Confusione

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Angolo autrice
Ok, gente! Lo avete chiesto, lo avete aspettato, lo avete bramato, ed eccolo qui! Il tanto atteso (?) seguito di "Lost boys"! Finalmente ce l'ho fatta a pubblicare il primo capitolo. Non voglio farvi perdere tempo a leggere i miei deliri, perciò mi auguro che questa storia vi piacerà e vi appassionerà. <3 Come vi avevo preannunciato, sarà moooolto più lunga di "Lost boys", quindi spero che avrete la voglia e la pazienza di seguirla fino alla fine e che l'attesa varrà la pena.
Un'ultima cosa, prima di lasciarvi alla lettura: brace yourselves, Angst is coming!

***

"Sai chi sei? Capisci che cosa ti è successo? Vuoi vivere in questo modo?"





Di sicuro avevo sbattuto la testa. Come lo sapevo? Mi faceva un male cane. Un'altra cosa di cui ero sicura era di essere a letto, sotto di me sentivo il morbido contatto con il materasso. Ancora nell'oscurità, cercai di pensare a cosa poteva essere successo. Probabilmente, come mio solito, ero inciampata sul gradino della mia portafinestra e avevo picchiato la testa da qualche parte. Però c'era qualcosa che non tornava. Insomma, sarebbe stato tipico di me cadere come una pera cotta, ma non poteva essere successo, non quella volta. Era come se fosse successo tutto in un attimo, come se all'improvviso fossi stata risucchiata da qualcosa. Cercai di ricordarmi cosa potesse essere accaduto e mi venne in mente che poco prima di sentirmi misteriosamente inghiottita avevo udito qualcuno che mi diceva qualcosa. Non mi ricordavo le parole precise, ma dicevano più o meno "scusa per il ritardo, ma non ho molta memoria e faccio confusione". Chi poteva essere? Ero sola in casa e non era nessuno dei ragazzi, perché se ne erano chiaramente andati, e davanti ai miei occhi, per giunta. E non ero abbastanza pazza da sentir parlare il gatto della vicina. Non ancora, almeno. Quindi, come al solito, mi ritrovavo davanti a un mistero. Immaginavo non fosse né l'unico, né l'ultimo. Decisi che dovevo scoprire cosa stava succedendo.
La stanza – ammesso che fosse una stanza – in cui mi trovavo era buia e l'unica fonte di luce proveniva da un oblò situato al centro di una delle pareti. A quel punto mi parve chiaro che non mi trovassi nella mia camera, perché la mia camera non aveva oblò, fino a prova contraria. Mi imposi di rimanere calma e di scendere dal letto per cercare l'interruttore della luce. Fui del tutto sicura che quella non era la mia stanza quando, allungando le gambe per posarle sul pavimento, mi accorsi che dal lato da cui scendevo di solito – il sinistro – c'era un muro. Provai dalla parte opposta e, una volta in piedi, constatai che la testa mi girava anche leggermente. Qualsiasi cosa fosse successa, dovevo aver dato una bella botta. Sfruttai la fioca luce che proveniva dall'oblò per guardarmi in giro e provare a vedere se riuscivo a riconoscere qualcosa. Niente. Cercai a tastoni per tutta la stanza l'interruttore della luce, senza però trovarlo. Andai nel panico un paio di volte, prima di rimettermi a cercare più ossessivamente di quanto non avessi fatto in precedenza. Avevo troppa paura per uscire dalla stanza, ma avevo altrettanta curiosità di scoprire dove accidenti mi trovavo. Non sapevo che fare, e non sapere che fare mi metteva in agitazione. Prima di tutto, però, dovevo trovare quel maledetto interruttore. Dopo circa cinque minuti – che mi parvero secoli e secoli di errare umano – riuscii finalmente a trovarlo. Prima di premerlo aspettai un attimo. Se avessi acceso la luce mi sarei potuta trovare davanti ad uno spettacolo che non mi sarebbe affatto piaciuto. Avrei potuto perdere la testa. Quindi inspirai ed espirai lentamente. Chiusi gli occhi, strizzando le palpebre.
"Non di nuovo, non di nuovo, ti prego, non di nuovo" pregai tra me e me.
Lo premetti ancora con gli occhi chiusi, e quando li riaprii non ebbi la reazione che mi immaginavo. Come pensavo, ero sola nella stanza. Stanza in cui non ero mai stata, ad ogni modo. Non avevo la benché minima idea di dove fossi. Tuttavia non mi agitai, anzi, rimasi calma. Quella camera mi sembrava di averla già vista, aveva qualcosa di familiare. Era fatta interamente di legno, muri compresi, e non era grandissima. C'era un solo letto, e dalla parte opposta una scrivania con una sedia girevole. Non ci avevo fatto caso fino a quel momento, ma la camera profumava di erbe e unguenti.
Dopo una rapida occhiata appurai che quella doveva essere un'infermeria o qualcosa di simile. Cercai di sforzarmi e di fare mente locale su dove fossi finita e perché, o cosa fosse successo, ma l'agitazione del momento e il male alla testa non aiutarono affatto. Poi mi ricordai che esistevano i cellulari, e che potevo tranquillamente chiamare i miei genitori. Per fortuna avevo il mio telefono nella tasca degli shorts. Feci per andare a prenderlo, quando mi accorsi che nella tasca non c'era niente. Sgranai gli occhi e lasciai il posto nel mio cervello a tutti i pensieri negativi che potevo fare. Stavo sognando? No, no, quello non era un sogno, ne ero certa. Ero morta e mi trovavo in Paradiso? O mi trovavo all'Inferno? Ero finita in coma? Mi trovavo in una dimensione alternativa parallela? Ero andata a un rave e qualcuno mi aveva drogata? Tra tutte le ipotesi raccapriccianti che riuscii a formulare, ne spiccò una in particolare. Mi avevano rapita.

Lost girl - ONE PIECEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora