CAPITOLO 2- Noel e Carter

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 Non potevo credere di aver sognato tutto.
Era stato così reale, i particolari così ben delineati e vividi, ancora mi sentivo la morsa gelida del terrore nelle ossa.
Avevo aperto la porta finestra, uscendo sul balcone di pietra, guardando la città sotto di me che si muoveva quieta e silenziosa nell'oscurità della notte.
Le persone camminavano proiettando la loro ombra sull'asfalto, ignare di ciò che le circondava, di quello che accadeva poco lontano, nei vicoli, di come un passante che casualmente li urtava potesse essere in realtà qualcosa di diverso, qualcosa di assai più pericoloso e infido, mentre proseguivano inconsapevoli del fatto che l'uomo con il cane all'angolo non fosse per nulla un uomo. Io lo intuivo dall'incedere languido e felino tipico dei suoi movimenti, intuivo come fosse bensì un mostro, un mostro orribile che avrebbe scelto forse uno fra di loro, a caso, per poi ucciderlo.
Proprio come era successo a mio fratello Noel.
Ma così era la loro razza, così erano i Nightcreepers, incuranti dell'uomo e del mondo che li circondavano, capaci solo di pensare al sangue e alla soddisfazione animale della loro fame.
Che cosa effettivamente FOSSE un Nightcreeper, era davvero difficile definirlo.
Io stesso, pur combattendoli, ne sapevo assai poco: che erano un'evoluzione del vampiro comune, potevano tramutarsi in animali, come per esempio lupi neri o anche pantere, alcuni potevano scindersi in centinaia di ratti o migliaia di pipistrelli, librandosi leggeri nell'aria della sera.
Con la loro forma umana, per quanto sovrannaturali, non erano in grado di volare, tuttavia potevano compiere balzi di un'altezza spaventosamente enorme e, caratteristica peculiare della loro specie da cui prendevano anche il nome, potevano strisciare lungo i muri, muovendosi più silenziosi della morte alle spalle di chiunque, per assalirlo.
Quando erano affamati sentivano il bisogno di nutrirsi come una forza incontrollabile dentro di loro e si lanciavano nei corridoi bui della città in caccia di sangue fresco, i loro occhi risplendenti di un rosso bagliore tetro, segno indicativo della loro potenziale pericolosità.
Questo era ciò che avevo imparato su di loro, riassunto in breve.
Questi strani figuri, così simili a noi umani nella struttura fisica, erano però in tutto e per tutto delle bestie, anche nel loro stesso modo di vivere.
La violenza e il caos erano all'ordine della loro razza, in quanto privi di un capo, di qualcuno più forte che fosse in grado di dominarli. Non avevano specifiche regole o leggi, tranne forse quella unica e primordiale di non invadere il territorio di caccia di un altro e di non toccarne il CIBO (perché in fondo, non eravamo altro per loro).
Una preda designata, sebbene scelta casualmente, non veniva attaccata in maniera sbrigativa, anzi, assai spesso veniva seguita e non abbandonata fino all'ultimo, in quanto sapevano essere pazienti, ma anche molto decisi e testardi; a volte un Nightcreeper poteva impiegare anche mesi a tessere la propria tela, seguendo per intere notti la sua vittima prescelta e spiandola, guardandola compiere i suoi atti quotidiani finché non decideva di ucciderla.
Il tempo variava da vampiro a vampiro, e da sete a sete.
Nel caso di mio fratello, la morte era stata molto rapida.
Non avrei mai potuto scordare quella notte: era un'opaca sera d'estate, con il cielo grigio e cupo e la luna che splendeva luminosa e tondeggiante fra le nubi gonfie, di tanto in tanto.
Noel era uscito con i suoi amici, per andare in qualche pub a divertirsi... ma non era mai tornato.
Solitamente ero sempre stato io il ritardatario, ma quella volta Noel alle due ancora non si era fatto vivo: la preoccupazione aveva invaso tutti in casa, sapendo quanto fosse puntuale e come non avrebbe mai messo in ansia nessuno di proposito. C'era qualcosa in mio fratello che toccava chiunque, una specie di bontà innata che si irradiava da lui, come un fascio di luce nello spazio circostante, ed era stato per questo che ero uscito a cercarlo, oltre al naturale affetto che ci legava.
Al pub avevo incrociato un suo compagno, che mi aveva riferito di come se ne fosse andato un paio d'ore prima per rincasare a piedi, visto che quella sera, nonostante il pessimo tempo, non aveva preso la macchina.
Sentivo ancora il senso di terrore che mi aveva pervaso allora: una specie di angoscia dentro il petto che mi diceva che non avrei mai ritrovato Noel vivo, che ormai era troppo tardi, come un sesto senso che mi avvertiva che ormai non c'era più nulla da fare.
E aveva avuto ragione.
Avevo fatto la strada a ritroso, cercando in ogni vicolo, sperando con tutto il cuore di non trovarlo,di arrivare a casa e vederlo con un sorriso imbarazzato sul viso mentre cercava di spiegare il motivo del suo ritardo, speravo di non trovare il suo corpo straziato da un qualche feroce assassino, ma quando alla fine avevo svoltato nella via dietro casa, non avrei mai potuto immaginare una scena del genere.
Noel era quasi riuscito a raggiungere la sua salvezza e, come avrei scoperto dopo, aveva anche cercato di fuggire dal vampiro che lo aveva poi preso e ucciso, giocando con lui come il gatto col topo, illudendolo su una qualche possibilità di scampo, mentre in realtà era già morto fin da quando il mostro aveva posato su di lui il suo sguardo. Aveva perduto a pochi metri dalla porta sul retro, dove qualcosa, calandosi dal muro, gli era balzata sopra e gli aveva prosciugato ogni goccia di sangue che aveva in corpo, oltre a tranciargli quasi di netto la testa dal collo.
Al mio arrivo la cosa era ancora lì che terminava il suo scempio, protesa sul corpo riverso di mio fratello, morto: al sentirmi sopraggiungere aveva alzato in penombra il cranio (non saprei in che altro modo definirlo) verso la fonte del suono, mostrandomi una faccia bianca distorta nascosta dietro due buchi rossi incandescenti al posto degli occhi e un colore di capelli che mai e poi mai avrei dimenticato, un urtante grigio lattina che può e poteva essere solo di Carter.
Avevo urlato.
La belva allora mi aveva fissato, come se avesse capito, compreso chi ero, poi aveva sogghignato malvagio e, con un'occhiata fulminea alle sue spalle, si era lanciato come un ragno sul muro, superandolo sotto il mio sguardo atterrito.
Non potevo credere di averlo visto: nessuno poteva arrampicarsi così rapidamente su una parete!
Quando i miei genitori erano usciti, la tragedia era già terminata, tutto quel che ne restava eravamo io e il cadavere di Noel, abbandonato a se stesso fra i sacchi neri della spazzatura.
Tutto questo era accaduto sei mesi fa: da allora la mia vita non era stata più la stessa.
Pensavo continuamente a Carter, e lo temevo, temevo di poter fare la stessa fine di Noel, di ritrovarmelo un giorno alle spalle senza averlo minimamente sentito, e di venire finito così, senza dignità, in mezzo ad una strada.
Noel non si meritava una fine del genere, nessun essere umano, per quanto immondo e crudele, l'avrebbe mai meritata, ma il pensiero che fosse toccata proprio a lui mi distruggeva in senso letterale.
E quella smorfia, quel ghigno stampato sul viso ferino di Carter, quei suoi lineamenti duri e affilati, quel naso leggermente aquilino a triangolo e quelle labbra sottili tirate in un'espressione di scherno, quei capelli! Un segno di riconoscimento, un colore così disturbante, inimitabile... gridavano vendetta, da ogni cellula del mio corpo.
Con questi cupi pensieri, avevo abbandonato il balcone, rientrando irato e turbato nella mia stanza da letto, ignorando assolutamente la presenza dai capelli metallici che mi aveva spiato fino a quel momento dal tetto sopra di essa.  

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