7. Piscina e luna parck

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Il giovedì mattina avevo chiamato Abby e l'avevo pregata di dire al nostro capo che io non ci sarei stata a lavoro per qualche giorno, poi avevo preso il treno da New York ed ero scesa alla stazione di Philadelphia dove mi aspettava mio padre.
Appena mi vide mi prese la borsa con i vestiti dalle mani.
   «Non è pesante», protestai ma lui mi sorrise e accarezzò i miei capelli.

La casa dei miei genitori non era distante e in un quarto d'ora avevamo raggiunto il cancello della loro villa. Abitavano nel quartiere residenziale più ricco della città e la loro villa era tra le più belle.
Percorremmo il viale che divideva le due ali del giardino e, davanti alla veranda, scesi dalla macchina. Durante il viaggio in auto non avevamo parlato e in quel momento mi trovai a far fronte a mia madre che mi tartassava di domande a cui risposi mentre, mezz'ora dopo, eravamo coricate sui lettini a prendere il sole a bordo piscina.

   «Hai trovato qualche bel ragazzo?», mi chiese mia mamma strizzando l'occhio.
   «No, non mi interessa nessuno», risposi sorridendo: per lei era inconcepibile che io non avessi avuto relazioni con altri ragazzi dopo la rottura con Drew.
   «Neanche quel tuo amico? Come si chiama già... ah sì, nemmeno con Liam?», scossi la testa.
   «Sono felicemente single!», annunciai fiera di me. Lei sorrise e si alzò dal lettino entrando in piscina, la imitai a mi immersi nell'acqua fresca.
   «A proposito di ragazzi... il signor Blanket ha chiesto un prestito per aprire una nuova sede della sua industria ad Atlanta: è venuto in banca qualche di mesi fa», mi disse aspettando la mia reazione.

Il signor Blanket era il padre di Drew. Possedeva una delle più grandi case farmaceutiche degli States e aveva chiesto un prestito nella banca gestita da mia madre. La Blanket Pharmaceutical Company era famosa in tutto il mondo ed esportava i suoi medicinali addirittura in Cina: era il gigante della farmacia.

«Buon per lui!», risposi spiazzando mia mamma che mi guardò stranita.
«Sicura di non aver conosciuto nessun ragazzo ultimamente?», mi chiese con un sorrisetto ammiccante che mi mise i brividi.
«Sono sicura», alzai gli occhi al cielo e uscii dalla piscina, ad un tratto, mentre ormai ero fuori dall'acqua, mia mamma cacciò un urlo. «Cosa c'è?», mi voltai verso di lei, preoccupata.
«Cos'è quello sul tuo fianco?», sorrisi capendo a cosa si rivolgesse, alzai il braccio sinistro e indicai il tatuaggio.
«Questo?», risi divertita, lei annuì e le sorrisi ancora di più. «È un tatuaggio, l'ho fatto l'altro giorno con Harry», e mi pentii subito di quelle parole.
«Harry?», ripeté mia madre.
«Sì, il ragazzo che ho conosciuto da un paio di settimane», spiegai allontanandomi.

La sera era arrivata più velocemente di quanto mi sarei immaginata e mi ritrovai impreparata quando mio padre si affacciò alla porta della mia vecchia camera e con tono serio mi disse: «È l'orario di visita dell'ospedale». Mi cambiai in quattro e quattr'otto e insieme ai miei genitori salii a bordo dell'auto di mio papà. Percorrendo le strade che avevo percorso milioni di volte insieme ai miei vecchi amici, mi venne voglia di rivedere Charlotte, la mia più cara amica quando abitavo a Philadelphia. Le scrissi un messaggio e ci accordammo per l'appuntamento al luna parck di quale ora più tardi.

Ebbi appena il tempo di ritirare il cellulare che mio padre parcheggiò la macchina davanti all'ingresso dell'ospedale.
Quando entrammo nella struttura il bianco e l'odore di disinfettante mi avvolse e ci misi qualche secondo a realizzare cosa ci facevo lì. È per la nonna, pensai.
La mano calda di mia mamma si posò sulla mia spalla e mi spinse gentilmente in avanti, facendomi procedere verso il corridoio che portava agli ascensori.

Quando arrivammo al secondo piano, dove si trovava la stanza di mia nonna, l'ascensore emise un suono e si fermò facendo aprire le porte.
Tutto in quel reparto sembrava immobile, senza un minimo suono, senza nessun colore che gli conferisse un aspetto confortevole e pensai che doveva essere tremendo restare in quel posto.
La camera di mia nonna era 27B. Le pareti erano di un verde chiarissimo, che poteva essere scambiato per bianco se non si prestava attenzione. Nell'angolo in fondo alla stanza c'era un armadio bianco con la serratura e vicino ad esso un piccolo televisore era fissato alla parete in modo che potesse esser visto restando coricati a letto. La stanza dava sul piccolo giardino dell'ospedale ed era sicuramente una delle stanze più belle, con una vista migliore delle altre, la più luminosa.
Sarebbe stata una bella camera se nel letto non ci fosse stata mia nonna Gabby.

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