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"Park Jimin, alzati da quel dannato letto o ti butto giù tirandoti per i piedi" urlò la voce acuta della madre.

Il ragazzo buttò la testa sotto al cuscino, lamentandosi. "No!"

"Hai diciassette anni o dodici? Avanti, alzati dal letto ed assumiti le tue responsabilità" continuò la madre, scoprendo il suo corpo e togliendo con forza il cuscino dalla sua faccia.

"Non voglio andare in Corea, dio santo, perche dovete decidere voi per me?!" gli urlò a sua volta, alzandosi di scatto dal letto.

"La valigia è già pronta e abbiamo prenotato il volo, la famiglia ti aspetta, avanti, hanno un figlio poco più grande di te, di sicuro starai bene con loro!" fece esasperata lei.

"Cosa?! Hanno un figlio? E quando pensavate di dirmelo?!" esclamò Jimin guardandola ad occhi spalancati.

"Ce l'hanno detto tre giorni fa, e pensavo fosse carino farti una sorpresa" fece spallucce lei. "Jimin, santo cielo, sei sempre stato un ragazzo socievole ed ubbidiente, che ti prende?!"

"Mi prende che non sono mai voluto andare in Corea e ora scopro che quelli hanno un figlio! Oddio, già immagino quanto possa essere stressante, sarà un perfettino del cavolo" sospirò afferrando un paio di boxer puliti dal cassetto.

"Non avere così tanti pregiudizi Jimin" disse la madre severamente.

"Sì sì, ora devo andare a farmi la doccia però, sarò pronto in un quarto d'ora e andremo all'aeroporto così sarete contenti" disse Jimin alzando gli occhi al cielo.

La madre annuì ed uscì dalla stanza, così il ragazzo, sospirando pesantemente, si recò in bagno per fare la sua ultima doccia americana.

Mentre l'acqua calda gli bagnava il corpo continuò a pensare a quello che di lì a poco avrebbe dovuto sopportare.

I suoi genitori non lo avevano portato molte volte in Corea, forse tre, massimo quattro, da quello che ricordava, giusto per fare visita ai suoi nonni, ma ora loro non c'erano più da tempo, quindi sarebbe dovuto andare a vivere per un anno in casa di una famiglia sconosciuta, con chissà quali strane abitudini.

Non voleva partire non perché avrebbe avuto nostalgia di casa, ma perché non voleva affatto andare in Corea del Sud.

Sapeva già abbastanza bene il coreano quindi perché andare a studiarlo proprio nella sua terra?

Sospirò per l'ennesima volta e chiuse il getto dell'acqua, uscendo dalla doccia e legadosi un asciugamano alla vita mentre passava l'altro sui propri morbidi capelli castani.

Uscì dal bagno e si infilò boxer e un paio di jeans strappati con una maglietta blu scuro, per poi chiudere l'ultima valigia e tornare ad asciugare i suoi capelli con il phon.

Come aveva promesso, in un quarto d'ora fu pronto, salutò la sua camera per un'ultima volta e scese le scale per recarsi fuori casa, trascinandosi dietro la pesante valigia.

Vide i suoi già seduti in macchina, il bagagliaio aperto e contenente altre due valigie; vi mise l'ultima, lo chiuse e salì in auto, recandosi finalmente in aeroporto.


Nove lunghissime ore di volo, ore in cui Jimin aveva visto due film e finito un libro intero, dormendo di tanto in tanto.

Era finalmente atterrato a Seoul, e facendo il calcolo dell'ora in cui era partito e dell'ora attuale in America, lì in Corea dovevano essere circa le tre di pomeriggio.

Scese dall'aereo con poca voglia, e si recò nel grande spazio dove sarebbero arrivate le sue tre valigie, dopo essersi impossessato di un carrello così da portarle più comodamente.

Quando arrivarono non fu facile disporle in modo tale da non farle cadere, ma comunque ci riuscì e si recò all'uscita dell'aeroporto.

Grazie al cielo capiva il coreano, o si sarebbe perso, tanto era grande quella struttura.

Cercò con lo sguardo qualche tassista che tenesse in mano il foglio col suo nome e finalmente lo trovò, così si avvicinò e salutò gentilmente.

"Annyeonghaseyo" fece con un leggero inchino, sapendo che fosse educazione.

L'uomo lo salutò di rimando e lo aiutò a sistemare le valigie, per poi salire in macchina ed accendere il motore.

"Mi scusi...potrei sapere quanto dista l'indirizzo al quale mi sta portando dal centro di Seoul?" domandò spezzando il silenzio imbarazzante che si era creato in venti minuti.

"Circa uhm...circa trenta minuti" rispose l'uomo.

Jimin annuì. "Solo che...cioè, credo di avere una bicicletta a disposizione, immagino che ci metterò più tempo?" fece poi.

L'altro parve pensarci un po' prima di rispondere. "Beh, con la bici forse dieci minuti in più, ma se sei allenato e vai veloce, non essendoci molte salite e discese il tempo è quello, dato che eviti la maggior parte del traffico"

"Capito...grazie signore" affermò tornando a guardare fuori dal finestrino la città.

"Siamo arrivati ragazzo" disse l'autista risvegliandolo dai suoi pensieri.

Jimin scosse la testa ed annuì, scendendo dall'auto e facendosi aiutare per prendere le valigie.

"Grazie mille" disse sorridendo leggermente, per poi dargli i soldi della tratta appena fatta.

"Di nulla, buon divertimento e arrivederci" disse lui.

"Arrivederci" rispose vedendolo salire sul taxi e lasciandolo solo davanti ad una villetta di medie dimensioni.

Si avvicinò ad essa con fare impacciato, cercando di non cadere o non far cadere le valigie, quando una voce profonda parlò alle sue spalle, ridendo leggermente.

Jimin si girò, arrossendo in viso e trovandosi davanti un ragazzo dai capelli color menta e terribilmente bello davanti ai suoi occhi, che lo guardava con un ghigno divertito, la testa piegata leggermente di lato.

Perfetto, non sono neanche arrivato e già faccio figure di merda

"Serve una mano?"

εxcнαηgε [м.үg+ρ.נм]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora