21. Caffè e campeggio

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Ricordavo il silenzio. Un lungo, lugubre silenzio. Ricordavo anche il profumo. Un profumo fresco di limone, caldo di affumicatura. Ricordavo persino la sensazione sulla pelle. Un tocco delicato, dolce e protettivo.

Mi sforzavo di ricordare solo quei tre elementi del viaggio di ritorno. Li ripetevo in loop nella mente. Pensavo a quelle tre cose per non pensare che Liam era in ospedale e si stava riprendendo dall'operazione.

Harry mi aveva spiegato – quando eravamo arrivati a casa sua – che Drew aveva sparato a Liam alla spalla, ma non era in condizioni critiche. June, Zayn e Niall lo avevano accompagnato in ospedale e ora si trovavano ancora ad Atlanta. Ai medici avevano raccontato che erano andati a casa di Zayn e avevano sentito un rumore, come se ci fossero stati dei ladri, così Zayn aveva preso la pistola e per sbaglio gli era partito un colpo.

Quella sera avevo pianto ancora a lungo tra le braccia di Harry e poi mi ero addormentata di nuovo nel suo letto ancora vestita e con le scarpe ai piedi. Eppure mi svegliai sotto il lenzuolo con addosso solo la maglietta.

Mi guardai attorno, gli occhi mi bruciavano parecchio e strofinarli non servì a niente. La camera era luminosa e il letto sfatto, ma c'ero solo io. Non sentivo rumori, il silenzio era opprimente in quell'appartamento poco spazioso di Orange Street.
La finestra era aperta e il vento gonfiava le tende bianche facendole assomigliare alle vele di una nave che prendeva il largo.

Avrei voluto essere su quella nave, allontanarmi da New York e lasciarmi alle spalle le rapine, i brutti momenti, le lacrime.

Decisi che il primo passo era alzarsi da letto, così mi misi a sedere e appoggiai i piedi nudi sul pavimento freddo. Mi passai una mano sulla faccia e chiusi i capelli in una crocchia malfatta. Mi alzai e andai a lavarmi la faccia. Guardandomi allo specchio vidi una ragazza con gli occhi leggermente arrossati e le labbra screpolate.
Mi trascinai in cucina e cercai qualcosa di commestibile per fare colazione. Harry non era in casa e dovetti arrangiarmi per cercare le stoviglie.

Avevo finalmente trovato una tazza per il latte quando sentii il portoncino di casa aprirsi, dopo qualche secondo Harry entrò in cucina. Mi voltai verso di lui e gli sorrisi forzatamente. Non avevo le forze per apparire bella e gentile.
Lui posò un sacchetto bianco e due bicchieri di caffè sul tavolo.

   «Sei bellissima», mi disse avvicinandosi.
«Sembro un mostro», ribattei appoggiando a mia volta la tazza sul tavolo.
«Non è vero, sei naturale», mi mise le mani sui fianchi e tirò verso il basso l'orlo della maglietta. «Non mi dispiacerebbe vederti tutte le mattine in cucina con una maglietta e i capelli a casaccio mentre ti prepari la colazione», mi sorrise e mi lasciò un bacio sulla punta del naso facendo sorridere che me. Lo abbracciai e gli accarezzai la schiena mentre lui faceva lo stesso con me.
«Facciamo colazione», lo pregai.

Harry si sedette e mi fece accomodare sulle sue gambe. Presi il bicchiere di caffè e ne trangugiai metà.
«Pensavo che potremmo restare a casa oggi, solo io e te. Che ne dici?», disse dopo aver addentato un croissant.
«La trovo un'ottima idea», bevvi un altro sorso e poi posai il bicchiere sul tavolo. Gli accarezzai i capelli mentre lui beveva il suo caffè.

Finimmo di fare colazione in silenzio nel frattempo che Harry mi faceva le coccole. Era un momento decisamente rilassante e avrei voluto durasse in eterno.
«Pensavo ad una cosa 'sta notte», mi disse mentre mi sedevo di nuovo in braccio a lui, questa volta sul divano. «Per il quattro luglio ho bisogno di un vestito», sorrisi guardandolo nei suoi occhi verdi e luminosi.
«Possiamo andare a comprarlo insieme, anche io ne ho bisogno», proposi.
«Come una vera coppia», intrecciò le nostre dita facendomi sorridere.
«Siamo già una vera coppia».

Upside down |H.S.|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora