Capitolo 29 • Kenji

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Attese di sentire la porta sbattere con un clangore ferroso prima di concedere al pianto di scivolargli sulle guance. Sentiva tremare il cuore nella pancia e di conseguenza respirava a scatti. Non era riuscito a dirgli nulla di quanto si era ripromesso. Pensava che negli ultimi giorni si comportasse freddamente con lui perché aveva problemi a casa. I suoi genitori dovevano avere scoperto qualcosa e l'avevano picchiato. Non c'era altra spiegazione a quei lividi in faccia. Poteva cambiare soltanto il motivo. Se fosse stato come pensava però, significava che Takano non aveva lottato per lui. Se era così, se per assurdo avessero scoperto che si vedeva con un maschio e suo padre gli avesse chiesto di lasciarlo, non doveva avere esitato neanche per un minuto. Non si era opposto. Non si era fidato di lui, non lo rispettava come suo ragazzo, non si era degnato di dirgli cosa gli fosse successo. L'aveva trattato peggio di un oggetto, senza concedergli nemmeno la confidenza riservata agli amici. Davvero a Takano non importava nulla della loro relazione. Significava che con lui non aveva fatto altro che passare il tempo. Con lui e chissà quanti altri uomini. Forse, nella spirale distruttiva della sua depressione, andare a letto con più persone possibili era una sorta di valvola di sfogo e non gli interessava veramente di nessuno. Si accosciò in preda a un giramento di testa e trattenne il respiro mentre gli si appannava la vista.

«Traditore.» mormorò a se stesso strizzando fuori le lacrime. «Ti ho dato il mio primo bacio.» disse alla brezza leggera che gli scompigliava i capelli «E la mia prima volta. E tu mi hai usato e basta. Traditore...»

Finalmente capiva che Takano non aveva mai avuto intenzioni serie con lui ma non riusciva a odiarlo. Non ancora. Forse ci sarebbe riuscito l'indomani. Ora poteva soltanto singhiozzare.

***

«Che ti aspettavi?» esordì Sora, piazzando un canestro da tre punti. «È una puttana. Non dire che non ti avevo avvertito.»

«Non parlare di lui in quel modo.» sputò digrignando i denti. Un conto era pensarlo, un altro sentirselo dire da qualcuno. Se l'amico voleva fare a pugni, era pronto ad accogliere con gioia quella distrazione.

«Senti, mi dispiace.»

Sora gli posò una mano sulla spalla e strinse.

«Ehi, sai che se hai bisogno di sfogarti, io ci sono.»

Era gentile. Ed era il suo migliore amico, non doveva dimenticarlo. A differenza di Takano, non aveva mai abusato della sua fiducia. Per quanto spesso si fosse ritrovato a osservarlo da lontano, cercando un modo per avvicinare quel ragazzo così particolare, la verità era che conosceva Takano da pochi mesi e invece Sora dai tempi dalle elementari. E poi, non era il secondo ad avergli fatto un buco nel cuore.

«Quella foto... guarda che non è come pensavamo.»

Gli ripeté per filo e per segno quello che aveva detto Akemi. Sora lo ascoltò fino alla fine e storse il naso.

«Può darsi che non si sia portato a letto quel tizio proprio quella sera specifica. In tal caso, però, cosa ci facevano davanti a un love hotel? A me appare piuttosto lampante, mi dispiace.»

Non riuscì a controbattere. Aveva colto il nocciolo della questione. Era una delle cose che non si spiegava; come d'altronde l'atteggiamento freddo di Takano degli ultimi giorni e i lividi, che non voleva dirgli come si fosse procurato. Era la sua indifferenza a ferirlo più di tutto il resto. Non rispondeva ai messaggi, non accettava le scuse e aveva troncato la loro relazione in modo brusco, senza una parola di chiarimento o un confronto vero. Forse se lo meritava, per avere dubitato di lui, ma faceva male lo stesso.

Il rossore del tramonto stava sfumando nelle tenebre di un temporale in arrivo. Sora raccolse la palla e la infilò nel borsone. Nishino, mentre si alzava dalla panchina sentì un tuono abbattersi in lontananza.

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