19. Post-it e Atlanta

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L'aria era fresca, ti accarezzava la pelle senza che tu te ne accorgessi subito ma più tardi l'avresti sentita piacevolmente fredda. Mi venne in mente una circostanza simile ma completamente differente. Io adoravo il mare – Harry se n'era accorto ad Isle of Palms –, ma ancora di più amavo la sensazione della pelle calda a salata dopo una giornata in spiaggia.

   «Ti va di venire a casa mia?», mi chiese Harry mentre attraversavamo la strada per raggiungere la Aston Martin.
   «Sì, va bene», gli presi la mano cercando di sembrare il più naturale possibile. Avrei davvero voluto che funzionasse tra di noi. Lo sentii stringere di più la mia mano e quel semplice gesto mi scaldò il cuore prima di farlo battere veloce.

Era stupido, lo sapevo bene, ma ritenevo che quella leggera stretta dicesse molto più delle parole. Quella pressione in più significava – o almeno speravo che significasse – che lui
mi avrebbe tenuta al sicuro, era come quando da piccoli i genitori ti prendono per mano per attraversare la strada: lo fanno per proteggerti. In quel momento tornai bambina e decisi di farmi guidare ciecamente e incondizionatamente da Harry. Sarei andata ovunque con lui che mi teneva per mano e desiderai che non la lasciasse mai andare. 

Durante il tragitto verso casa sua ascoltammo musica in silenzio godendoci il sole che tramontava lentamente dipingendo di arancione il cielo altrimenti azzurro. Era uno spettacolo stupendo.

Una volta ero andata a vedere il tramonto dal Top of the Rock: l'Empire State Building si stagliava imponente davanti a me ed emergeva imponente e alto tra gli altri grattacieli. In lontananza si vedeva l'oceano grigio, così calmo e tranquillo rispetto alla frenetica città in cui abitavo.

Arrivammo a casa di Harry velocemente e lui mi scortò fino alla porta del suo appartamento. Era come lo ricordavo, semplice, con un arredamento essenziale ma di buon gusto, sembrava essere uscito da una di quelle riviste di arredamento.
Lasciai cadere la borsa sul pavimento dell'ingresso e lo imitai mentre si toglieva le scarpe. Poi Harry mi prese di nuovo per mano e mi portò in camera da letto.

   «Ti do una maglietta per dormire», mi disse aprendo l'armadio. Io mi dedicai invece ad esplorare la stanza. Era anche quella semplice ed essenziale, con una scrivania ordinata sulla quale si trovavano due blocchi per gli appunti impalati uno sull'altro, una lattina di salsa di pomodoro vuota e riciclata come portapenne (che conteneva due matite e una penna blu), un laptop chiuso e una cornice nera con dentro una fotografia molto probabilmente scattata da lui.

Mi avvicinai alla scrivania e presi in mano la cornice. La foto era stata scattata dall'alto e ritraeva una radura verde con in mezzo una pietra, era estate e la luce del sole filtrava dalle foglie verdi degli alberi da cui probabilmente era stata scatta la fotografia. Dava un senso di particolare tranquillità.

   «È vicino a dove abitavo da bambino, c'era un bosco e quando ero nervoso o triste andavo sempre a sedermi su quella pietra a pensare. È diventato il mio luogo preferito e allora ho deciso di portarlo a New York», mi spiegò notando il mio interesse.
   «È un posto molto bello», ammisi riponendo sulla scrivania la cornice nel punto esatto in cui si trovava.
   «Ti lascio cambiarti, io vado a preparare un tè, ne vuoi?».
   «Sì, grazie», gli sorrisi e lui uscì dalla camera. 

Mi sfilai gli abiti e li lasciai sul pavimento, poi indossai la maglietta grigia che Harry aveva lasciato sul letto e infilai sopra agli slip i boxer puliti  che mi aveva dato. Mi sedetti sul letto e aspettai che Harry tornasse.

Poco dopo lui entrò in camera con due tazze in mano. Me ne porse una e si sedette vicino a me. Soffiai sulla bevanda calda e la sorseggiai lentamente.
   «Sei silenziosa», osservò Harry.
   «Sono un po' agitata per domani», ammisi.
   «Andrà tutto bene, ce la faremo, vedrai», mi tolse la tazza dalle mani e la posò sul comodino, posò la sua e si sedette con la schiena appoggiata alla testiera del letto, divaricò le gambe e mi fece mettere tra di esse. Rilassai la schiena contro il suo petto e lui mi abbracciò posandomi le mani grandi sulla pancia.

Upside down |H.S.|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora