4. Pancake e viaggio in auto

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Mi svegliai con il profumo dei pancake nell'aria. Sorrisi pensando che avrei dovuto sicuramente ringraziare Liam per la colazione e per avermi fatta svegliare ad un'ora decente e utile per fare qualcosa di intelligente durante la giornata che, conoscendomi, avrei sicuramente passato davanti al computer a guardare una puntata dietro l'altra di Grey's Anatomy.
Mi alzai dal letto e, scalza, avanzai verso la cucina stropicciandomi gli occhi. Quando entrai in cucina mi fu inevitabile sbadigliare rumorosamente e attirare, così, l'attenzione del mio amico.
   «Buongiorno, Meg», si sporse verso di me e mi lasciò un bacio sulla guancia.
   «Buongiorno Liam», aprii lo sportello del frigorifero e presi il cartone del latte che versai in un bicchiere di vetro.
   «Spero siano buoni», disse Liam porgendomi un piatto con quattro pancake ricoperti da una cascata di cioccolata fusa.
   «Dall'aspetto sembra proprio di sì», mormorai tagliandone un triangolino e mettendomelo in bocca. Chiusi gli occhi e assaporai quella squisitezza il più a lungo possibile e quando terminai il boccone mi affrettai a tagliarne un altro pezzetto. «Sono squisiti! Lasciami la ricetta, ti prego!», lo supplicai continuando a divorare la colazione.
   «Come vuoi!», sorrise Liam passandosi una mano tra i capelli e mostrando il suo tatuaggio.
   «Poi un giorno mi spieghi perché hai quelle frecce...», mormorai.
   «Non te lo dirò mai, lo sai!», ribatté lui bevendo un sorso del mio latte freddo.
   «Allora non ti meriti il mio latte», risposi prendendo il bicchiere e portandomelo alle labbra.
   «Come sei acida!», alzò gli occhi al cielo e scese dalla sedia per raggiungere il mio cellulare che si era messo a squillare. «È tua madre», mi passò il telefono e lo guardai confusa.
   «Pronto?».
   «Megan, ciao! Scusa, ti disturbo?», si premurò di chiedere mia mamma con il suo solito tono gentile.
   «Nient'affatto, dimmi pure», la incitai.
   «Volevo sapere se avevi intenzione di passere a trovarci questa settimana».
   «Beh...», iniziai, ma lei mi interruppe.
   «Lo so che sei passata da poco ma, vedi, la nonna non sta bene. Anzi, non sta affatto bene, papà la sta portando in ospedale in questo momento», mi si gelò il sangue.
   «Cos'ha?», riuscii solamente a dire.
   «È un paio di settimane che non mangia e non riesce a fare altro se non rimanere coricata a letto», spiegò.
   «Io... non so quando posso venire a trovarvi, non penso oggi comunque, dovrei chiedere un permesso e di certo non mi verrà dato con così poco anticipo».
   «Ma sì, certo, non ti preoccupare, quando puoi arrivi. Appena ho notizie ti faccio sapere, va bene? Stai tranquilla però», mi consigliò mia mamma dolcemente, ma sapevo che anche lei era agitata.
   «Grazie, stai tranquilla anche tu. Salutami tanto la nonna e papà, buona giornata», la salutai.
   «Buona giornata anche a te, tesoro», chiusi la chiamata e sospirai.
   «C'è qualche problema?», Liam mi si avvicinò e mi accarezzò un braccio, ma io lo strinsi a me cercando di respirare a fondo.
   «Mia nonna non sta bene, è in ospedale», lo sentii sospirare e poi la sua mano grande mi accarezzò testa.
   «Cosa vuoi fare?», mi chiese poi.
   «Andiamo a mettere a posto la macchina», dissi allontanandomi da lui.

***
«Sembra tutto a posto: nessun cavo fuori posto, niente motore mezzo andato, l'olio l'abbiamo riempito... dobbiamo solo aspettare i pezzi di carrozzeria e poi è come nuova!», sentenziò Liam pulendosi le mani sporche di grasso in uno straccio. Finii di stringere l'ultimo dado che teneva ferma la ruota posteriore e mi alzai.
«Ottimo! Allora oggi sento mio zio e ordino i pezzi, dovrebbero arrivare tra una settimana», mi appoggiai al cofano della mia auto e mi pulii le mani sui jeans.
«Allora tra poco si parte!», esclamò una terza voce. Sollevai lo sguardo e sorrisi a Zayn e a June che stavano entrando nel garage proprio in quel momento.
«Atlanta, stiamo arrivando!», aggiunse Liam dando una pacca affettuosa sulla spalla di Zayn.
«Oh, piantatala!», li apostrofò June avvicinandosi a me. «È tutto il giorno che scorrazza per casa gridando "Atlanta!" come un bambino», mi spiegò facendomi ridere. «Non ne posso più!», aggiunse infine. Si passò una mano tra i capelli corti e io mi incrociai le caviglie distendendo le gambe.
«June, stavo pensando che tra poco ci sarà il tuo compleanno, mi sembra giusto festeggiare qui a New York e non ad Atlanta. A me però servirebbe un vestito, se vuoi possiamo andare a comprarlo adesso, così ti distrai un po' da Zayn!», lei annuì e insieme salutammo Liam e Zayn per dirigerci verso l'auto di June.
«Andiamo al centro commerciale?», propose.
«Sì, buona idea!», abbassai il finestrino e poi mi venne in mente una cosa.
«June, ti posso fare una domanda?», le chiesi.
«Sì, certo», si voltò verso di me e mi sorrise.
«Tu sai dove faremo il colpo che sta progettando Zayn?», speravo che almeno lei me lo dicesse.
«Ad Atlanta, come ha già detto lui», rispose fingendo indifferenza.
«Non puoi non saperlo, vivete nella stessa casa, vi dite tutto, tu sei l'emisfero destro del suo cervello!», la accusai, ma solo per avere più informazioni, avevo il diritto di sapere.
«Ascolta, non ti posso dire dove, non adesso perlomeno», mi lanciò un'occhiata fugace e poi tornò a guardare la strada. Io però non avevo intenzione di lasciar perdere, aprii la bocca per ribattere ma lei mi precedette. «Ma ti posso dire che non è un caso se Harry è entrato a far parte del gruppo proprio adesso», mi guardò cercando di prevedere la mia reazione ma io rimasi con un'espressione neutrale, mentre dentro stavo cercando di elaborare le sue parole.
«Quanti di voi lo sanno?», le chiesi. June sollevo le anni dal volante e mosse le mani davanti a sé scrollando le spalle.
«Tutti, tranne te. Zayn non vuole che tu lo sappia», ammise afflitta. «Se fosse per me tu lo sapresti dall'inizio. Ho provato a farlo ragionare e convincerlo a dirtelo, ma ha preferito tacere. Ci saranno conseguenze, questo è certo», mi spiegò cercando però sempre di rimanere sul vago. Nella mia testa, intanto, stava prendendo forma un'idea, una decisione.
«Bene, parlerò con Zayn al più presto, e con questo intendo che questa sera sarò nel vostro appartamento», la avvisai. Ci scambiammo uno sguardo e poi lei alzò il volume della radio e io guardai fuori dal finestrino.

***
Ero contenta dell'abito che avevo comprato, mi stava bene ed era nel mio stile: sportivo ma raffinato. Io non ero di certo una di quelle ragazze che vanno in giro con la borsa di Prada e le scarpe di Gucci, ero più una da cellulare in tasca e Vans. Ovviamente potevo permettermi le grandi marche, l'industria automobili di mio padre e di mio zio era fiorente e faceva sbocciare parecchi dollari settimanali nel portafogli di mio padre. Questo però non era il suo interesse principale, forse di mio zio, ma mio papà era molto più legato ai beni duraturi piuttosto che ai soldi: sapeva che il denaro andava e veniva, non era sedentario, ma girava sempre e se quel giorno era da lui l'indomani sarebbe stato nelle mani di altre persone. Mio padre era molto legato alla famiglia, a me in particolare, certamente anche ai suoi genitori e a mia madre, ma nutriva un affetto particolare verso di me: mi aveva sempre tenuta sotto la sua ala protettrice e io non volevo deluderlo, spezzargli quell'ala così confortevole. Per questo non gli avevo mai detto delle rapine che commettevo con i miei amici, nessuno sospettava di me, su Zayn invece erano sorti sospetti che erano però stati messi a tacere quasi immediatamente. Io volevo bene a Zayn, e Liam, e a June, e Louis e Niall e avrei voluto bene anche ad Harry, forse, ma la situazione che si stava creando non mi piaceva, dovevo mettere fine a quell'accordo contro di me.
Mi stavo ripetendo il discorso da fare a Zayn, ma non riuscì a pronunciare a bassa voce l'ultima frase perché mi ritrovavo già davanti alla porta del suo appartamento. Si era trasferito, non abitava più nel mio stesso palazzo, e ora aveva un alloggio più spazioso, soprattutto con un bellissimo portoncino d'ingresso che si aprì non appena io suonai il campanello. Che cosa meravigliosa! Ma io non avevo nemmeno paura di quello che volevo dirgli, che ragione avrei avuto per essere preoccupata?
   «Ehi», mi salutò Zayn alzando un nano in segno di saluto.
   «Ciao», risposi e poi lo sorpassai facendogli sicuramente intuire che c'era qualcosa che non andava.
   «Tutto ok?», mi chiese infatti raggiungendomi in soggiorno.
   «Non lo so, dimmelo tu», lasciai la borsa per terra e lo guardai attentamente negli occhi.
   «Cosa c'è che non va?», mi chiese gentilmente. Per un momento sperai che ci arrivasse da solo per non doverglielo dire io, ma il suo silenzio fu la prova che dovevo parlare.
   «Quando partiamo per Atlanta?», decisi di iniziare così il mio discorso di accusa.
   «Venerdì, oggi ho avuto la conferma da Kevin», spiegò, «Avevo intenzione di dirvelo domani, ma a questo punto possiamo vederci tutti già adesso», continuò iniziando a comporre i numeri di cellulare degli altri.
«Non penso che sia una buona idea, tesoro», s'intromise June facendo il suo ingresso nel soggiorno. «Se Meg è venuta qua vorrà parlare solo a te, giusto, Megan?», io annuii.
«Giusto», sorrisi a June e lei mi fece l'occhiolino scomparendo in cucina.
Zayn si sedette sul divano e si passò le mani sulle cosce per poi indicarmi di prendere posto davanti a lui, sulla poltrona. Feci come richiesto e mi sedetti di fronte a lui.
«Quindi, cosa vuoi sapere?», mi chiese con tono autoritario.
«Immagino che tu lo sappia», ribattei.
«Io non immagino niente, se hai qualcosa da chiedere, chiedi, altrimenti quella è la porta», strabuzzai gli occhi.
«Non parlare così con la prima ragazza che ti ha sorretto la testa mentre vomitavi anche l'anima, che si è presa una pallottola nella spalla per salvarti la vita è che ha sempre appoggiato ogni tuo maledettissimo colpo!», urlai puntandogli il dito addosso.
«Ogni maledettissimo colpo tranne questo, o sbaglio?», ribatté lui alzando il tono di voce.
«Sì, sbagli. Io appoggio il colpo, ma mi viene difficile farlo totalmente senza sapere quel è il nostro bersaglio! Non giochiamo a mosca ceca, diamine!», sbottai.
«Tutto quello che devi sapere è che si trova ad Atlanta!», si alzò in piedi e iniziò a camminare per il soggiorno.
«Tutto quello che devo sapere, eh? Certo, andiamo a fare una rapina alla cieca! Mi sembra la cosa più sensata da fare dopo che ci hanno quasi presi a Tijuana!», urlai di rimando gesticolando.
«Vuoi sapere davvero dove faremo il colpo?», mi chiese con aria di sfida avvicinandosi a me e abbassando la voce.
«Sì, o puoi considerarti con un membro in meno», lo minacciai, ma lui sorrise divertito e Dio solo sa quanto avrei voluto dargli uno schiaffo.
«Io non ti dirò proprio un bel niente, te ne puoi andare anche subito, ma non provare a tornare quando te ne pentirai!», qualcosa dentro di me si ruppe, o almeno si incrinò. Ero praticamente certa che Zayn, pur di non lasciarmi andare via, mi avrebbe detto il bersaglio della rapina, ma così non era stato. Mentre mi avviavo lentamente e a testa alta, il più possibile almeno, verso la porta intravidi June appoggiata allo stipite della porta della cucina che mi guardava mortificata, le sorrisi appena ed uscii dall'appartamento di quello che credevo essere il mio migliore amico.

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