Capitolo 1.

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"Mi capita raramente di dirlo ad altre persone oltre a me,

però: ti devi dare una calmata!"

Il diavolo veste Prada.

Sono in ritardo. Il che è alquanto insolito per me, perché sono una che odia i ritardatari, quindi cerco sempre di essere in anticipo.

Ma oggi credo di poter perdonarmi, dal momento che ho affrontato un viaggio abbastanza travagliato di sette ore.

Sono partita ieri da Milano per arrivare al porto di Livorno e prendere il traghetto in occasione del matrimonio di mio fratello in Costa Smeralda e che, guardo l'orologio, dev'essere iniziato proprio ora.

E, per inciso, io sono ancora ad Olbia. A mezz'ora di distanza. La mia famiglia mi taglierà la gola.

Ho dovuto cambiarmi nel cesso della nave, un buco di stanzino in cui quando ti chini per fare pipì picchi la testa contro la porta.

Sono uscita da quel bagno sporco e puzzolente, come se fossi una Jennifer Lawrence mora, sopravvissuta agli Hunger Games e pronta a sfoggiare un abito lungo e rosa alla premiazione degli oscar.

Be', oltre a non essere bionda come lei, comunque, non sono nemmeno così figa.

In questi giorni non me ne va bene una.

Primo: mio fratello è incazzato con me perché avevo promesso di liberarmi dal lavoro per godermi i giorni prima del matrimonio nel mare della Sardegna con lui, la sposa, la mia famiglia e tutti gli altri invitati, cosa che non sono riuscita a mantenere; secondo: pochi giorni fa' ho litigato con un anzianotto nel parcheggio di una gelateria, perché, a parer mio, stava facendo patire di fame il suo cagnolino. Sarà stato un vegano, non so, intanto comunque gli ho rubato il cane, o meglio, la cagnolina, a cui ho dato anche un nome: Queen.

Ora che ci penso non è stata nemmeno una cosa così negativa, il problema è che sono partite denunce a raffica da lui e la moglie e ora sono su tutti i giornali. Di nuovo.

Non accadeva da quando ho mandato a fare in culo un giornalista per avermi chiesto a proposito della mia vita sentimentale, ovvero due settimane fa'.

Terzo: ho litigato con due uomini al porto per avermi detto di scaricare tutte le valigie e borse che avevo nell'auto e che dovevo importare.

Ci sono regole fondamentali nella vita e una di queste è non chiedere mai ad una donna di aprire una valigia prima della partenza, perché è risaputo che poi non si chiuderà più.

Infatti ho caricato di nuovo tutto in macchina, con vestiti spiegazzati che strabordavano fuori dai borsoni.

Il viaggio, comunque, è stata una vera agonia. Ho imparato che Queen vive di notte e dorme di giorno, quindi ho ricevuto lamentele un po' da tutti sul traghetto.

Stronzi senza un cuore.

Il mio cellulare squilla e il mio cuore salta inevitabilmente un battito, perché so chi è e faccio bene ad avere paura.

Il nome di mia madre lampeggia attraverso lo schermo.

Traggo un profondo respiro e mi dico che sono una persona coraggiosa e che devo sempre affrontare tutte le mie paure.

«Dove cazzo sei?», sussurra. Probabilmente perché è in chiesa e non può urlare.

«Mmh, quasi lì», mento.

«Qui hanno chiuso tutte le porte della chiesa, dovrai passare attraverso le cavità a lato», mi informa con un tono di rassegnazione che con me, ormai, la accompagna da una vita.

«Cavità a lato? Che razza di chiesa è?»

«È una chiesa aperta, quindi li vedi subito. Ah, e, Diletta, cerca di non dare troppo nell'occhio», mi rimprovera, anche se sa anche lei che è fantascienza.

«Sì, capo».

Sì, certo. Già rido.

Riesco ad arrivare alla chiesa piuttosto in fretta, metto il guinzaglio a Queen e ci dirigiamo verso i lati della chiesa in cui, da quanto detto da mia madre, dovrebbero esserci quei famosi buchi.

Appena li vedo, noto che sono abbastanza grandi per poter essere attraversati da uno scricciolo di quarantotto chili come me.

Prima di oltrepassarli, però, cerco di capire la situazione.

Dunque, mia madre è nei posti davanti con mio padre e l'altro mio fratello, ovviamente.

Dietro ci sono i miei zii, cugini e poi tutti gli altri invitati.

Dal momento che devo sedermi davanti, ma non devo dare nell'occhio, mi dirigo verso una cavità a metà fila, in cui faccio entrare prima Queen, trattenendo il guinzaglio e poi passo io.

La situazione, che un secondo prima sembrava filare liscissima, fin troppo, si stravolge completamente.

Queen mi scappa dalla presa e comincia a correre e ad abbaiare per tutta la chiesa, io, invece, rimango impigliata con il vestito dentro il maledetto buco.

No, neanche con il vestito, ma con le mutandine.

Ho tutti gli occhi puntati addosso e vorrei davvero sprofondare di vergogna in questo momento.

Mio fratello all'altare mi guarda come se volesse strozzarmi, mia madre ha assunto un'espressione disperata, gli altri invitati invece ridono di gusto e mi guardano con un certo interesse. Credo stiano cercando di capire se sono la sorella dello sposo o una rincoglionita di primo ordine.

Fatto sta che il mio intimo non vuole proprio liberarsi dai sassi che circondano la nicchia.

Ad un tratto, con la coda dell'occhio, vedo un ragazzo alto almeno un metro e ottantacinque, dirigersi verso di me con un'espressione palesemente divertita stampata sul volto.

Quando si piega su di me, non posso far altro che rimanere incantata dai suoi occhi blu zaffiro che si incatenano per un momento ai miei prima di volgere verso il basso.

«Che problemi ci sono qui?», sussurra.

Penso che il matrimonio stia andando avanti, dal momento che non sento più alcun rumore, se non la voce del parroco.

Il ragazzo alza lentamente il mio vestito, tossicchiando non appena vede quello nascondo sotto.

«Non hai mai visto un paio di mutandine nere di pizzo?», deglutisco, stupendomi del mio coraggio.

Solitamente non sono così diretta con le persone che non conosco, ma quando noto la luce di divertimento nel suo sguardo al suono delle mie parole, trattengo un sospiro di sollievo.

Quindi, col ragazzo ci si può scherzare, penso.

«Fin troppe, direi», si morde il labbro, mentre continua ad armeggiare per liberarmi.

«Mi piace di più strapparle che guardarle, però», e quando pronuncia queste parole, sento le mie mutandine scivolare via dal mio corpo.

«O mio Dio!», quasi urlo, tappandomi velocemente la bocca per aver pronunciato il nome di Dio invano, in chiesa.

Il ragazzo trattiene una risata, mentre nasconde il mio intimo in una parte nascosta nella cavità in cui sono ancora seduta.

A quel punto mi divincolo dal suo sguardo ipnotico e volo alla mia postazione, notando con piacere che l'altro mio fratello maggiore ha in braccio Queen ed è riuscito ad addormentarla.

«Quante boiate che combini!», sono le sue parole prima di abbandonarsi ad un sincero sorriso divertito.

Per il resto del tempo cerco di godermi il matrimonio e commuovermi, ma per la verità non faccio altro che pensa che non ho più le mutandine.

Carissime lettrici, ecco una nuova storia! Spero vi piaccia come le altre e se siete nuove, spero andiate a leggere anche le altre.
È un libro che ho scritto in pochissimo tempo, avevo un'ispirazione pazzesca, infatti non sto studiando assolutamente niente e devo perché sta per ricominciare l'università!
Cosa fate voi nella vita?
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Commentate e votate per farmi sapere cosa ne pensate:)
Buona lettura.

Giulia Paradiso.

Due cuori e un proseccoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora