Capitolo 19

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Uno sbadiglio mi scappa dalle labbra screpolate. Le persiane della finestra sono ancora chiuse, per cui entrano solo uno o due raggi del sole. Mi stiracchio leggermente, allungando le gambe e le braccia verso l'alto. Emetto un mugolio quando mi ricordo che dovrei alzarmi. Mi rigiro nel letto e mi metto il cuscino sopra la testa, per non vedere più niente e riprendere sonno, ma è inutile, oramai sono sveglia. Allungo la mano verso il comodino e lo tasto, in cerca del mio cellulare. Quando sento qualcosa di diverso del duro legno lo prendo e lo porto vicino la faccia. Sorrido appena vedo lo screen, dove c'è una foto di me e Tobias a Disneyland. Dio, lui è così bello.
Comunque sono a malapena le nove del mattino, quasi un record per i miei standard. A Chicago di estate sono capace di dormire fino a mezzogiorno. Mi alzo strisciando i piedi, stile zombie, mentre un'altro sbadiglio mi sfugge dalle labbra. Ieri io e Tobias abbiamo perso la condizione del tempo e lui se ne è andato nella sua stanza verso l'una di notte. Ho sul serio bisogno di un caffè, anche se non mi piace molto. «Buongiorno!» mi saluta Ias entrando. Inarco un sopracciglio. «Come hai le chiavi?»
Alza gli occhi al cielo, ridendo. «Me le hai date tu ieri, perché hai paura che le scordi da qualche parte, non ti ricordi?» risponde mentre io faccio mente locale. Giuro che non ero ubriaca o drogata, ma la mattina sono così. Non mi ricordo un cazzo e dico cose senza senso. Scuoto la testa. «Abbi pietà, mi sono appena svegliata.» lo avverto mentre il "bip" della macchinetta mi avvisa che la caffeina è pronta.
«Caffè?»
Annuisce. «Mi ricordavo che non ti piacesse.»
«Infatti non mi piace.» affermo. «Ma avevo bisogno di caffeina.»
Metto la bevanda in due tazzine, attenta a non far colare fuori il contenuto. Quando ho finito con questa fatidica azione porgo la tazzina a Tobias che la prende con nonchalance mentre mi sorride riconoscente. Quando facevo il caffè a casa sporcavo sempre tutto, facendo sempre uscire il liquido dalle tazze. Questo è uno svantaggio di essere goffa.
«Che facciamo oggi?» mi chiede il moro mentre beve un sorso del caffè.
Lo imito, aggiungendo anche una faccia schifata a causa del suo sapore amaro.
«Restare sul letto a non fare un cazzo è una brutta idea secondo te?» gli propongo mentre sbatto più volte le ciglia di proposito.
«Oh, andiamo!» sclera. «Siamo a Miami e tu vuoi restare a dormire?»
La sua faccia sconvolta mi fa riflettere. Dovrei dirglielo che sono la persona più pigra del mondo oppure dovrei fingere come fanno tutte le ragazze all'inizio di una relazione?
Decido la prima.
«Sí.» ammetto mentre poso il caffè sul mobiletto della camera. Non lo voglio più bere, non mi piace per niente.
«Fa proprio schifo.» affermo riferita al caffè facendo ridere Ias. «Abbastanza.» concorda mentre io mi fingo indignata.
«Stai dicendo che non so fare il caffè?»
«Forse.» ribadisce. Prendo un cuscino e glielo lancio contro. «Sei un ipocrita!» gli urlo ridendo contro fingendo di essere arrabbiata.
Lo so benissimo che non so fare il caffè, avevo solo bisogno di un sorso.
«Che c'entra questo?»
Effettivamente ha ragione. La parola "ipocrita" non gli si addice per niente.
Mi metto una mano sulla faccia. «Te l'ho detto, mi sono appena svegliata. Non ho la testa per cercare parole adeguate.» borbotto facendolo ridacchiare. «Che ti sei appena svegliata lo vedo.» ironizza. Stranamente non sono a disagio in pigiama davanti a lui. Voglio dire, mi ha già vista appena sveglia e "non presentabile". Anche se i pantaloncini mi arrivano sulla coscia e la maglietta è di pizzo, comunque non sono a disagio. Strano, per una che arrossisce anche solo per respirare.
Un sonoro sbuffo esce dalle mie labbra prima di buttarmi a capofitto sul letto.
«Non voglio alzarmi più.» biascico contro il lenzuolo, camuffando la voce e le parole stesse.
«Avrei più possibilità di capirti se mi parlassi in cinese.» mi fa notare. Sento che fa un paio di passi verso di me, fino ad accarezzarmi i capelli. Borbotto qualcosa a caso prima di girarmi verso di lui.
«Il massimo è l'italiano.» specifico mentre gli sorrido. Mia madre ha insistito tanto per farci imparare questa lingua da quando siamo piccoli. Con il fatto che discendiamo dall'Italia mi sono sempre sentita legata a questa nazione, per cui alcune volte é bello parlarlo.
«Lo sai parlare?» mi chiede sbalordito Ias. Annuisco mentre mi rialzo, decisa a prepararmi.
«Andiamo a fare un giro?» propongo una volta difronte a lui. Gli cingo il collo con le braccia mentre le sue vanno sulla mia vita.
«Dovresti prima prepararti.» sussurra ad un centimetro dalle mie labbra.
«Okay... resti qui o vai in camera tua?» domando prima di dargli un veloce bacio a stampo.
«Tu vuoi che rimanga?»
«Stai provando a flirtare con me, Eaton?» inarco un sopracciglio per la confusione più totale, ma mantenendo un sorriso armonioso sul volto.
«Sí.» conferma. «Vuoi che rimango?»
Annuisco impercettibilmente. È inutile che se ne vada in camera sua se tra dieci minuti sono pronta. Gli do un ultimo bacio prima di dirigermi verso l'armadio nero corvino e scegliere cosa indossare. Una volta finito ciò, mi avvio a passo svelto verso il bagno mentre in contemporanea Tobias si siede sul letto e gioca con il cellulare.
Dopo aver fatto una veloce doccia ed essermi vestita, raggiungo di nuovo il mio ragazzo nella stanza.
«Andiamo?» gli domando appena uscita. Annuisce mentre infila il suo cellulare nella tasca dei pantaloni e si alza. Mi avvicino al comodino per prendere il telefono, e appena lo faccio la vibrazione di quest'ultimo mi fa allarmare.

Messaggio da Matthew

É questo quello che c'è scritto sulla home del mio iPhone. Un brivido di paura scende lungo la mia colonna vertebrale. Anche se non può più farmi del male, leggere o sentire il suo nome fa ancora un certo effetto.
«Hey.» richiama la mia attenzione Tobias. Lo sto sentendo, ma non ho ancora spostato gli occhi da quella notifica. «Va tutto bene?»
Non rispondo. Le dita della mia mano iniziano a tremare. Ho paura di quello che ci può essere scritto in quel messaggio. Se è un ricatto o una minaccia. Il cuore mi rimbomba nelle orecchie mentre il mio respiro si affanna. Raramente ho attacchi di panico, ma alcune volte mi vengono.
«Sil.» ritenta Ias. «Che hai?»
Si avvicina a me e mi prende delicatamente le spalle. Mi gira fino ad essere difronte a lui e le sue mani, situate ancora sulle spalle, vanno sulle guance. Solo in quel momento i miei occhi lucidi riescono a guardarlo. È visibilmente preoccupato ed il mio odio verso me stessa aumenta ancora di più. Non voglio che si preoccupi o stia male ulteriormente a causa mia. Deglutisco a fatica. «Non è niente.»
Un sorriso dolce prende forma sul suo viso. «Sil, ti conosco. Siamo stati amici per settimane e stiamo insieme da giorni, quindi non mentirmi okay? So che qualcosa non va. Apprezzo che non mi vuoi far preoccupare, ma sul serio non puoi tenerti tutto dentro.»
La sua mano mi accarezza la guancia ed io chiudo gli occhi. «Mi ha scritto Matthew.» sussurro solo.
«Che ha detto?»
«Non lo so, ho solo visto la notifica.»
Quando apro gli occhi Tobias si siede sul letto e porta le mani sulla mia vita. Fa leggera pressione sul basso, per farmi sedere sulle sue ginocchia. Non oppongo resistenza e faccio ciò che vuole. Non gli do del tutto le spalle, sono leggermente girata verso di lui. Mi inizia a lasciare dei baci umidi sul collo, mandandomi completamente in estasi.
«Hai intenzione di leggere ciò che ha scritto?» biascica poi, portando lo sguardo verso di me.
«Credo di sì.» sussurro. «Basta che ci sia tu con me.»
«Tranquilla, non me ne vado.» mi rassicura dandomi un bacio dietro al lobo dell'orecchio.
«Grazie.» affermo prima di accendere il telefono. Faccio un respiro profondo prima di decidermi a premere sull'icona dei messaggi ed entrare nella chat con mio fratello.
Non ci siamo mai scritti, per cui è l'unico messaggio che ho ricevuto da lui negli anni.

Sil torna a casa. So che sono stato stronzo e che non mi perdonerai mai, ma Maya e i nostri genitori stanno davvero male. Per favore, torna a casa.

Rileggo altre due o tre volte il messaggio e chi me lo ha mandato per assicurarmi che sia vero. Non ha mai pregato nessuno e mi stupisce il fatto che io sono la prima.
«Un bel pugno non glielo leva nessuno.» sbotta Ias assottigliando gli occhi. So che è arrabbiato, così come io lo sono con Marcus ed Evelyn, i suoi genitori. É difficile non arrabbiarsi con le persone che hanno fatto del male a quella che ami. O anche a cui vuoi bene. Quando tieni così tanto ad una persona vuoi che sorrida sempre, vorresti solo che pianga di gioia o a causa delle troppe risate e quando capisci che alcuni l'hanno ferita, le hanno privato il sorriso, è difficile mandare giù il magone che si presenta nella tua gola. «Ti amo.» ammetto girandomi verso di lui. «Ti amo anche io.» sussurra prima di baciarmi. Ricambio immediatamente. Non so cosa farei senza di lui.
Interrompe lui il bacio, mettendo l'indice sul mio labbro. «Gli darai ascolto? Vuoi ritornare a casa?»
«Sei tu la mia casa.» rispondo ed è forse la cosa più giusta che abbia mai detto in tutta la mia vita. Riprendo a baciarlo, e tutta la paura di prima scompare nel nulla. È impossibile avere paura con Ias al mio fianco.

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