Capitolo 11 • Kenji

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Diamine, se era bello baciare Takano. Ci aveva provato ed era andata bene. Lui non si era tirato indietro, non gli aveva urlato contro come al suo solito e non si era messo a piangere. A un certo punto, aveva sentito le sue mani appoggiarsi timidamente contro la schiena, allora aveva capito che accettava il bacio, che accettava lui, lo ricambiava ed era una sensazione inebriante, che lo fece tremare e gli colmò il petto di un calore intenso, indescrivibile. Quando si staccarono, notò che era arrossito e avrebbe voluto dirgli qualcosa per tranquillizzarlo, ma non riusciva a trovare le parole giuste e mentre ancora ci pensava, Takano deglutì, si aggiustò il fodero della chitarra sulla spalla e disse:

«Ci vediamo a scuola.»

Imbambolato, lo guardò girarsi e correre giù per le scale senza riuscire a muoversi per dirgli di fermarsi. Forse era meglio che fosse andato via, perché così non avrebbe dovuto subire il suo ennesimo rifiuto. Quel bacio, però, gli aveva fatto nascere dentro la minuscola speranza che il ragazzo non lo odiasse del tutto. E poi, gli aveva confessato il suo segreto. Allora, era per quello che i suoi occhi erano sempre avvolti da un velo di tristezza. Era nato per diventare un donatore di midollo, solo che sua sorella maggiore era morta prima che potessero prenderglielo. Pensò, mentre spegneva le luci dell'appartamento, dopo essersi rivestito e aver raccolto la borsa, che i suoi genitori dovevano essere persone veramente egoiste; un po' come suo padre.

Rosa non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Significava concepire un piano che avrebbe segnato la vita di qualcuno ancora prima che fosse nato. Lei, che teneva tanto a difendere la propria libertà e quella del figlio, insistendo per lasciargli una scelta anche nella difficile situazione in cui si trovavano, insistendo perché fosse lui a decidere della sua vita fino all'ultimo, di certo non avrebbe capito una cosa del genere. Ma lei non era giapponese. C'erano cose della sua cultura che non poteva capire. Era normale che Takano si sentisse sempre triste, ma al tempo stesso, pensò Nishino, forse non era sbagliato che i genitori pretendessero qualcosa da lui, in cambio per avergli donato la vita. Siccome quelle considerazioni tra se e sé lo fecero intristire, uscendo all'aria aperta inspirò forte il buio intervallato dai lampioni del viale, che aveva un odore di nebbia e si ripromise di non pensarci più, almeno per quella notte.

Aveva tante cose cui pensare nei giorni successivi, per cui preoccuparsi. Sarebbero state un paio di giornate impegnative e preferiva concentrarsi sul ricordo del bacio con Takano. Era incredibile come l'avesse fatto stare bene. Gli era mancata una cosa bellissima, fino a quel momento, pensò, e con il cuore che gli batteva forte, salendo sul treno pieno di gente, rabbrividì al ricordo delle dita esitanti che si posavano dolcemente, ma con fermezza, contro il fondo della sua schiena. La città scorreva a velocità supersonica dietro ai finestrini e all'improvviso sentì che gli girava la testa. Cominciò a pulsargli un lieve dolore dietro l'occhio destro e il sibilo del treno che rallentava era divenuto fastidioso. Guardandosi intorno, notò un seggiolino libero pochi metri più in là e cominciò a farsi strada tra le persone in piedi, quando il treno si fermò, salì un gruppo di ragazze e una di loro lo occupò, continuando a chiacchierare con le altre. Nishino si ricordò che nella commozione della giornata si era dimenticato di passare da casa per prendere le medicine.

Varcata la soglia del minuscolo appartamento, vide Rosa, in ginocchio davanti al tavolino, che sfogliava una rivista con un gomito a fare da perno alla mano che le sosteneva la testa. Doveva essere stanca, dopo la giornata di duro lavoro in fabbrica. Sul tavolo accanto a lei c'erano il cellulare e il sacchetto dei suoi farmaci per controllare la pressione sanguigna.

«Si può sapere, dove ti eri cacciato? Ho provato a chiamarti almeno cinquanta volte. Ero preoccupata.»

«Scusa,» abbassò lo sguardo e poggiata a terra la borsa andò a inginocchiarsi al tavolino davanti a lei, «è che il festival è finito solo poco fa. Avevo messo il silenzioso al cellulare.»

«Lo so benissimo.» lo apostrofò lei con un sospiro che faceva trapelare la sua apprensione. «Sono stata alla scuola dopo che ho finito di lavorare. Volevo farti una sorpresa. Purtroppo non eri da nessuna parte e Sora ha dovuto farmi da cicerone in giro per gli stand al posto tuo.»

«Sei arrabbiata?» chiese, sentendosi un verme, senza trovare il coraggio di guardarla negli occhi.

«Solo perché non hai preso le medicine.»

Nishino si costrinse ad alzare lo sguardo, lentamente, e con sua sorpresa, a dispetto del tono duro con cui aveva pronunciato quelle parole, sua madre stava sorridendo. Si alzò e prese la bottiglietta dell'acqua dal frigo. Gliela porse, insieme al sacchetto, prima di tornare a sedersi a gambe incrociate davanti a lui.

«Allora,» domandò socchiudendo le palpebre e piegando la testa di lato. «eri col tuo ragazzo?»

Nishino aprì il sacchetto, s'infilò in bocca le pillole e le mandò giù con un sorso d'acqua prima di tornare a concentrarsi su di lei. Avrebbe voluto mentire, perché ripensando al bacio che si erano scambiati con Takano, si vergognava a condividere una cosa del genere con sua madre ma davanti al sorriso complice di Rosa non riuscì a evitare di sorridere a sua volta e anche se effettivamente aveva evitato di rispondere, lei lo aveva capito. Le chiese di parlargli dell'articolo che stava leggendo sulla rivista, per ritardare il momento in cui sarebbero andati a dormire. Sapeva che il pensiero di suo padre l'avrebbe tenuto sveglio e che si sarebbe domandato per la milionesima volta, tra i sensi di colpa che lo divoravano, se l'operazione era davvero la scelta giusta. Sapeva che in qualche modo doveva prepararsi al peggio, perché presto non ci sarebbe stato più tempo per farlo. Presto sarebbe stato troppo tardi.

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