Capitolo 5 • Kenji

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Nishino contemplava lo striscione che Mina e Ando, i ragazzi del secondo anno, avevano appeso al palco dal quale lui, il mattino seguente, avrebbe pronunciato il discorso di benvenuto al festival. Era venuto bene. Nonostante avesse una responsabilità importante, non era emozionato. Avrebbe parlato della scuola, ricordando gli ex studenti che si erano distinti nella vita in vari campi, dando lustro all'istituto. Siccome era un'occasione per presentare le attività della scuola agli studenti delle medie che avrebbero potuto decidere di iscriversi l'anno successivo, avrebbe dovuto elogiare il lavoro dei professori che gestivano i vari club. Dietro di lui, sul muro, sarebbero state proiettate le diapositive dei festival degli anni precedenti, che avevano scelto insieme ai membri del comitato, così, se si dimenticava qualcosa, avrebbe avuto uno spunto da cui ripartire. Tutto era stato studiato nei minimi dettagli ed era pronto per la giornata impegnativa che li aspettava l'indomani, per cui aveva mandato i ragazzi a casa a riposare ed era rimasto solo.

Non era quello il motivo per cui era nervoso. Ripassava mentalmente come si sarebbe svolto il festival per distrarsi dal pensiero di sottofondo che era quasi passata un'ora dall'ultimo sms che gli aveva inviato e Takano non era ancora arrivato all'appuntamento. Non riusciva a credere che non gli importasse di venire accusato di prostituzione davanti a tutta la scuola e allo stesso tempo la cosa lo incuriosiva e lo eccitava, perciò, quando sentì la porta dell'aula magna cigolare aprendosi, provò quasi un moto di delusione nel vederlo entrare.

Aveva ancora il fodero della chitarra a tracolla e camminava trascinando i piedi. Arrivato a metà percorso tra le due file di sedie, alzò su di lui uno sguardo ferale, rabbioso, che aveva un qualcosa di definitivo.

«Che cosa vuoi?» grugnì raschiandosi la gola. «Che. Diavolo. Vuoi. Da me?»

«Allora, lo ammetti? Vai con gli uomini a pagamento?»

Takano distolse lo sguardo, strinse i pugni che teneva lungo i fianchi e cominciò a tremare leggermente. Nishino coprì la distanza tra loro, gli andò più vicino e gli prese la mano destra, ancora stretta in un pugno. Sotto l'espressione incerta di Takano, gli dischiuse le dita.

«Dimmi una cosa, quanti ne hai toccati con questa mano?»

Dato che non rispondeva, Nishino allungò l'altra mano a sfiorargli le labbra, passandoci sopra i polpastrelli freddi delle dita. Mentre lo faceva, non poté a meno di registrare che erano di una morbidezza notevole. Erano una delle cose che lo avevano attratto verso di lui, le sue labbra, piene e rosee, erano più affascinanti di quelle sottili di Akemi, che non aveva mai avuto la voglia di baciare. Per quello gli riuscì un po' più difficile pronunciare le parole successive:

«E quanti ne hai accolti in questa bocca?»

Takano si divincolò dal suo tocco facendo un passo indietro e piegò la schiena in un inchino profondo.

«Ti prego non dirlo a nessuno.» Tremava e, strizzando gli occhi con forza, ripeté: «Ti prego...»

«Perché fai così? Sai benissimo quello che voglio. Vieni, andiamo.»

Nishino gli passò accanto e uscì dall'aula magna, sicuro che lo avrebbe seguito. Non si preoccupava mai troppo delle emozioni degli altri, ma varcando i cancelli della scuola si chiese se Takano, che camminava guardando a terra, qualche passo dietro di lui, fosse più arrabbiato, sconvolto o se la vergogna fosse il sentimento che gli pompava il sangue in corpo in quel momento. In effetti, assistendo ai suoi concerti improvvisati in mezzo alla strada, si era trovato spesso a intrattenersi cercando di decifrare le sue espressioni facciali. Era un tipo strano, perché anche quando sorrideva, pareva ci fosse un cumulo di nubi in agguato, pronte ad addensarsi nel suo sguardo e scomparire un attimo dopo. Voleva saperne di più su di lui, voleva capire.

Girato l'angolo, si ritrovarono davanti al complesso di appartamenti di lusso che suo padre affittava a pendolari e manager. Nishino invitò Takano a precederlo dentro il palazzo, salutò il portiere, che s'inchinò al loro passaggio e, camminando verso l'ascensore, estrasse una chiave magnetica che teneva dentro al portafogli. Osservava, senza curarsi di celare il suo mezzo sorriso, Takano che si guardava intorno a bocca aperta e schiacciato il bottone dell'ultimo piano dell'ascensore, si decise a rompere il silenzio.

«Ho un appartamento nell'attico. Dato che ho accettato le sue condizioni, mio padre mi permette di usarlo a piacimento, però non vivo qui. Non ci vivrei mai, anche se devo ammettere che averlo mi fa comodo per altre cosucce.»

«Sei ricco di famiglia.» rispose con voce piatta, guardandosi le scarpe. «Me lo aspettavo.»

«Sono costretto ad accettare la carità di mio padre, ma non è per il mio bene.»

Forse si aspettava che gli chiedesse qualcosa, invece Takano era rimasto in silenzio, totalmente disinteressato. Fece scattare la serratura con la chiave magnetica ed entrarono nell'appartamento. Era un grande open space con una cucina moderna dai banconi di marmo nero lucido, divanetti di pelle di fronte a un televisore appeso al muro e da una parte, separata dal resto della casa da una porta scorrevole in carta di riso, s'intravedeva una stanza arredata unicamente con uno spoglio letto matrimoniale. Nishino avanzò nel salotto, mentre Takano esitava sulla soglia, guardandosi intorno in cerca di una scarpiera o qualcosa del genere.

«Non fa niente, vieni dentro.»

«Vuoi farmi le stesse cose degli uomini di Shinjuku? Va bene, non importa. Basta che mi giuri che cancellerai quelle foto, se lo faccio.»

«Volevo mostrarti questo.»

Fino a quel momento non si era accorto che Nishino stava in piedi di fianco a un set con chitarra e amplificatore nuovo di zecca. Takano si avvicinò, come attratto da una forza irresistibile.

«Ho assistito a uno o due dei vostri concerti per strada.» si lasciò sfilare il pesante fodero dalla spalla. Nishino lo prese, lo appoggiò a terra e lo aprì. Raccolse lo strumento e andò a sedersi sul divanetto vicino al set. «Vedi, è tutta scordata.» disse, senza alzare lo sguardo. «Per questa volta lo farò io, ma penso che dovresti imparare a farlo da solo, se vuoi suonare seriamente in una band.» mormorò mettendosi a manovrare le manopole sul manico e pizzicando le corde con l'altra mano. Le cose non stavano andando come si era immaginato e cominciava a innervosirsi. Pensava che la sua minaccia sarebbe bastata a piegare la volontà di Takano, a renderlo remissivo, invece stava opponendo un rifiuto silenzioso che non sapeva come gestire.

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