Daisy

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La vicenda che voglio raccontare è la verità dietro una mia terribile esperienza, ed il solo riviverla per poterne qui parlare provoca in me un'angoscia opprimente. Invito dunque chi non volesse sperimentare il mio stesso orrore a non proseguire nella lettura.

La storia comincia con la morte di mia moglie, a seguito di una malattia degenerativa che l'aveva resa sterile, poco dopo il nostro matrimonio. Per assecondare il suo più grande desiderio, decisi di adottare un bambino, e così andai alla ricerca di un orfanotrofio.

Non ero molto pratico del luogo, poiché mi ci ero trasferito da poco per vivere con mia moglie, ma dopo molte accurate ricerche e insistenti domande alla popolazione locale, venni a sapere di una grande struttura non lontano dalla cittadina.

"Non lontano", si sa, per la gente del luogo può essere ad uno come a cento miglia, ed infatti impiegai circa 3 ore, girovagando nella campagna inglese, prima di trovare quello che a prima vista mi parve un rudere inquietante.

Avvicinatomi potei ammirare quella che sembrava una piccola chiesa in stile gotico. Di certo non un rudere, anzi in perfette condizioni, ma che comunque rimaneva, e rimane tuttora nella mia mente, molto inquietante.

L'aria che si respirava era molto strana, non saprei descrivere l'incredibile caos di sensazioni che scatenava in me, ma, sbirciando nel cortile interno, vidi molti bambini giocare allegri, di certo abituati a non farsi intimidire dall'inferriata che sembrava quasi incombere su di loro come una mano diabolica. Ebbi quasi la sensazione che il cancello si sarebbe ripiegato su di me una volta attraversato, ma mi feci coraggio ed entrai cautamente nel piazzale principale.

Solo ora che lo scrivo mi rendo in effetti conto di quanto fosse anomala quella situazione, soprattutto alla luce di quello che avvenne nella mezz'ora seguente. Mi guardai distrattamente intorno, cercando il responsabile o qualcuno che ne facesse le veci, quando una vocetta stridula e gracchiante come quella di un corvo mi fece sobbalzare. "Buonasera!"

Voltandomi, vidi un vecchio fissarmi dal vialetto da cui ero appena arrivato.

"Cerco il responsabile" dissi dopo un attimo di esitazione, speso nell'osservarlo. Molto difficile dire che età avesse, ma non dimostrava certo meno di un'ottantina d'anni, forse toccava i novanta. Era basso e gobbo, e si sfregava continuamente le mani, un gesto che non mancò di colpirmi. Più di ogni altra cosa, tuttavia, mi diedero una bruttissima sensazione i suoi piccoli occhi avidi che guizzavano da sotto le folte sopracciglia bianche e sembravano voler divorare con lo sguardo ogni parte di me.

"È un avvocato?" mi domandò serio. La domanda mi prese alla sprovvista.

"No... vorrei adottar..." non mi fece finire la frase e si gettò letteralmente su di me, afferrandomi il braccio con le sue manine rugose e trascinandomi dentro, eccitatissimo.

"Bene, bene. Benissimo! Mi segua!"

Mi fece accomodare ad una scrivania e mi spiegò che quello era un orfanotrofio diverso dagli altri: i bambini venivano trattati benissimo, erano educati al meglio e ben disciplinati, ma c'erano molte condizioni da rispettare e bisognava pagare una certa somma per un'adozione, così che il denaro guadagnato potesse servire per finanziare l'educazione degli altri bambini.

"I nostri clienti sono sempre soddisfatti, sa?" mi disse con un atteggiamento da piazzista "Capita anche che diamo dieci o venti bambini in una sola giornata, sa?"

"Però questo posto non è molto grande, e i bambini che ho visto arrivando mi sembrano il numero massimo che possiate averne" commentai.

"Come lo vuole il bambino?" domandò secco.

E a questa seguirono numerose altre domande molto strane. Mi chiese di tutto sul bambino che volevo, a partire dall'età e dal sesso.

Gli dissi che volevo una bambina sui dieci anni circa, e mi chiese dei capelli, degli occhi, del suo atteggiamento nei miei confronti, di particolari abilità musicali o artistiche, dell'alimentazione che le avrei fatto seguire, addirittura, e molte altre cose che mi diedero l'impressione di stare quasi costruendomi mia figlia con le mie stesse mani.

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