Capitolo 10

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«Sono a casa!» urlo prima di posare il mio nuovissimo zaino rosso a terra, di fianco alla porta d'ingresso. Oggi é stato il primo giorno di scuola, al liceo. Il rapporto con mio fratello non è dei migliori, ma almeno non mi ha deriso davanti tutta la scuola come alle medie.
«Eccoti.» afferma Matthew mentre mi fa un sorriso strano, con un non so che di malvagio. Annuisco, mentre si avvicina. Questo, però, causa un brutto presentimento in me; come se stesse per succedere qualcosa di brutto. Gli faccio un mezzo sorriso prima di avviarmi in camera mia. Mi prende il polso con forza, premendo forse un po' troppo del dovuto, e mi gira di scatto mentre mi fa sbattere la testa al muro. «Ma che cavolo fai?» affermo prima di portare una mano sul cuoio capelluto, esattamente dove ho urtato.
«Sei una stronza.» biascica vicino al mio orecchio. Mi prende i capelli legati in una dolce treccia a spina di pesce e li tira verso il basso, facendomi urlare di scatto. Non capisco esattamente perché fa questo, perché ce l'ha con me ma sto zitta perché so che peggiorerei solo le cose se mi opponessi. Tira sempre più giù e io abbasso la testa, nel tentativo di sentire meno dolore. Le lacrime si accumulano nei miei occhi ma non piango. Non potrei mai dargli questa soddisfazione.
«Non dovevi nascere.» dice in modo velenoso, sputando le parole con puro odio, prima di darmi un calcio nello stomaco; senza smettere di tirare i capelli. Un grido mi scappa dalle labbra screpolate, mentre mi accascio a terra a causa del dolore alla pancia.
Matthew lascia i miei capelli, ma solo per strattonarmi il braccio e riportarmi indietro. Inizio ad urlare aiuto, nella speranza che un passante o un vicino mi senta. Ma sono sola. Sola con un pazzo che mi sta picchiando.
«Stai zitta!» urla prima di darmi un pugno in un occhio e uno sulla mandibola. Mi da un altro calcio, questa volta sul fianco sinistro mentre inizio a non vederci più, a causa delle lacrime che mi offuscano la vista. Un singhiozzo mi scappa dalle labbra quando sento una mano colpirmi la guancia, e capisco che Matthew mi ha colpito ancora. E ancora. E ancora. Finché, al posto delle mie lacrime, non vedo tutto buio.

Mi alzo di scatto, urlando. Ho sognato la prima  volta in cui Matthew mi ha picchiato. Portandomi una mano sulla faccia, per scostare le ciocche di capelli vicino al viso, mi accorgo che sto piangendo. Le guance sono bagnate, ci vedo sfocato ed ho la fronte imperlata di un sottile strato di sudore. Mi scappa un singhiozzo mentre ripenso al sogno. Ma più che al sogno, al ricordo stesso.
«Basta piangersi addosso, Sil.» mi riprendo da sola, mentre con i palmi delle mani mi asciugo le restanti lacrime. Mi alzo piano, a causa della scarsa luminosità, e mi dirigo in bagno per sciacquare il viso. Dai pochi raggi della luna che filtrano dalla finestra della camera, deduco che sia notte fonda. L'acqua fredda mi sveglia più di quanto fossi, e rabbrividisco a quel contatto. Resto due minuti a fissarmi allo specchio, mentre osservo i miei capelli tutti spettinati, le labbra carnose e il naso. Non guardo i miei occhi, perché li troverei rossi e lucidi, succede sempre quando piango. È come se guardassi la mia debolezza, e ora dovrei pensare a tutto fuorché essere debole.
Il bussare della porta mi distrae dai miei pensieri. Ma che persona sana di mente verrebbe a bussare nel bel mezzo della notte?
Il mio primo pensiero è di non aprire, potrei fare finta di niente tanto nessuno saprebbe che sono sveglia. Chi me lo dice che non è un assassino? O un ladro? Sono paranoica, sí.
Ma il mio secondo è che forse è qualcuno che ha bisogno di aiuto. Tanto, non credo che un ladro o un assassino busserebbero alla porta.
Decido di far retta alla seconda e apro la porta in legno scuro. Le luci del corridoio sono basse, ma mi permettono di scorgere la figura alta e snella davanti a me. Ha i capelli castani e gli occhi blu. Tobias.
«Hey, che ci fai qui?» domando dopo essermi scostata per permettergli di entrare.
«Ti ho sentito urlare. Stai bene?»
Oh. È l'unica cosa che penso. Quanto ho urlato per averlo svegliato?
«Sí.» annuisco mentendo. Ieri, quando siamo arrivati a Miami abbiamo fatto un giro e poi siamo venuti qui. Qui, si intende un'alloggio molto carino, tipo Resort e grazie a Dio avevano due camere. Già mi immagino come mi sarei svegliata vicino a lui dopo aver sognato Matthew.
«Perché mi menti?» sussurra alzandosi e mettendosi difronte a me. Non ho acceso la luce, per cui l'unica che c'è è quella del bagno che ho dimenticato accesa.
Deglutisco a fatica. «Non sto mentendo.»
«Sil.» fa un passo verso di me ed io ne faccio uno indietro. Mi mette una ciocca di capelli dietro l'orecchio, facendomi rabbrividire. Spero solo che non se ne sia accorto. «Ti puoi fidare di me, lo sai vero?» Lo so, ma non è per questo. Fa male parlarne. Gli ho detto quello che mi fa, o meglio, faceva prima che scappassi, ma dire del sogno implicherebbe ammettere che ho paura di mio fratello. Dovrei ammettere che sono debole.
Annuisco, «E tu di me.» sussurro, mentre la sua mano situata ancora vicino il mio viso scende fino alla guancia, fino ad accarezzarla.
«Lo so.» ammette scrutandomi e facendo un fantastico sorriso.
«Allora perché non mi hai detto il perché sei qui? Perché sei scappato con me?» gli chiedo. So che questo rovinerà tutto, ma devo saperlo. Non so perché, ma è come se quando ci fosse lui voglio sapere tutto. Su di lui. Su quello che pensa. Su tutto. Il suo sorriso si spegne, riportando gli angoli della bocca nel suo stato naturale, in giù.
«Perché è una lunga storia. E ti giuro che te lo dico, ma non oggi e non qui. E poi sei abbastanza sotto shock, che ne dici di dormire?» afferma con voce dolce.
Dice sempre così, che è una lunga storia e che me lo dirà. Io intanto però gli racconto tutta la mia vita. Mi mordo il labbro per trattenere uno sbuffo e annuisco.
«Ho sognato Matthew... e lui... bé, lui...» inizio a blaterare. Gli occhi di Ias si spalancano e quando mi scappa un singhiozzo dalle labbra mi abbraccia. Inizio a singhiozzare, prima silenziosamente e poi in modo esplicito, bagnando la maglietta di Tobias, ma non sembra importargliene granché.
«Shhh, va tutto bene.» sussurra mentre affonda la testa nei miei capelli. «Ci sono io, non ti farà più niente.»
Ed è la cosa più bella e più rassicurante che qualcuno mi abbia mai detto. Biascico un 'grazie' appena udibile, ma Tobias lo sente dato che mi da un bacio tra i capelli. Esattamente gli stessi capelli che Matthew tirava fino a farmi urlare di dolore.
«Dai, vai a dormire. Ci vediamo domani.» sussurra il ragazzo dagli occhi blu, mentre mi asciuga le lacrime cosparse sul mio volto.
Quando però si gira per andarsene richiamo la sua attenzione prendendogli il braccio.
«Vuoi dormire qui? I-... io.. io non mi sento a mio agio da sola, ecco.» Non posso credere di averglielo chiesto veramente, ma è la verità. Da sola avrei avuto paura di quello che sognerò, ed è rassicurante sapere che almeno ci sarà lui con me.
Si gira e la mia mano scende fino alla sua dove poi incrociamo le nostre dita. Guardo quel movimento estasiata mentre scorgo Tobias annuire e sorridere. La sua mano è calda, in contrasto con la mia ghiacciata.
«Sí.» afferma Ias, probabilmente pensa che non l'abbia visto. Lo abbraccio di nuovo, cingendogli la vita con le braccia e annusando il suo profumo. Gli sorrido prima di interrompere l'abbraccio e saltare sul letto a stile rana.
«Che bambina.» borbotta Tobias.
«Perché tu sei maturo, invece.» ribatto incrociando le braccia al petto.
«Certo che lo sono.» ammette alzando e abbassando innumerevoli volte le sopracciglia, facendomi ridere. Appena calmata mi stendo completamente sul letto, portandomi le lenzuola fino al petto e chiudendo gli occhi.
Dal movimento del materasso capisco che anche Tobias si sta coricando e ne ho la conferma quando il suo respiro mi solletica la nuca. Mi giro nel lato opposto al suo, perché sto arrossendo e vorrei evitare di fare altre brutte figure, come se quella di stamattina non bastasse.
Il sonno improvvisamente si fa sentire, anche se ho una notevole carica di adrenalina a causa della vicinanza di Tobias. «Posso abbracciarti?» lo sento sussurrare al mio orecchio talmente piano che penso di essermelo immaginato. «Devi.» sussurro a mia volta. Fa scivolare il suo braccio intorno la mia vita e fa aderire la mia schiena al suo petto. Sento il suo respiro nell'orecchio, il suo cuore accelerato che batte quasi veloce quanto il mio. E forse dopo il suo "carina", dopo i suoi abbracci e dopo questo, forse, c'è sul serio la possibilità di piacergli.

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