Whims

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Justin

Alex era già pronta per andare via, teneva accanto una valigia quasi più grande di lei. Stava aspettando che Hazel finisse la sua colazione.
Il suo sguardo era spento, era pallida e i vestiti neri che indossava non le davano affatto una buona cera. Non sentivo la sua voce dal giorno prima, sembrava esser entrata in mutismo selettivo dal funerale di suo padre. Ma lo capivo, lo capivo benissimo. Successe tutto all'improvviso, nessuno di noi se lo sarebbe mai aspettato, nessuno di noi prese sul serio l'avvertimento di Nick Haltman.
Restai scioccato quanto mia moglie; nonostante io e Mike discutessimo spesso, era davvero un buon padre, suocero e un nonno amorevole: non avrei potuto chiedere di meglio per mia figlia.

«mamma, io non voglio tornare a casa» protestò Hazel, lasciando cadere il cucchiaio all'interno della tazza ancora colma di latte.

Guardai Alex rivolgerle uno sguardo scocciato, poi sospirò. «Hazel, ne abbiamo già parlato» rispose.

«ed io non voglio andare!» ribatté la bambina.

«Hazel, basta» disse severa Alex.

Mi morsi il labbro guardandola, sperai di farle capire che non doveva esagerare, che non doveva sfogare la sua rabbia sulla bambina. Lei sostenne il mio sguardo, e come sempre non mi diede retta.

Lei si alzò e guardò sua madre arrabbiata. «io non ci vengo, non ci vengo, non ci vengo!» quasi urlò mia figlia battendo i piedi a terra.

«mi dispiace per te ma stavolta non vincerai questa discussione, perciò continua a mangiare o perderemo l'aereo. Torneremo a Toronto, che tu lo voglia o no» sputò acida Lex. Io alzai lo sguardo su di lei, facendole capire che aveva davvero superato i limiti. Non fu mai così severa con Hazel, non la rimproverò mai, e quelle parole sorpresero più me che Hazel stessa. La bambina corse via, scomparendo in salone e poi dietro la porta del bagno, la quale sbatté violentemente.

Sentii Lex sospirare e poi portò le mani sul viso.

«hai esagerato» ammisi. «con le parole e con i toni» precisai unendo le mani e poggiandomi sul bancone.

Lei annuii e un ghigno apparve sul suo volto. «scusa se ho un fottuto aereo da prendere e un lavoro da svolgere, Justin» sputò.

Io scossi la testa. «senti lei non vuole tornare a Toronto, a lavoro per ora non ho nulla da fare perciò resterà qui con me. Sei stanca e ancora scossa.. Baderò io a lei» dissi sicuro mentre mettevo la tazza e il cucchiaio usati da Hazel all'interno del lavandino.

Era la cosa migliore. Alex non era in grande forma, sono successe fin troppe cose questa settimana ed era visibilmente scossa.

«cosa?» urlò. «Devo ricordarti che tra due settimane inizierà la scuola?» chiese ovvia.

«la porterò io a Toronto tra una settimana» risposi appoggiandomi al mobile. Notai subito la differenza di toni, lei era così agitata e urlava mentre io rispondevo con calma, immaginai le diede anche fastidio tutta questa calma.

Compì qualche passo verso di me e allargò le braccia. «non puoi accontentare ogni suo capriccio, Justin» si lamentò.

Io sospirai. «ma non capisci perché non vuole tornare? Perché è qui che dopo sei mesi ha ritrovato una famiglia» mormorai assottigliando gli occhi.

Un'altra volta fece un sorriso sghembo e portò le braccia al petto. «poteva ritrovare una famiglia anche prima se solo mi avessi permesso di tornare» sputò acida.

Oh, ecco dove voleva arrivare.

«devi sempre rinfacciarmi tutto?» chiesi incredulo.

«e tu devi sempre decidere tutto? Se farmi andare via, se farmi tornare, se far restare la bambina..» elencò, sapevo avrebbe potuto dire tante altre cose ma si fermò senza che io le dicessi niente.

«scusa se mi preoccupo per voi, l'ho sempre fatto e questo è il ringraziamento?!» sbottai incredulo.

«oh sì, ti sei preoccupato così tanto per noi che invece di prendere un aereo e raggiungerci in Canada hai preferito andare con un'altra mentre io cercavo di far calmare tua figlia perché sentiva la tua mancanza!» urlò andando in salotto.

Merda, che colpo basso.

La seguii, la vidi aprire nuovamente la valigia e togliere qualcosa: i vestiti della bambina.

«lo vedi? Rinfacci sempre tutto, finiamo per litigare e non capisci che così la situazione non fa altro che peggiorare» sbuffai tornando calmo.

La sentii sussurrare qualcosa di incomprensibile, la voglia di chiederle di ripetere fu tanta ma rimasi zitto. Si alzò dopo aver chiuso nuovamente la valigia e si avvicinò alla porta del bagno, poi la aprì.

Hazel uscì di lì con il viso basso, aveva probabilmente pianto. Alex si abbassò alla sua altezza e le sussurrò qualcosa. Guardai la scena da lontano, sperando vivamente che non sarebbe stata l'ultima.

Avevo mandato tutto a puttane con il tradimento, avevo sbagliato, ero amaramente pentito e non sapevo più come farlo capire ad Alex. Sapevo che questa sua partenza ci avrebbe soltanto fatto allontanare e avrebbe portato altre discussioni, ma la lasciai andare. Una piccola parte di me sapeva che sarebbe andato tutto bene, l'altra grande parte di me non ne era sicuro. Alex disse che voleva solo pensare, disse che aveva solo bisogno di tempo, disse che serviva anche a me per riflettete ma continuavo a non capire.. Io sapevo già cosa volevo. La lasciai andare, la stavo lasciando partire nonostante l'ansia e la paura di perderla avessero preso il sopravvento su di me da quando lei scoprì tutto.

Mia moglie si alzò dopo aver abbracciato Hazel, indossò una giacchetta e poi prese la sua borsa.
Sentii un clacson suonare, così aprii la porta sapendo fosse arrivato il taxi. Di nuovo mi chiesi perché non volesse che l'accompagnassi all'aeroporto, e ancora non dissi niente per evitare discussioni inutili.

Presi la valigia e la trascinai con me fino al taxi, l'autista aveva già aperto il bagagliaio. Misi la valigia all'interno e poi chiusi la portiera.
Alex era già dietro di me, mi guardava ed io non potetti fare a meno che stringerla in un abbraccio che lei ricambiò titubante. Poggiai il mento sul suo capo e sospirai chiudendo per un attimo gli occhi, accarezzai le sue spalle e mi accigliai quando la sentii voler sciogliere quel contatto.

«ricordati solo che ti amo, okay?» mormorai prima di lasciarla andare. Le baciai la fronte e lei annuì.

«ciao, Jay» mormorò prima di salire in macchina.

«ciao, amore»

Curvai le labbra in un sorriso prima che la macchina partisse, poi rientrai in casa e chiusi la porta. Poggiai la fronte su di essa, sentendo gli occhi punzecchiare.

Lanciai un pugno contro la superficie in legno mogano, poi sospirai. Mi allontanai avvicinandomi alla bambina, seduta sul divano, e le accarezzai i capelli.

«allora, piccolina, cosa ti va di fare?»

𝘾𝙄𝘼 - 𝘾𝙚𝙣𝙩𝙧𝙖𝙡 𝙄𝙣𝙩𝙚𝙡𝙡𝙞𝙜𝙚𝙣𝙘𝙚 𝘼𝙜𝙚𝙣𝙘𝙮 𝟮 ➳ 𝙟𝙗Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora