Capitolo 6 • Jun

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Takano sfiorò con le dita il cassone dell'amplificatore. La chitarra elettrica era nuova, come il piedistallo su cui era appoggiata e il microfono con la sua asta, e tutto il resto. Si chiese se anche Nishino fosse un musicista, anche se, per qualche motivo, ne dubitava. Era impossibile che avesse comprato tutta quella roba per lui. Doveva essere costata un patrimonio. Eppure, sembrava che sapesse cosa stava facendo. La chitarra sotto le sue dita gli restituiva suoni puliti che Takano non era mai riuscito a tirarle fuori. Ci pensava Minoru ad accordarla per lui in fretta e furia prima dei concerti. Avrebbe voluto comprare una macchinetta accordatrice, ma non voleva chiedere i soldi a suo padre, altrimenti avrebbe dovuto spiegargli a cosa gli sarebbe servita. I suoi genitori non sapevano niente della band; per questo motivo teneva la chitarra in garage e non la portava mai in casa.

«Senti, mi stai facendo perdere tempo. Ho accettato di venire con te, ma se non mi dici quello che vuoi farmi...»

«Suona una delle tue canzoni.»

Lo guardò a occhi spalancati, un po' incredulo.

«Adesso non mi va.»

Nishino spostò il peso da una gamba all'altra, fissandolo a braccia incrociate.

«Voglio che suoni per me.»

«Mi vergogno a suonare senza la band, per una persona sola.»

«Non m'interessa.»

Si avvicinò, con la sua solita attitudine altera, sollevò la chitarra dal piedistallo e accostandosi a Takano gli passò la bretella dietro la testa in un gesto che non ammetteva repliche. Le sue dita volarono istintivamente a stringere il manico e sotto il mezzo sorriso arrogante di Nishino, il pollice dell'altra mano scivolò a coprire le corde sulla cassa armonica.

«Non vergognarti, e suonami qualcosa.»

Takano sospirò. Si ricordava le note iniziali di God Save The Queen dei Pistols e si convinse a iniziare da quelle. L'amplificatore gli restituiva suoni puliti e profondi, che ne denotavano l'alta qualità e, quando si ritrovò a unire la sua voce alla melodia, cominciò a chiedersi perché i vicini non fossero già venuti a lamentarsi. Forse avevano chiamato la polizia, che di lì a poco avrebbe suonato il campanello mettendo fine al loro concerto improvvisato. Tanto meglio, pensò. Nishino si era seduto di nuovo sulla poltrona e lo guardava fisso, con un'ombra sempre più torva negli occhi, e non capiva perché paresse accigliarsi di più a ogni battuta. Circa a metà canzone scattò in piedi, facendogli scivolare la mano a produrre un suono stridulo per lo spavento.

Lo guardò in cagnesco senza parlare per un istante, prima di aggredirlo.

«Avevo detto qualcosa di tuo.»

«Ed io ti ho risposto che non mi va.»

«Ci vediamo domani al festival. Cerca di svegliarti più bendisposto di oggi.»

***

Se non fosse stato tanto pusillanime avrebbe avuto il coraggio di chiedere a Nishino di non diffondere le sue foto ancora una volta, anche a costo di apparire piagnucoloso. Invece ci si era messo di mezzo il suo stupido orgoglio ed era rimasto tutto indefinito. Non conosceva abbastanza il ragazzo da essere sicuro di non averlo spinto oltre il limite. Lo aveva fatto arrabbiare abbastanza da indurlo a mandare all'aria il loro accordo? L'ultima cosa che gli aveva detto era che si sarebbero visti l'indomani al festival della scuola. Poteva essere un innocuo saluto oppure una minaccia. E non capiva perché lo avesse invitato a casa sua e poi non gli avesse fatto niente. Forse era anche quello un modo di umiliarlo. Lui non aveva potuto rifiutarsi, perché un conto era essere ridicolizzato dai compagni perché suonava in una band punk, un altro essere accusato davanti a tutti di prostituzione e Nishino aveva le prove per incriminarlo. Sua madre non l'avrebbe mai perdonato, suo padre non avrebbe potuto usare la sua influenza per iscriverlo in un'altra scuola quando fosse stato cacciato. Un'accusa di prostituzione sulle spalle gli avrebbe rovinato la vita completamente. Forse avrebbe dovuto essere più furbo, poco prima ed evitare di far innervosire Nishino, ma ormai non poteva cambiare quello che era successo e comunque, meditava ancora di farla finita. Se fosse stato meno pusillanime, avrebbe persino potuto scrivere una lettera di addio in cui accusava Nishino di ricattarlo, prima di suicidarsi. Gli avrebbe reso la vita un inferno. Però non aveva il coraggio di uccidersi. Non era pronto, non ancora. Era a questo che pensava, scendendo gli scalini del condominio. Erano otto piani e arrivato al quinto, si bloccò, ricordandosi all'improvviso che aveva lasciato la chitarra di sopra, nell'appartamento. Risalì i gradini a due a due quando, arrivato a metà tra il settimo e l'ottavo piano, sentì un grido e il rumore di un oggetto di vetro che si fracassava. Altre grida furibonde e rumori di colpi. Provenivano proprio dall'appartamento dal quale era appena uscito. Per un secondo il cuore gli balzò in gola e si chiese se avesse potuto registrarle con il cellulare e usarle a sua volta come ricatto, ma poi si rispose che poteva essere la voce di Nishino, come quella di chiunque altro. Non sarebbe servito a niente come prova. Maledicendo se stesso per l'ennesima volta, stringendo i denti, si costrinse a scendere i gradini uno dopo l'altro e tornò a casa con nient'altro se non un profondo senso di sconfitta.

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