13. Vie di fuga.

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          22 Novembre 2006

Sono cinque giorni che non penso  ad altro che a studiare, studiare e studiare. Preferivo distrarmi in questo modo e perdermi nelle materie anziché ammettere, che nonostante quel che era successo nel bagno del dormitorio, che nonostante i tentativi (attentamente studiati) di evitare il suo sguardo con scrupolosità e di non parlare con nessuno, mi era piaciuto il suo lieve e conciso bacio.
Da quel momento in poi riuscivo più a guardarmi allo specchio perché ripudiavo non la mia immagine di atleta e studente modello, ma la fragilità con cui il mio volto, le mie labbra non si erano opposte al magnetismo del suo corpo.
Proprio per questo lato nuovo  appena uscito fuori, dovevo in qualsiasi modo smettere di pensare al movimento leggero ma affamato, delle sue labbre sulle mie. Più ricordavo e più odiavo la mia immagine riflessa in qualsiasi superficie riflettente.
Il meglio che potevo fare era viaggiare attraverso secoli di storia ove scrittori e filosofi di diverse etnie mi avrebbero senz'altro aiutato a tenere a bada i pensieri ed emozioni e miei ormoni che ultimamente erano schizzati alle stelle. Mi vergognavo anche ad doverlo ammettere, ma dopo quello strano incontro al bagno, dovetti masturbarmi diverse volte in questi giorni. Non perché volessi rievocare quel preciso momento, semplicemente volevo scarica l'eccessiva produzione di testosterone. Trovai comunque un altra via per non pensare.
La grammatica italiana, letteratura spagnola, francese e tedesca e infine la mia amata lingua americana, erano ormai diventatate le mie ultime scoperte, le mie uniche amiche. Avevo  allontanato anche Colin dalla mia cerchia d'amicizia ristretta, data la sua effimera e inevitabile curiosità. A stento parlavamo in aula dove si tenevano le lezioni. Il massimo che potevamo fare era scambiare solo due parole di convenienza riguardanti gli esami imminenti. Ho studiato le recenti ricerche affidateci? Aveva chiesto. Si, anche i relativi approfondimenti, gli avevo risposto un giorno mentre aspettavamo il professore di Filosofia Greca e Latina.
Poi dopo quella conversazione non ebbi più modo di parlargli. Ne sono sia contento che dispiaciuto. Ero contento perché, non avendo modo di colloquiare, ero riuscito nel mio intento e cioè non dirgli nulla di me e di Clarke. Anche perché non c'era nulla da dire, pensai, proprio niente di niente.
Dall'altro mi dispiaceva evitare ogni suo minimo approccio per parlarmi. Colin è stato l'unico dei pochi che ho conosciuto da quando sono iscritto qui alla California University. Mi perdonerà un giorno? Se gli passerò le soluzioni delle versioni di latino e greco prima degli esami, magari tornerà a parlarmi un giorno?
Speravo con tu me stesso che, dopo tutto quel casino, sarei tornato a scherzare come facevo sempre, con il mio migliore amico.
Tornai a guardare le prime righe che avevo scritto su un pezzo di un testo spagnolo. Ero partito a scrivere per l'introduzione, la mia opinione su alcune delle parole dette dallo scrittore che stavo studiando.
Il testo da me scritto, alludeva al fatto di non sentirsi in trappola quando la vita ci forniva vie di fuga impossibili da trovare. Proprio quando meno ce lo aspettavamo, quando pensavo di non riuscire a varcare una seconda porta per fuggire, arrivava quella soluzione che tanto stavamo aspettando con ansia e si anche paura. La soluzione che all'inizio avevamo pensato fosse banale e senza senso, e solo dopo aver aperto gli occhi, ci accorgevamo che era proprio quella più sensata ed efficace. Sarà la stessa decisione che permetterà di non sentirci in trappola e finalmente  di fuggire come sempre avevamo desiderato. Questo avevo scritto per quanto riguardava il discorso della trappola umana: la nostra mente.
Era facile a scriverlo per una banale relazione, ma a metterlo in pratica era molto più difficile e complicato date le mille domande alle quali non sapevo ancora trovare una semplice risposta.
Avevo provato a pormi i giusti dubbi su ciò che era successo e in tal modo trovare una spiegazione plausibile ai giorni di estrema clausura. Per primis decisi di trovare un punto in comune tra me e quel ragazzo. Risultato? Non era uscito un bel niente se non un odio profondo che provavo tutt'ora nei suoi confronti. Lo odiavo perché mi aveva fatto capire un'altra cosa appartenente al punto numero due.
La domanda del secondo punto era: il suo bacio, le mie ginocchia strette attorno ai suoi fianchi, le sue braccia che mi attiravano attorno a sé per non darmi la possibilità fuggire, e in fine la sua saliva che si mescolava alla mia, mi erano piaciuti a tal punto da evitarlo oppure lo avevo assecondato solo perché si sbrigasse a terminare il suo obiettivo?
Il suo obiettivo fin, da quando mi aveva consegnato il badge di riconoscimento al bagno degli uomini, ero io. Gli piacevo eccome, altrimenti Clarke non mi avrebbe spinto contro le mura per baciarmi, non mi avrebbe messo una mano sul mio membro per sentirlo duro ed eccitato tra le sue dita. Se non fosse ciò che è, e non mirasse a scombussolarmi l'esistenza, a mangiarmi con i suoi occhi grigi, forse e ripeto forse, mi sarebbe piaciuto averlo come amico.
Tra tutte i quesiti quello essenziale da porsi era, la mia ostentata voglia si fuggire da Clarke era dovuta al bacio oppure alla verità che piano piano stava venendo a galla?

Tu sei il mio Oliver e io sarò il tuo Elio - La Scelta Di ContinuareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora