13. Cavilgie incrociate e telefonata

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Stavo sistemando i cuscini sul letto dopo aver rimboccato le coperte. Quella mattina mi ero svegliata con le dita ancora intrecciate a quelle di Harry e pensai che nel sonno aveva un'aria angelica ed era ancora più bello. Mi aveva colta la tentazione di toccargli i capelli, i suoi ricci scuri sembravano dirmi "Toccami". Avevo soppresso quel desiderio alzandomi dal letto e per andare a preparare la colazione.

Sobbalzai quando la voce roca di Harry
giunse alle mie orecchie.
   «Meg», non mi chiamava mai Megan. Le sue mani si poggiarono sui miei fianchi.
   «Sì?», mi voltai verso di lui. Mi prese le mani tra le sue e si sedette al fondo del mio letto incoraggiandomi a sedermi sulle sue cosce. Timorosa lo assecondai.

   «Devo andare a lavoro», annuii e seguì il silenzio. Era giunto il momento di affrontare quel discorso. Presi coraggio e separai le labbra, Harry rendendosi conto della mia agitazione mi prese una mano e giocò con le mie dita. Mi calmai all'istante a quel contatto.

   «Cosa devo fare, Harry?», sospirò. «Devo andare avanti e incontrare Drew? Devo lasciar perdere? Resto a casa? Vado da Abby?», esposi i miei dubbi freneticamente e lui strinse di più le mie dita. Si era accorto che quel gesto mi tranquillizzava. Tuttavia a sentir nominare Drew il suo corpo s'irrigidì.
   «Non vedrai Drew mai più. Anche se è il tuo ex», lo guardai sorpresa. «Lo so che lo è», mi spiegò. «Non voglio che tu stia a casa da sola, non so chi sia Abby ma puoi andare da lei se vuoi, oppure da Liam», scossi la testa.
Avrei chiamato Liam, ovviamente, ma mi sarei fatta vedere solo quando i lividi sarebbero svaniti. Non volevo che mi vedesse in quello stato.
«Preferisco da Abby», lui annuì e io mi alzai dalle sue gambe ma Harry mi trattenne e mi fece finire tra le sue cosce.

«Come stai, Meg?», mi chiese guardandomi con quei suoi verdi e profondi occhi.
«Bene», risposi e ricevetti in cambio un bacio sulla pancia. Non ero preparata a quel gesto e il formicolio alla stomaco mi travolse.

«Mi devo cambiare, esci», mi allontanai da lui e aprii l'armadio. Fuori pioveva, uno di quei temporali estivi che duravano poco.
«Non mi dà fastidio, tranquilla», un sorriso malizioso gli increspò le labbra prima che io lo spingessi per le spalle fuori dalla porta. Indossai velocemente la felpa e i pantaloni e mente mi stavo allacciando le Vans Harry fece nuovamente irruzione nella mia stanza.
«Sei già vestita, wow», sembrava un po' deluso e io risi sorpassandolo per uscire di casa.

Mentre mi accompagnava alla macchina la sua mano era stata per tutto il tempo alla base della mia schiena ma non si era mai spinta più in basso. Quella mattina non mi aveva baciata e non aveva nemmeno accennato a farlo. Fui io quella un po' delusa quando dopo avermi salutata sotto la porta del palazzo di Abby se ne andò con la promessa di venirmi a prendere al pomeriggio ma senza un piccolo, leggero e veloce bacio.

Mi sentii una stupida ad aver pensato che un po' ci tenesse a me, molto probabilmente il giorno prima mi aveva baciata solo perché gli facevo pena.
Avrei voluto raccontare tutto a mia nonna, lei era sempre stata partecipe nella mia vita sentimentale, le raccontavo tutto ed era stata la prima persona alla quale avevo detto che sarei andata via da Philadelphia. Pensare che in quel momento si trovava all'ospedale mi faceva solo pensare a quanto la vita fosse ingiusta nei confronti delle brave persone.

Salii le scale fini ad arrivare al piano sul quale abitava la mia amica, bussai alla porta e quando Abby mi aprì spalancò la bocca nel vedere la mia faccia malconcia.
«Cosa ti è successo, Meg?!», mi tirò per un braccio facendomi entrare nel suo appartamento. Ero stata poche volte da lei, ma non aveva cambiato nulla: tutto era come me lo ricordavo.

Mi portò nella sua camera e mi stesi a peso morto sul letto stringendo al petto un cuscino colorato che adoravo. Abby mi fece appoggiare la testa sulle sue gambe e mi accarezzò i capelli. Era la mia migliore amica e non le pesava prendersi cura di me.
«Cos'è successo?», già, cos'era successo? Ci riflettei meglio prima di rispondere.
«Un enorme, fottutissimo casino», mormorai con gli occhi rivolti al soffitto. La sentii ridere e sorrisi.
«Potremmo analizzarlo insieme, che ne dici?», annuii poco convinta ma consapevole che era la cosa migliore da fare. «Partiamo dalla tua faccia. Chi è stato?», se le avessi detto quel nome dal nulla sarebbe esplosa. Mi girai a pancia in giù e incrociai le caviglie in aria prendendo un respiro.

Upside down |H.S.|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora