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Un'altra giornata andata, altre lezioni andate.

Esco dall'università e compongo velocemente il numero di Francesco, senza nemmeno consultare la rubrica. Il telefono non emette nemmeno tre squilli che già sento la sua voce dall'altra parte della cornetta.

"Hey, media!"

Sorrisi istintivamente. Mi chiama così da quando ci siamo conosciuti, e questo nomignolo ha due significati: il primo si riferiva alla mia facoltà, mediazione linguistica e interculturale, ma per velocizzare la chiamava così. Il secondo, invece, si riferiva alla mia statura, né troppo bassa, né troppo alta.

"Hey, stangone!"

A questo, arrivateci da soli.

"Stavo pensando" continuai "Ti va una granita da Carmelo?"

"Con questo caldo non posso che accettare, baby!"

Sentivo che c'era qualcosa di diverso nella sua voce, come se stesse fingendo quell'entusiasmo.

"Va tutto bene?"

"Tutto alla grande, perché? Dai, ci vediamo tra poco"

Ma non risposi, ero troppo impegnata ad incamminarmi verso il cortile principale dell'università, richiamata da urla e schiamazzi.

"Media, ci sei?"

Mi destai un attimo

"Sì, scusami, ci vediamo dopo"

"Ma sei sicura che vad-"

Troppo tardi, avevo già riattaccato.

Posai il cellulare in borsa e arrivai in cortile, dove vidi Giovanni, il nostro rappresentante, in piedi su una sorta di podio improvvisato, col megafono in mano e abbastanza rosso in viso.

Attorno a me, scorsi alcuni miei colleghi con dei volantini in mano. Mi avvicinai a loro, cercando di intravedere i fogli.

"Manuela, cos'hai in mano?"

"Hey, Sofi! Ma non hai sentito?"

La guardai con aria interrogativa e scossi la testa. Cosa avrei dovuto sentire? Insomma, sono stata all'università tutto il giorno e nessuna notizia in arrivo. E' anche vero che sono passata da un'aula all'altra, ma di solito le notizie circolano in fretta, qui.

"I Måneskin stanno facendo un piccolo tour tra le università romane, in occasione di un evento di beneficenza, e il ricavato sarà diviso tra diverse associazioni che.."

Ma io avevo smesso di ascoltare già da un pezzo, e la sua voce risultava ovattata alle mie orecchie.

Non è possibile, mormorai tra me e me.

Feci un sorriso di congedo a Manuela, e uscii dall'università. Durante il tragitto presi le cuffiette e me le misi, andando su spotify e facendo partire la riproduzione casuale.

Questo piccolo grande amore, Claudio Baglioni.

Gettai un sospiro e alzai il capo, in modo da ricacciare indietro le lacrime. Continuai a camminare, guardandomi attorno, scorgendo un piccolo bar, "Frederique II", e restai lì immobile a fissarlo. Solo dopo mi accorsi che la canzone stava per finire, e con lei mi destai da quella sorta di trance in cui ero caduta. Mancavano pochissimi isolati e sarei arrivata al bar di Carmelo. Ma ci fu qualcosa che mi interruppe, o meglio, una canzone.

Somebody told me that you had a boyfriend

Who looked like a girlfriend ...

Questo era troppo. Mi appoggiai al primo muretto utile e mi sostenni con una mano, iniziando a piangere. Troppi ricordi legati a questa canzone, troppi ricordi legati ai Måneskin, troppi ricordi legati a Damiano.

Penso che a volte la natura ci riservi dei colpi bassi, e questo fu proprio uno di quelli. Descrivere il mio rapporto con Damiano, ancora oggi, risulta difficile.

Difficile perché era bello da togliere il fiato.

Difficile perché ogni volta che lo penso il mio cuore perde un battito.

Difficile perché il suo viso mi faceva venire le farfalle nello stomaco.

Arrivai da Carmelo prima del previsto, scorgendo Francesco seduto al nostro solito tavolo.

Non volevo farmi vedere da lui, non così. Asciugai le lacrime con il dorso della mano e spinsi la porta d'ingresso, facendo tintinnare dei ciondolini appesi.

"Sofia, quale onore averti qui!" urlò Carmelo dall'altra parte del locale, mettendomi leggermente in imbarazzo.

Era siciliano anche lui, e faceva le granite più buone dell'universo. Lo conobbi all'incirca un anno fa, mentre facevo una passeggiata con Fra, e la prima cosa che mi colpì fu l'insegna:<<Granite siciliane>>, come una sorta di miraggio. Le mie visite a quel locale si sono intensificate sempre di più, e ormai Carmelo mi considera come una figlia.

"Ciao, zì!"

Lo chiamavo così perché ci trovavamo a Roma, ed era buffo come nomignolo.

Mi incamminai verso il nostro tavolo, e per poco non mi prese un colpo: Francesco aveva un graffio in faccia, ma non un graffio qualunque, bensì uno profondo, fatto con la forza.

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