6. Tatuaggio e finestre

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«Pensi davvero che io voglia essere dal tatuatore?», chiesi sollevando un sopracciglio nella sua direzione.
«E tu pensi davvero che mi interessi? Io ho un appuntamento tra cinque minuti», mi spiegò. «Se vuoi entrare bene, altrimenti puoi prendere i mezzi pubblici e tornare a casa da sola», mi espose le mie opzioni e alla fine sbuffai precedendolo con passo svelto nel piccolo negozio. C'era una stanza abbastanza ampia con un bancone nero dietro il quale stava una ragazza dai capelli rossi e le braccia ricoperte di inchiostro, che parlava al telefono e segnava qualcosa, probabilmente appuntamenti, su un calendario. Davanti al bancone una serie di poltroncine nere erano disposte in bell'ordine contro le bianche pareti che delimitavano l'area d'attesa, separata da una porta nera dalla stanza nella quale, presumibilmente, venivano fatti i tatuaggi.
Quando la rossa tatuata finì la telefonata si concentrò su di noi, in particolare su Harry. Quest'ultimo si avvicinò a lei e con garbo e un tono seducente le chiese se un certo signor Shep fosse già disponibile; lei, sciogliendosi come ghiaccio al sole, gli indicò la porta e farfugliò qualcosa balbettando. Patetico, pensai. Harry tornò da me, che stavo facendo finta di non aver ascoltato la conversazione fingendomi interessata ad alcuni disegni e bozzetti di tatuaggi raccolti in un quaderno ad anelli che avevo raccolto dal tavolino basso davanti a me.
«Tra poco ha finito il tatuaggio del tizio che c'è dentro, dopo tocca a me. Se vuoi puoi entrare», mi disse ammiccando.
«Dipende dove vuoi fare il tatuaggio», risposi facendo una faccia schifata provocando la sua risata.
«Sul braccio, ma posso sempre decidere di farlo in un altro posto se preferisci», ribatté ammiccante. Gli diedi un pugno sul braccio e scoppiai a ridere contagiata dalla sua risata roca ma allo stesso tempo limpida e cristallina. Mi persi in quel suono nuovo che mi affascinava, tanto che mi ritrovai in silenzio ad ascoltarlo ridere.
«Qualcosa non va?», mi chiese tornando serio notando che io mi ero ammutolita. Sorrisi scuotendo la testa.
«Niente. Mi sono ricordata di una cosa», mentii.
«Una cosa bella?», mi chiese, quasi con la voce di un bambino curioso.
«L'anno scorso ho deciso di farmi un tatuaggio, ma poi non ho mai avuto l'occasione per farlo. Oggi sarebbe un buon giorno per farmi imprimere qualcosa sulla pelle, non credi?», in effetti avevo avuto questo desiderio l'anno precedente, ma poi l'avevo chiuso nel cassetto. Mi sarebbe veramente piaciuto farne uno e quello mi sembrava un momento adatto.
«Cosa ti piacerebbe?», mi domandò.
«Non ne ho idea. Qualcosa di piccolo, non mi piacciono particolarmente quelli appariscenti», spiegai.
«Un cuoricino? Una stellina? Un infinito?», mi prese in giro.
«No, che schifo! È troppo banale!», mi lamentai. Ad un tratto mi venne in mente il tatuaggio perfetto, dovevo solo trovare un disegno che mi piacesse, perciò andai su internet.
Harry, seduto accanto a me sulle poltroncine della sala d'attesa, si sporse oltre la mia spalla per vedere lo schermo del mio cellulare.
«Un gufo? Penso che sia classificabile nella categoria "tatuaggi scontati"!», sollevò un sopracciglio e lo guardai male.
«Non se ha il mio significato!», ribattei.
«E quale sarebbe il tuo significato?», mi chiese.
«Perché fai troppe domande?», chiesi a mia volta al riccio.
«Perché non hai risposto alla mia domanda?».
«Perché tu non rispondi alla mia», risposi compiaciuta.
«Sei veramente...», non seppi com'ero veramente perché il tatuatore uscì dal suo studio accompagnando una ragazza con la pellicola sulla caviglia, dove aveva appena fatto il tatuaggio. L'uomo era parecchio grosso, con la barbetta ispida e i capelli chiusi in una cipolla. Le braccia, prevedibilmente, erano ricoperte dall'inchiostro colorato dei suoi mille tatuaggi. Si avvicinò a noi, che ci alzammo in piedi, e diede una pacca amichevole sulla spalla di Harry.
«Ma guarda chi si rivede!», esclamò a voce alta... Shep? Sì, mi pare lo avesse chiamato così la ragazza rossa.
«È venuto il momento di farne un altro», disse Harry solennemente. Solo a quel punto Shep si accorse della ragazza a fianco del riccio, cioè io.
«E questa chi è?», chiese ad Harry con il tono di chi la sa lunga.
«Una mia amica, anche lei vorrebbe fare un tatuaggio», aggiunse il riccio.
«Bene, allora non perdiamo tempo!», esclamò Shep facendoci accomodare nel suo studio. La stanza era illuminata da lampade al neon che correvano in alto sulle pareti grigie. Attaccate ad esse le foto di alcuni tatuaggi bellissimi celebravano la carriera dell'uomo che stava cambiando la carta protettrice del lettino da dottore posto in mezzo alla stanza.
«Chi è il primo?», chiese rivolgendosi a me e Harry.
«Io, per te va bene Meg?», mi chiese il riccio.
«D'accordo», risposi distrattamente mentre pensavo a dove fare il tatuaggio. Il collo era fuori discussione, posti che tutti potevano vedere (come mani, braccia o gambe) non erano indicati per un tatuaggio di quel tipo: non lo facevo per mostrarlo alla gente, lo facevo per me. Pensai di farlo sull'anca, ma poi cambiai idea e decisi che il posto migliore era sul fianco sinistro all'altezza del seno. Sarebbe stato vicino al cuore. Il gufo infatti per me rappresentava ben quattro concetti che io ritenevo fondamentali. Il primo era la famiglia: i miei genitori mi avevano regalato un portachiavi a forma di gufo come portafortuna quando avevo preso la patente. Il secondo era quindi la fortuna e il terzo era la macchina, il mezzo che mi teneva sempre collegata con il passato. Il quarto concetto e significato del gufo era perciò il legame onnipresente tra il passato, il presente e il futuro. In onore della mia famiglia, decisi di farmi tatuare il gufo il più vicino possibile al cuore.

Il signor Shep impiegò poco più di un' ora e mezza a tatuare lo scheletro sul braccio di Harry. Anche se a me non piacevano più di tanto gli scheletri, quello era bello, fatto bene. Mentre ero stata lì Harry non aveva dato segno di sofferenza perciò mi tranquillizzai e mi convinsi che anche io potevo sopportare che un ago mi bucasse ripetutamente la pelle. Ero certa di potercela fare.
«È bellissimo», disse Harry soddisfatto guardando il suo nuovo tatuaggio. Shep sorrise fiero e poi prese a spalmare sul braccio di Harry una crema gel e per concludere in bellezza avvolse la pellicola trasparente attorno al suo tricipite sinistro. Harry si alzò dal lettino e mi fece un segno teatrale per invitarmi a prendere il suo posto.
«Solo se esci da qui. Non ho intenzione di farmi fare il tatuaggio in tua presenza», chiarii la mia posizione con le mani sui fianchi.
«Perché?», mi chiese maliziosamente.
«Perché ho deciso così», risposi pronta: mi aspettavo una domanda del genere. Harry, scuotendo la testa e sbuffando con le braccia al cielo uscì dallo studio e io mi accomodai finalmente sul lettino.
«Allora, signorina...».
«Megan», aggiunsi.
«Allora, signorina Megan, cosa desidera?», mi chiese gentilmente Shep.
«Vorrei questo gufo, leggermente più piccolo della foto, sul fianco sinistro, all'altezza del seno», spiegai mostrandogli la foto che avevo trovato su internet dal cellulare.
«Capito. Mi posso tenere il telefono così guardo l'immagine?», annuii e gli porsi il cellulare. Presi un grande respiro e la mano esperta di Shep iniziò a bucare la mia pelle con l'ago.

***

Ero molto soddisfatta del mio tatuaggio: era rimasto davvero bene e non mi aveva fatto male. Harry aveva insistito a pagare il mio tatuaggio e io pagai il suo, entrambi contenti eravamo poi saliti sulla sua auto diretti verso una meta a me ignota.
«Non mi piace che mi porti dove vuoi senza dirmi dove», gli dissi appoggiando il tallone sul sedile.
«Se metti giù i piedi te lo dico», mi rispose con tono divertito ma sapevo bene che non lo era, glielo si leggeva in faccia.
«Non mi puoi ricattare in questo modo!», protestai.
«Non mi puoi rovinare i sedili!», mi imitò. Sbuffai e abbassai i piedi mettendoli sul tappetino e Harry mi guardò vittorioso.
«Stiamo andando da me», mi disse.
«Non ti sembra un po' affrettato? È la prima volta che "usciamo", lo so che non puoi resistere al mio fascino, ma speravo che fossi un po' più paziente!», scherzai sorridendo.
«Ma smettila! Guarda che sei tu che mi hai chiesto un appuntamento», ribatté orgoglioso di sé stesso.
«Sì, ma solo perché tu non mi chiedevi di uscire!», trovai divertente quella conversazione assurda che terminò con quella mia frase. Seguirono minuti di silenzio riempiti solamente da una canzone dei Queen che passava alla radio. Il silenzio, man mano che trascorrevano i secondi, si faceva sempre più teso e insopportabile, la mia insofferenza era sicuramente incrementata dal prurito causato dal tatuaggio.
«Seriamente, Harry, perché stiamo andando da te?», gli domandai seriamente voltandosi verso di lui.
«Perché devo posare il borsone con i vestiti», mi spiegò. Io lo guardai confusa non capendo il senso della sua frase, ma distolsi lo sguardo quando i suoi occhi verde smeraldo si posarono su di me. «Ti fa male il tatuaggio?», mi chiese poi riportando l'attenzione sulla strada.
   «Mi prude solo un po'», dissi sminuendo il tutto con un gesto della mano.
«È normale», disse solamente. «Poi passa», aggiunse girando nella via di casa mia. Parcheggiò dal lato opposto a quello su quello a cui si affacciava il mio palazzo e scese.
«Ciao, Harry. Se hai bisogno di spiegazioni per la macchina chiedimi pure. Grazie per il passaggio», gli dissi prima di scendere dall'auto.
   «Come fai a tornare a casa? Se mi aspetti ti accompagno», mi guardò confuso e io sorrisi.
«Grazie, ma riesco ad attraversare la strada da sola», trattenni una risata e chiusi la portiera della macchina nel momento esatto in cui lui fece lo stesso.
«Abiti in quel palazzo?», mi chiese indicando il condominio alle mie spalle.
«Sì, esatto», mi guardò incredulo.
«Io in questo», si voltò indicando l'ingresso del palazzo difronte al mio.
«Beh allora ci vediamo. Ciao, Meg», sollevai la mano verso di lui.
«Ciao, Harry», mi voltai ed entrai in casa mia. Ero particolarmente contenta di essere a casa in quel momento, tra le mura confortevoli del mio appartamento dove potevo tranquillamente guardare un film o dormire o ascoltare un vecchio 78 giri dei miei genitori, invece andai in camera e aprii il primo cassetto del comodino per prendere il pacchetto delle sigarette. Io non fumavo, non lo facevo mai, tranne quando avevo bisogno di mettere pace ai miei pensieri. Quello era l'unico pacchetto che avevo in casa, era pieno: mancava una sola sigaretta e quando ne estrassi una quella vicino si inclinò andando a toccare l'angolo del pacchetto. Mi appoggiai alla finestra della cucina e la accesi. Dopo un paio di tiri mi resi conto che una figura, nel palazzo difronte, stava fumando sul balcone dandomi le spalle. Riconobbi i capelli ricci e, sbuffando, mi affrettai a finire la sigaretta per rientrare prima che Harry si accorgesse di me. Si voltò e fece cadere il mozzicone in strada, prima di rientrare in casa alzò lo sguardo e lo fece scontrare con il mio. Alzai una mano per salutarlo e lui ricambiò appena per poi scomparire in casa.

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