragione, che la colpa era di nuovo mia e che avevo messo di nuovo scompiglio alla vita di Armie. Era davvero schietta nel farmelo notare. Potevo darle torto?
«Si» le risposi abbassando lo sguardo.
«Beth non prendertela con lui. La colpa non è di nessuno. Lasciami spiegare.» disse Armie prendendo le mie difese.
«Sentiamo cosa ha da dire il mio dolce marito. Sentiamo le cazzate. Sono troppo curiosa di capire come tutto è iniziato.»
Quel tono di voce mi stava facendo innervosire. Come si permetteva di entrare e adirarsi peggio di una scimmia? Era stata la prima a giocare quella carta perciò che senso aveva rifilare la stessa romanzina?
« Non sono cazzate. Tu..- le dissi avvicinadomi sempre di più.- dopo esserti attaccata a Pierre per non so quanto tempo, vieni a farci il terzo grado?»
« Timmy che stai cercando di...»
«Sta zitto» gli dissi questa volta con la sua stessa freddezza.
Lo guardai e capii che anche la mia freddezza aveva fatto segno.
Ripresi a guardare la donna più falsa e ipocrita della terra.
«Allora non dici niente?» le domandai.
Mi schiaffeggiò con forza.
« Tu devi essere l'ultimo a parlare. Quello che faccio io sono affari miei. Chiaro?» mi urlò dentro un orecchio.
Automaticamente gli diedi una spinta per farla arretrare ma, mettendoci troppa forza, la feci cadere all'indietro.
«Timmy cazzo.» disse Armie zoppicando in direzione della moglie. Si accovacciò per aiutarla a raddrizzarsi e tirarla su, ma Elizabeth scansò  il suo tentativo di aiuto e si rialzò da sola.
«Non mi toccare lurido porco.»
«Scusami Elizabeth.. non volevo..»
Non mi lasciò terminare che subito mi inveii di nuovo contro e questa volta guardò entrambi.
« Le scuse te le puoi benissimo ficcare in quel posto dove mio marito sicuramente ha già trovato piacere. E tu- disse rivolgendosi ad Armie- preparati per bene. Perché oggi sarà l'ultima volta che mi vedrai così. Non te la farò passare liscia.»
Si rigirò per andarsene ma Armie la prese per un braccio per trattenerla. Elizabeth gli tirò di nuovo un ceffone in pieno viso e con le lacrime agli occhi lo guardò persa.
«Mi dispiacerà solo per i nostri figli.» Detto ciò se né andò lasciando dietro di se un'aria triste.
Armie rimase imbambolato sulla porta mentre tremava e piangeva. Gli andai incontro e lo abbracciai da dietro. Era tutta colpa mia. Se solo mi fossi stato zitto, pensai.
«Ti prego amore mio. Scusami.»
Le sua mani si appoggiarono sulle mie, le prese con durezza e le scansò velocemente.
«Non mi toccare.»
Se poco prima le parole non aveva fatto effetto, ora aveva colto il bersaglio. Più pensanti di un macigno, avevano fatto breccia destabilizzandomi del tutto.
Mi osservò come la sera della festa di Pauline: i suoi occhi blu non erano più caldi come li conoscevo. Adesso erano vuoti e freddi.
«Io...» incominciai a parlare.
«Non dire niente- mi urlò contro-  non hai idea di cosa hai fatto. Pensi di risolvere qualcosa, intromettendoti sempre? Credi che mi ha salvato la vita? Mi ha fatto perdere l'unica possibilità di concludere per bene con mia moglie.»
«Per favore non fare così.» gli dissi iniziando a piangere.
«Ti ho detto di starmi lontano.»
Accontentai il suo desiderio anche se sapevo che non voleva ciò che andava dicendo.
« Vattene. Cazzo Vattene.... Timmy... non voglio vederti.»
Indietreggiai quel poco per ritrovarmi fuori dalla porta.
«Armie ti prego non farlo.»
«Non mi hai dato scelta. I miei figli sono la cosa più preziosa per me. Vattene e non farti più vedere.»
Mi sbattè la porta della stanza in faccia.
Non provai nemmeno a rientrare, perché le sue parole erano stato coincise e veritiere:  i figli contavano più di ogni altra cosa, più del noi, del nostro amore.
Corsi via dal reparto, lasciandolo solo con i suoi rimorsi, con la sua rabbia. Anziché trovare una soluzione, avevo creato un nuovo problema e forse più grosso di prima.

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Tu sei il mio Oliver e io sarò il tuo Elio - La Scelta Di ContinuareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora