Prologo

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Otto anni dopo.

Mi sedetti su una di quelle sedie scomode dell'aeroporto con Hazel sulle mie gambe. Avevamo appena finito di fare una lunga fila per il check-in.

«ti va di chiamare papà?» chiesi alla piccolina, mentre intrecciavo i suoi capelli.

Lei si voltò sorridendomi e annuì freneticamente. Sorrisi nel notare quanto la rendesse felice anche solo parlare col suo papà. Le mancava così tanto, mi dispiaceva doverla costringere a questa distanza.

Presi il cellulare, composi il numero di Justin e lo chiamai in videochiamata. Hazel afferrò il telefono tra le sue mani, aspettando impaziente una risposta.

Legai la treccia con uno dei suoi tanti elastici colorati. Poi la guardai e il suo sguardo diventò triste.

«forse sta lavorando e non può parlare con me» disse delusa, sentendo ancora il telefono emettere quel fastidioso suono tu tu tu.
«forse non mi vuole più bene» continuò, accarezzando l'orsacchiotto che le aveva regalato proprio lui.

Presi il telefono dalle sue mani e chiusi la chiamata. La feci scendere dalle mie gambe e mi abbassai alla sua altezza.

«Hazel, papà ti vuole bene e te ne vorrà sempre» la rassicurai accarezzandole il viso.

«e allora perché non è mai a casa con noi? Perché non risponde?» chiese con voce triste, una lacrima solcò il suo viso ma mi curai di cancellarla immediatamente con pollice.

Aveva solo sette anni ma era una bambina molto sveglia.

«come hai detto tu, starà solo lavorando» le risposi, facendola sedere di nuovo sulle mie gambe. «arriveremo a Washington e lo abbraccerai forte, come solo tu sai fare» le dissi ancora sorridendole.

Lei annuì ancora e si appoggiò al mio petto. La cullai per qualche secondo e poi giocai per un po' con lei e con i suoi due giocattoli preferiti: l'orsacchiotto Manny, che teneva sempre tra le sue braccia, e la bambola Sarah.

«prima chiamata per il volo numero 187 diretto a Washington D.C» annunciò una voce quasi metallica tramite gli altoparlanti in giro per l'orsacchiotto.

«piccolina, dobbiamo andare» annunciai ad Hazel sorridendole dolcemente. Lei si alzò ed io posai la bambola nel suo zainetto, mi alzai e presi la bimba per mano. Poi presi la borsa e ci dirigemmo verso il gate, vidi molte persone precedermi. Avrei dovuto fare un altro quarto d'ora di fila, sbuffai al solo pensiero.

Sentii il cellulare squillare nella borsa, lasciai la mano di Hazel e iniziai a cercarlo in fretta.

Lo presi e lessi il nome di Justin, oh finalmente.

Mi spostai di lato alla fila, mi abbassai all'altezza di mia figlia e accettai la chiamata. «piccola, guarda chi c'é» le dissi sorridendole.

Lei spostò lo sguardo da Manny al telefono, i suoi occhioni color miele si illuminarono quando vide suo papà sullo schermo del telefono.

«papà!» quasi urlò attirando l'attenzione di quasi tutti.

«ciao piccolina» rispose lui, altrettanto felice.

«quando arrivo mi porti a prendere un gelato?» chiese secca. Ridacchiai e Justin fece lo stesso.

«beh, se ti comporterai bene..» mormorò lui scherzando. «ti porterò a prendere tutti i gelati che vuoi, cucciola» disse qualche secondo dopo.

Sorrisi guardando quella scena tanto dolce. Hazel stringeva tra le mani il cellulare così forte che sembrava volesse abbracciare Justin virtualmente.

«seconda chiamata per il volo numero 187 diretto a Washington D.C» sentii ancora la voce metallica trasmessa dagli altoparlanti.

«non per interrompere questo grande atto d'amore, ma dobbiamo prendere l'aereo» dissi, guardando Justin dallo schermo.

Era sempre bello e non sembrava neanche avere quasi quarant'anni, ne dimostrava sempre ventitré. I capelli non erano troppo lunghi, sempre di quel biondo caldo che gli stava alla perfezione. Il suo sorriso era magnifico e mi ricordava molto quello di Hazel, infatti gli somigliava tantissimo.. Era la sua fotocopia.

«va bene, amore. Verrò a prendervi all'aeroporto» annunciò sorridendo.

«okay, ciao maritino» ridacchiai. Lui fece lo stesso, facendomi realizzare quanto mi mancasse. Sperai che l'ora e mezza di volo che avrei dovuto affrontare passasse in fretta, volevo abbracciarlo. Non ci vedevamo da ben otto mesi, io e Hazel stavamo quasi impazzendo senza la nostra colonna portante.

«ciao, amore» sorrise. «vi amo» quasi sussurrò.

«anche noi!» urlò Hazel. Sorrisi ancora e poi chiusi la chiamata. Mi alzai e presi ancora la mano di mia figlia, era quasi il nostro turno.

Avanzammo ancora di qualche passo, diedi all'hostess i nostri biglietti e lei ci sorrise amabilmente. «buon viaggio» disse.

Io e Hazel camminammo per quel piccolo corridoio che portava poi alla pista. Qualche minuto dopo eravamo già sull'aereo, sedute e con le nostre cinture allacciate.

Diedi ad Hazel il suo videogioco preferito, in modo tale da distrarla dal decollo. L'ultima volta si spaventò e pianse per quasi tutto il volo.
Sentii i motori accendersi, mi misi comoda sul sedile e accarezzai i capelli della bimba. Guardai fuori dal finestrino, all'esterno tutto si stava muovendo e dopo un po' ci staccammo da terra.

Ero tremendamente felice di tornare a casa, non vedevo l'ora di rivedere tutti..
Era difficile stare lontana da mio padre, da mia madre e sopratutto da Justin. Anche per Hazel: stare con suo papà non le faceva altro che bene. Ogni qualvolta che dovevamo partire, lei scoppiava a piangere e passava tutto il tempo accoccolata sul suo petto, chiedendogli di non farla partire. Tornare a casa l'avrebbe resa felice, e per me era questo l'importante.. Ma chissà, magari questa volta stavamo tornando per restare.

𝘾𝙄𝘼 - 𝘾𝙚𝙣𝙩𝙧𝙖𝙡 𝙄𝙣𝙩𝙚𝙡𝙡𝙞𝙜𝙚𝙣𝙘𝙚 𝘼𝙜𝙚𝙣𝙘𝙮 𝟮 ➳ 𝙟𝙗Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora