Capitolo 19 · Kenji

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Camminando verso casa senza riuscire a smettere di sorridere, si chiedeva se a Tokyo ci fosse un posto dove poter gridare e sfogarsi senza che la gente lo prendesse per pazzo. Takano lo aveva accettato. Era il suo ragazzo. Se avesse potuto, si sarebbe messo a ululare per la gioia. Non aveva provato una botta di adrenalina del genere da un sacco di tempo. Di certo, almeno da quando gli era stata diagnosticata la bomba a orologeria che gli ticchettava nel cervello. Aveva continuato a vivere, a fare le solite cose. Aveva affrontato la separazione dei suoi genitori. Nonostante si sforzasse di stare allegro per non fare preoccupare Rosa, da allora non era più stato realmente felice. Aveva vissuto in una sorta di torpore da cui l'aveva risvegliato il bacio di Takano e gli pareva, forse a torto, di non essersi mai sentito tanto vivo. Salì le scale del palazzo fischiettando tra i denti un motivetto ma il suo sorriso si spense nel momento in cui entrando in casa incontrò lo sguardo severo di Rosa, seduta al tavolino con la tazza di tè tra le mani.

«Non glielo hai detto.» lo apostrofò appena varcò la soglia. «Non lo sa.»

«Sono stanco.»

Passandole davanti per andare a stendersi sul letto evitò di guardarla in faccia.

«Ha il diritto di sapere fin da subito in cosa si sta imbarcando. Non puoi tenerlo all'oscuro. Non è giusto nei suoi confronti.»

Sospirò forte, rigirandosi tra le coperte. Sua madre non voleva arrendersi.

«Lo farò prima o poi.» promise senza crederci davvero, prima di lasciarsi trascinare nel sonno.

***

Il giorno dopo, andando a scuola a piedi, aveva fatto una deviazione ed era passato davanti a casa di Takano. Indeciso se suonare il campanello o meno, lo aspettò per un po' e dato che non usciva gli scrisse un messaggio per chiedergli dove fosse. Era già a scuola. Possibile che fosse uscito tanto presto? La strada da casa sua alla scuola era breve. Nishino sorrise, pensando che fosse già là perché non vedeva l'ora di incontrarlo, ma la sua gioia si dissipò quando raggiunse il cortile della scuola che cominciava ad affollarsi con gli studenti che entravano sotto l'occhio vigile dell'insegnante responsabile della supervisione e lui non lo stava aspettando da nessuna parte. Si stava facendo tardi e non aveva tempo di andare a cercarlo, perciò, nonostante avesse voglia di vederlo subito, si propose di farlo durante l'intervallo.

Le prime due ore di lezione gli parvero interminabili. I professori si avvicendavano. Parlavano e lui fingeva di prendere appunti. Alla terza ora c'era la verifica di matematica e relegò il pensiero assillante di Takano in un angolino della sua mente per concentrarsi. Finalmente suonò la campanella dell'intervallo e consegnato il foglio al professore, prese subito il cellulare per scrivergli un messaggio.

Vieni nella mia classe. Ti aspetto.

Sora, il suo compagno di banco, nonché migliore amico, si sporse da dietro la sua spalla per sbirciare.

«A chi scrivi? Sei stato distratto tutta la mattina.»

«Scusami, ero sovrappensiero. Non è che mi faresti copiare i tuoi appunti, più tardi?»

«Non c'è problema.» Nishino notò il suo sguardo di sbieco e si sforzò di sorridere per rassicurarlo.

«Capitano,» Ohno e Honda, due compagni della squadra di basket del secondo anno intenti a chiacchierare con un gruppetto di ragazze avvicinarono le sedie ai loro banchi, mentre Sora si sedeva sul davanzale per lasciargli spazio. «Stavo dicendo a Honda che nominerai me nuovo capitano della squadra, quando ti ritirerai. È vero? Diglielo.»

Sora lo interruppe, stupito. «Hai intenzione di lasciare la squadra? Non me l'avevi detto.»

«Il dottore mi ha imposto di rallentare. L'atletica va bene ma fino al giorno dell'operazione devo evitare gli scossoni.»

Si alzò un coro di imprecazioni e commenti. Aveva raccontato ai ragazzi che avrebbe subito un'operazione al ginocchio, anche per giustificare le sue frequenti assenze da scuola dell'ultimo periodo. Rosa aveva raccontato la stessa storia ai professori. Avevano deciso di comune accordo che fosse meglio così.

Alzando la testa per rispondere a una battuta di Ohno, che insisteva per raccogliere la sua mai promessa eredità di capitano, vide Takano che indugiava in piedi sulla porta dell'aula e gli fece segno di avvicinarsi.

«Volevo dirvi anche un'altra cosa,» appena fu a portata di mano si spostò sulla sedia accanto e gli afferrò il polso, invitandolo a sedersi al banco al suo posto. «Io e Takano nei giorni successivi al festival ci siamo conosciuti meglio e siamo...»

Si bloccò, leggendogli in faccia la supplica silenziosa dei suoi occhi, che si spalancarono per la sorpresa e notando che scuoteva la testa quasi impercettibilmente, concluse: «diventati amici.» con una punta di delusione nella voce.

«Vi proibisco di dargli fastidio.»

Takano salutò timidamente il gruppo e si sedette accanto a lui ad ascoltare le battute e gli scherzi degli altri. Quando si accorse che la campanella stava per suonare l'inizio del resto delle lezioni si alzò, insieme a Ohno e Honda, che tornarono nella loro classe e Nishino lo accompagnò fuori dall'aula.

Il corridoio era pieno di studenti che si dirigevano in classe. Lo prese da parte in un angolino dietro una colonna, in fondo alle scale.

«Perché non hai detto niente? Gli altri non ti mangiano, se parli.»

«Scusa, non sono bravo a fare amicizia.»

«Esci con me dopo la scuola?»

Takano annuì e lui sorrise. «Ti mando un messaggio più tardi per decidere dove incontrarci.»

Lo guardò allontanarsi verso la sua aula. Gli era sembrato strano. Fin troppo remissivo. Non gli aveva intimato di non toccarlo in pubblico e la sua espressione era più tormentata del solito. Decise di non pensarci troppo. Stare in ansia non era da lui e di certo non gli faceva bene.

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