CAPITOLO 11- Infezione

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 Ero ancora in stato di shock.
Dopo essere stato morsicato con violenza da Carter, il tempo per me aveva come accelerato, scorrendomi rapido attorno in una macchia incostante di colori.
Non ricordavo nemmeno come fossi riuscito a rientrare in città, nel mio appartamento.
Ero sconvolto, la mia mente non percepiva altro: l'unico pensiero che riuscivo a formulare era "sei spacciato", e i miei occhi non riuscivano a staccarsi dall'orribile visione del mio polso ferito, che si era gonfiato e mi doleva per l'infezione.
Ormai era troppo tardi, potevo vederlo: il liquido nerastro, la cancrena, stava già iniziando a risalire lungo il mio avambraccio, e presto avrebbe raggiunto il mio cervello, cancellando ogni connessione tra i miei neuroni e rendendomi schiavo del volere di Carter.
Con molta probabilità, avrei davvero fatto la fine che lui voleva: mi sarei gettato ai suoi piedi offrendogli a mani piene il mio stesso sangue, porgendoglielo come dono.
Non me lo ero assolutamente aspettato.
Sapevo quanto Carter fosse pericoloso, e mi ero preparato moralmente ad affrontarlo, eppure, nonostante tutto, lo avevo in un qualche modo sottovalutato, agendo come uno stupido, attaccandolo alle spalle, e ora ne pagavo duramente le conseguenze.
"Idiota! Ma perché mai l'ho fatto?" Mi ero ripetuto per la centesima volta quella notte.
Ero nei guai, guai enormi, e non solo per il morso del vampiro.
Adesso ero esposto, ero debole, senza contare che, entro pochi giorni, se ero fortunato al massimo due settimane, i miei sensi si sarebbero offuscati, lasciandomi in balia di un qualsiasi Nightcreeper, persino il meno minaccioso.
Chiunque avrebbe potuto venire ad uccidermi, e Carter certo non avrebbe perso tempo, rivelando a tutti la "lieta novella" e autocelebrandosi come eroe salvatore del popolo della Notte.
Maledetto.
Avevo sbuffato, sentendomi per la prima volta, in tutto quel tempo, davvero solo: erano passati quasi due giorni da quella fatidica notte, potevo sentire i primi effetti del morbo, ma non potevo parlarne con nessuno, chiedere aiuto. Non potevo nemmeno chiedere di essere ucciso nel momento in cui avrei perso il lume della ragione.
Ero fregato.
Era in quei momenti che sentivo la mancanza di Noel: io e lui parlavamo sempre di tutto. A pensarci adesso, i ricordi di quando ce ne stavamo chiusi in camera per ore, con la musica a tutto volume a parlare di giochi, sesso, esami e di casini mi sembravano lontanissimi, o mai esistiti.
Comunque, per ammazzare il tempo ed evitare di uscir di senno (almeno prima del dovuto), avevo preso un vecchio quaderno e deciso di utilizzarlo come diario, per riporvi annotazioni utili sui vampiri ed il mio stato.
Rileggendo gli appunti di ieri, si potevano già notare enormi differenze. Il decadimento del mio fisico era più che iniziato.
Tanto per cominciare, c'era il sonno: la luce del sole mi irritava, pur non impedendomi ancora di uscire, gli occhi mi si chiudevano in maniera quasi istintiva all'arrivo dell'alba, pur contando il fatto che ero abituato a ribaltare le ore di sonno con quelle di veglia.
Inoltre, c'era il CIBO.
Non ero per nulla a uno stadio avanzato, ma, conoscendo gente come Raglan, sapevo che prima o poi ci sarei arrivato. Per il momento, riuscivo ancora a mangiare di tutto, ma molto presto il sangue sarebbe diventato l'elemento dominante della mia dieta.
Una volta raggiunto quel punto, solo il sangue di un vampiro avrebbe potuto continuare a tenermi in "vita".
Quello, o la completa trasformazione in uno di loro.
Sospirando, mi ero andato a coricare sull'enorme letto che occupava la maggior parte del monolocale. Non dovevo comportarmi in quel modo, lo sapevo, l'isolamento non era la soluzione, e avrei dovuto combattere finché ne avessi avuto la forza... tuttavia, non potevo rischiare di peggiorare la situazione. Se uno solo di loro si fosse accorto che ero ferito, sarebbero venuti a frotte a cercarmi.
Mi ero massaggiato pigramente le palpebre, lanciando uno sguardo vago alla finestra: fuori era ancora piuttosto buio, ma, a giudicare dal torpore, entro al massimo due ore sarebbe sopraggiunta l'aurora.
Senza poterlo evitare, gli occhi mi erano caduti di nuovo ai due fori sul polso, e allora la mia mente aveva tornato a focalizzarsi sul secondo chiodo fisso che la tormentava: ricordavo perfettamente l'espressione di Carter quando mi aveva lasciato andare, di improvviso spavento, come se non fosse stata sua intenzione mordermi... era durata meno di un quarto di secondo, ma era rimasta stampata nella mia memoria, quel terrore inconsapevole...
Difficile dire cosa stessa pensando: Carter era quasi impossibile da capire, aveva un umore troppo volubile.
Eppure, c'era qualcosa che mi logorava, che non riuscivo a comprendere.
Quel vampiro era una contraddizione ambulante, e quel suo strano silenzio... il cimitero di montagna, la pila di libri consunti e i suoi sguardi muti... mi inquietavano.
C'era un non so che di Carter che mi turbava, che andava al di là dell'odio profondo che avevo nei suoi confronti.
"Sindrome di Stoccolma!" Era giunto un risolino alle mie orecchie, facendomi sussultare di colpo.
Mi ero sollevato a sedere di scatto, guardandomi attorno: nulla.
Santo cielo, possibile che soffrissi già di allucinazioni?
"Più in alto..." la voce fantasma aveva parlato di nuovo.
Sudando freddo, avevo sollevato le pupille, restando di sasso nel notare una silhouette adagiata sul baldacchino!
"Non è vero..." avevo negato, senza sapere se scoppiare a ridere o urlare per la tensione.
La figura era scomparsa per pochi istanti, per poi ricomparire subito sul materasso ai miei piedi con un sorrisetto compiaciuto.
Era Carter, ed aveva appena attraversato la tenda a coronamento del mio letto!
"O mio Dio..." avevo mormorato, sbiancando in volto, ma cercando di non darlo troppo a vedere.
"Oh, perdonami" aveva sorriso il vampiro, divertito. "Non è carino spiare le persone nella loro camera da letto." Era scomparso ancora per una frazione di secondo, atterrando direttamente a sedere sulle mie gambe, paralizzandomi dov'ero.
"Fottiti, stronzo!" Lo avevo insultato, avvampando per la strana posizione.
"Oh, ti piacerebbe, non è vero?" Aveva ghignato il non-morto di rimando, facendomi arrossire ulteriormente.
Ed ecco di nuovo quello strano, orribile sguardo: indecifrabile, che non ti faceva capire fino a che punto stesse scherzando o fosse serio.
"Piantala!" Mi ero scosso, facendolo atterrare dall'altro lato e spostandomi a una certa distanza di sicurezza, sulla sponda.
"Oh, ma che cattivo, Reiko! E io che mi preoccupavo per te." Aveva ridacchiato il Nightcreeper, sedendosi accanto a me a gambe incrociate.
"Si, beh, forse avresti dovuto pensarci prima di mordermi!" Lo avevo incenerito con lo sguardo, assottigliando i miei occhi, generalmente grandi.
Carter aveva riso di nuovo, scrollando la massa di capelli neri che aveva in testa: non erano certamente naturali, visto che doveva essere morto quando li aveva ancora tinti di quel vomitevole color lattina, tuttavia il suo colore non doveva poi essere molto distante dal corvino, considerando lo scintillio cupo dei suoi occhi.
A quel mio pensiero, Carter aveva alzato un sopracciglio, senza rispondere.
"Lascia perdere" avevo mosso le spalle, alzandomi per andare allo specchio: mi sentivo distrutto.
"Non hai un bell'aspetto..." aveva commentato in sottofondo il non-morto, squadrandomi. "Come ti senti?"
Mi ero voltato, incredulo. Nelle sue pupille era tornata una vaga espressione preoccupata.
"Secondo te?! Uno schifo." Avevo bofonchiato, dandomi un'occhiata e prendendomi un colpo: sembravo più morto io di lui.
"Senti, Reiko." Aveva argomentato il vampiro, alzandosi anche lui e venendomi vicino. "Questa cosa ci ha preso entrambi alla sprovvista. Non avevo davvero l'intenzione di..."
"Cosa? Di mordermi? Ti prego, risparmiamelo! Stai sbavando pure adesso!" Lo avevo guardato storto, non credendo alle mie orecchie.
"Reiko, non c'è molto da scherzare su questo... lo sai cosa ti succederà, e...."
"SI', LO SO! Grazie per avermelo ricordato." Gli avevo gridato contro, lasciandolo di stucco, ma non troppo.
Avevo sospirato, prendendomi la faccia tra le mani: quanto lo odiavo, prima Noel, e ora questo... diventare lo schiavo dell'assassino di mio fratello. Dio!
WReiko, io... ero venuto qui per parlarti. Fra qualche giorno, fra non molto, non sarai più in grado di ragionare. Per questo voglio che tu mi ascolti con attenzione adesso."
Aveva piantato i suoi pozzi neri nei miei, serio come non lo avevo mai visto prima. Mi faceva paura.
"Io ti ho morso. Questo ci lega, che lo vogliamo o no: ti accorgerai presto di cosa intendo; sentirai e vedrai cose che non vorresti sentire... perderai il controllo... potrai avvertire la mia presenza, il tuo sangue risponderà quando io ti sarò vicino." Si era fermato un secondo, con un lampo rosso scuro nelle iridi buie.
Stava già pregustando, suo malgrado, il momento. La sua natura animale prevaleva senza sforzo, e io intanto mi domandavo quanta fatica gli costasse anche il solo starmi vicino senza saltarmi alla gola.
"Non è semplice. E non sono affatto certo che riuscirò a controllarmi, quando arriverà il momento." Aveva detto sinceramente, giocherellando col piercing sul labbro inferiore. "Per questo ti chiedo una cosa, ora che sei in grado di rispondermi lucidamente: vuoi che ti uccida?"
Quella domanda, così dura e diretta, mi aveva sconvolto l'anima.
"Io...-" avevo balbettato, incerto.
Di una cosa ero sicuro: non sarei mai diventato uno schiavo. Ma morire? Ero pronto? Avevo solo ventitré anni...
"C'è anche un'altra possibilità, lo sai..." mi aveva ricordato Carter, mettendosi a braccia conserte.
C'era.
Potevo diventare un vampiro.
Avevo fatto un sorriso amaro, sapendo già ,dentro di me, che in realtà non avevo scampo. Dovevo morire.
Il mio pensiero si era trasmesso silenzioso a Carter, che improvvisamente si era come sentito sulle spine.
Gli avevo riso in faccia, con crudeltà.
"Ma che cosa credevi?" Lo avevo schernito, sentendomi comunque male a tal punto da volerlo strangolare dov'era. "Che sarei andato contro i miei ideali e avrei preso il sangue dall'assassino di mio fratello? Così avremmo vissuto tutti nella non-vita felici e contenti e avremmo messo una bella lapide ( la mia ) su tutta la storia?! Io non so davvero cosa ti passi per la testa, Carter, non ho il tuo potere ma nemmeno mi interessa di averlo! E' finita, sono spacciato, avrei potuto farti fuori e raggiungere il mio obiettivo, ma purtroppo ho commesso un errore, e ci ho rimesso la pelle. Era un rischio, sapevo che sarebbe potuto succedere, anche se non pensavo certo saresti stato proprio tu... che ironia, eh?!"
Stavo crollando, riuscivo a sentirlo,ma non volevo che mi vedesse in quello stato. Lo odiavo.
"Reiko, sei sconvolto. Capisco che odi la nostra razza, ma cerca di ragionare! E' un grandissimo potere, e tu potresti averlo! Potresti rinascere..."
"No, Carter, non posso. Sono già morto. Sono morto quando mi hai morso. Quindi, quando sarà il momento, torna e finisci quello che hai iniziato." Avevo tirato su con il naso, dandogli rapidamente le spalle, evitando di guardarlo.
La verità era che detestavo anche me stesso: Carter era un vampiro, non guardava in faccia a nessuno, era facile scaricargli tutta la colpa, ma anche io avevo di che biasimarmi. Non sarei morto con dignità; morire con dignità avrebbe voluto dire avere il coraggio di togliersi la vita, non gettare il dovere sopra qualcun altro, essere responsabile delle proprie azioni... eppure, io non lo ero. Ero un vigliacco, non avevo il coraggio di farlo.
"E' davvero quello che vuoi?"avevo sentito la sua voce giungermi fredda come il ghiaccio dacdietro, completamente senza emozione.
"Sì. Voglio che tu mi uccida. " Avevo annuito, tornando a girarmi verso di lui, fissando il pavimento.
"E il tuo corpo?"
"Non lo so... abbiamo un lotto al cimitero ma..."
"Sì, so dov'è, ci sono stato un paio di volte." Mi aveva zittito, prendendo una strana aria remota.
"Oh." avevo esalato, stordito, rinunciando comunque a capire la sua personalità assurda. Ormai non aveva più molta importanza.
"Bene. Vuoi che sparisca, non è così?" Mi aveva chiesto, pur conoscendo benissimo la risposta.
"Sì. Voglio che tu te ne vada." Gli avevo rivolto uno sguardo carico d'astio.
"D'accordo." Aveva fatto un vago cenno con la testa, dirigendosi alla finestra. "Verrò quando mi chiamerai." Aveva detto a mo' di saluto, scomparendo in un turbinio svolazzante di pipistrelli nella notte, lasciandomi di nuovo solo con i miei pensieri.  




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