"Vuoi scherzare!" Avevo ripetuto, voltandomi a guardare Carter in tralice.
Per tutta risposta, il moro mi aveva completamente ignorato, ridacchiando fra sé, dirigendosi a passo deciso verso i due buttafuori, che bloccavano l'ingresso con la loro enorme stazza.
"CARTER! Ho detto che non intendo affatto..." la voce mi era fallita a metà frase, uscendo come un gracidio debolissimo.
Dannazione alla mia stupida gola! Dovevo ricordarmi di non gridare.
Non vi ero mai entrato, tuttavia non ne avevo alcun bisogno: la mia empatia era più che sufficiente per avvertire le sensazioni perverse e sbagliate che emanavano da quel luogo, tra le più abiette di questo mondo, e sapevo che il potere mentale di Carter poteva fornirgli particolari ben più interessanti, che non ero comunque desideroso di conoscere.
Con un sorrisetto da sberle rivolto nella mia direzione, il mio compagno aveva intessuto una fitta conversazione con uno dei due paletti, cercando di convincerlo a lasciarci entrare.
Senza il minimo successo.
Incredulo e malignamente divertito, avevo osservato Carter tentare il suo numero di ipnotismo, un numero che riusciva alla perfezione tutte le volte, eppure, con quell'uomo altissimo, sembrava non avere l'effetto richiesto.
"Nein." Aveva scosso negativamente la testa più volte, spingendolo di malagrazia all'indietro sul marciapiede, per far passare due ragazze piuttosto nude all'interno del locale.
Furente, il vampiro era tornato da me, più cereo del solito.
"Razza di idiota." Aveva digrignato i denti, facendo scricchiolare in modo agghiacciante i canini. "Maledizione"
"Non mi dire!" Avevo gongolato, pur sapendo di rischiare molto, con quel comportamento "Il nostro amico gorilla non ti trova tanto affascinante?"
"Attento" mi aveva avvertito Carter, stringendo i grandi laghi neri in due fessure malevole, abbrancandomi per il polso e trascinandomi nella sua scia, di nuovo verso il King Kong sulla porta.
"Vedrai che con una doppia razione di convincimento ci aprirà la porta srotolandoci il tappeto rosso!" Aveva soffiato, iroso.
"Sì, come no." Avevo rollato gli occhi alla sua vanagloriosa arroganza, sperando comunque, nel fondo del mio cuore, che l'armadio fosse più resistente di quanto credesse il mio compagno.
Qualsiasi cosa pur di non mettere piede lì dentro.
Avevo sbuffato, guardando da tutt'altra parte, mentre Carter ritentava la sua tecnica con l'omone, sicuro che entro quattro secondi si sarebbe preso un enorme pugno, quando un improvviso silenzio mi aveva fatto riportare l'attenzione al loro scambio, allarmato.
'Che cosa c'è?' Avevo chiesto, vedendo che entrambi mi fissavano, o meglio, il gorilla mi occhieggiava con fare sospetto, mentre Carter passava alternativamente lo sguardo da me a lui, come se stesse seguendo un match di tennis.
Alla fine si era bloccato sull'armadio, sogghignando leggermente.
'Sorridi' mi era giunto nella mente di colpo, un'eco improvvisa comparsa dal più tetro nulla.
'Cosa?' Avevo risposto al moro, esterrefatto, senza capire a che diavolo servisse ghignare in quel momento (se non a guadagnarsi più facilmente una sonora battuta).
'Sorridi, idiota, e vedi di farlo pure bene!' Mi aveva trucidato Carter di rimando, spaccandomi quasi di netto il polso.
Con le lacrime agli occhi per il dolore violento al braccio, avevo stirato gli angoli della bocca in un sorrisetto sbilenco e tremulo, guardando il palo di sottecchi, pronto a schivare qualsiasi suo improvviso attacco.
Incredibilmente, non era mai arrivato: l'omone si era invece spostato di lato, permettendoci il passaggio, richiudendo quindi immediatamente il varco alle nostre spalle, seguendoci con i suoi occhi bovini fino alla porta principale.
"Ma che diavolo?" Avevo domandato, sbalordito "Sono stato IO?"
"Sì!" Aveva annuito tranquillamente Carter "Ma non con le tue facoltà soprannaturali." Aveva aggiunto, sornione.
Indignato, mi ero bloccato al centro del corridoio buio che stavamo percorrendo, facendo per insultarlo, quando un'emozione chiara e netta mi aveva colpito: lussuria.
E veniva da oltre la porta.
"Oh mio Dio..." avevo mormorato, improvvisamente nauseato e conscio di quanto era appena successo.
"Eh, già" mi aveva 'consolato' il vampiro, dandomi una leggera pacca sulla spalla e guidandomi verso la sala centrale.Il Kummer: un piccolo, claustrofobico, oscuro luogo di perdizione.
Le persone al centro della pista da ballo (se così si poteva definire quella sottospecie di spazio sudicio) erano accalcate le une sulle altre, i corpi schiacciati in una simil-danza orgiastica, le mani infilate sotto i vestiti o tra i capelli di chi avevano dietro o di fronte, la pelle resa luccicante dalla sudorazione data dall'affollamento eccessivo e dall'eccitazione.
Un odore potente aleggiava nell'aria: muschiato, amaro, salato, come il sangue che scorreva nelle loro vene.
"Bene." Aveva mormorato soddisfatto Carter, uno scintillio selvaggio e predatore nei suoi occhi.
Lo avevo già visto affamato, quando erano parecchi giorni che non si nutriva, quindi sapevo bene come poteva diventare feroce e aggressivo, tuttavia, quella notte, sembrava particolarmente irrequieto, come un adolescente in piena crisi ormonale.
"Fantastico" avevo commentato a mia volta, senza l'ombra del minimo entusiasmo nella voce.
Non riuscivo a capire come un posto del genere potesse piacere al mio compagno, visto quanto pareva essere contrastante con la sua personalità, generalmente scontrosa e burbera, ma forse c'erano lati di lui che non conoscevo affatto, ben più pericolosi, che si agitavano sotto la fredda superficie.
"Vieni!" Mi aveva gridato, sovrastando il frastuono della musica techno tedesca, che rimbombava a tutto volume nella stanza, dirigendosi verso il bancone fradicio e lurido del bar.
"Due birre! Rosse!" Aveva ordinato al barman, un tipo alquanto equivoco, con degli espansori tribali ad entrambi i lobi, i capelli ossigenati e degli occhialini da talpa su un naso arcuato.
"Cosa? Ma noi non..." avevo iniziato, scioccato, senza distogliere lo sguardo dal barista, mentre prendeva due bicchieri già usati e li riempiva con le nostre ordinazioni.
"Copertura, scemo." Mi aveva zittito il vampiro, guardandomi torvo.
Perfetto, la serata si annunciava impagabile.
"Ecco" aveva quindi detto secco, schiaffandomi il mio calice traboccante di birra in mano e lanciando una manciata di monete sul bancone. "Aspetta... qua."
Si era inciso una mano, facendo cadere qualche goccia del suo sangue nel mio drink, che era subito diventato di un rosso più cupo.
"Non berne troppa comunque." Aveva raccomandato, ripetendo il gesto con il suo e bevendone un'attenta sorsata. "Ma così dovrebbe infastidirci meno."
"Ah." Avevo annuito, guardando il liquido carminio con sospetto.
Lo avevo annusato con circospezione, mandandone giù il minimo possibile, trovandolo fortunatamente più che passabile.
"Allora possiamo anche mangiare?" Avevo domandato interdetto a Carter, che si era sistemato in un angolo al lato della pista, osservando il viavai delle persone.
"No." Aveva negato, voltandosi vagamente nella mia direzione. "Assolutamente! Possiamo limitarci a bere ogni tanto, ma solo in dosi minime. Credimi, non sarebbe piacevole farsi una bella abbuffata." Aveva sorriso, con l'aria di chi parlava per esperienza diretta.
"Hmm" avevo ridacchiato, nascondendo la mia faccia nel bicchiere, per evitare che la vedesse.
Questo era decisamente tipico del suo carattere, fare immense cavolate anche quando la ragione ti diceva di fare esattamente l'opposto.
Dopodiché, l'attenzione del moro nei miei confronti si era del tutto dissipata, mentre scrutava famelico i corpi che gli si paravano di fronte.
I suoi occhi, potevo vederli bene dalla mia posizione, rilucevano come due fiamme, pur non essendo ancora manifestamente scarlatti.
Era assorbito dalla caccia, concentrato probabilmente nel leggere le menti altrui alla ricerca della sua preda, e niente lo avrebbe distolto dal suo obiettivo.
Scrollando le spalle, avevo iniziato ad analizzare la sala, focalizzandomi su una persona alla volta, cercando di distinguere le sue emozioni da quelle degli altri, che riverberavano in un unico ritmo per tutto il club.
Stavo quasi aprendo bocca per attirare l'attenzione di Carter su una coppia piuttosto ambigua che si contorceva sotto il riflettore verde accanto alla console del dj, quando una visione improvvisa, un vivido bagliore viola, mi aveva fatto voltare dalla parte opposta.
L'avevo guardata, ed ero rimasto di sasso.
La brezza viola che mi aveva appena sfiorato era la ragazza più bella su cui avessi mai posato gli occhi: alta, tonica, gambe lunghe fino al soffitto, sedere sodo e rotondo e due seni enormi stretti in uno striminzito corpetto scuro, coi lacci.
I capelli, lisci e scalati, le ricadevano in un'onda purpurea sulle spalle, ribelli, e gli occhi erano di un blu profondissimo, con del verde nel centro.
Aveva sorriso al barista, salutandolo, sporgendosi in bilico sul bancone per dirgli qualcosa in un orecchio, mostrando a metà del locale la sua fantastica parte inferiore, chiusa in un paio di aderentissimi jeans neri.
Qualcosa di animalesco era montato in me all'improvviso: sapevo perfettamente che cosa dovevo fare, non avevo il minimo dubbio.
Sentivo il rombo del sangue risuonarmi nelle orecchie, chiudendo fuori qualsiasi altro rumore. Carter, al mio fianco, aveva detto qualcosa, ma io non lo avevo degnato nemmeno del minimo gesto, limitandomi a posare il bicchiere di birra da qualche parte, alle mie spalle, senza distogliere lo sguardo da quella magica visione.
Oh, sì, sapevo eccome quello che volevo: adesso mi sarei mosso, l'avrei raggiunta silenzioso alle spalle, le avrei chiuso le braccia attorno a quei solidi, piccoli fianchi, l'avrei voltata contro il mio duro, durissimo corpo e l'avrei guardata dritta in quegli incredibili occhi, prima di strapparle aperto quel piccolo top inutile e stringermi quei morbidi, gonfi seni addosso. Poi l'avrei sdraiata sul banco, all'indietro, le avrei abbassato i pantaloni sulle cosce sode, gliele avrei aperte e l'avrei impalata con tutto il mio... ma l'onda perversa e carnale dei miei pensieri era stata schiantata di colpo dall'orrenda realtà, quando l'orrido barman l'aveva presa tra le braccia e dato un bacio da capogiro sotto gli occhi di tutti gli avventori che aspettavano di ricevere le loro ordinazioni.
Non poteva essere vero.
Lei era MIA, non poteva stare veramente con quel... tizio!
'Aspetta! Ma che diavolo stai dicendo?' Era risuonata di colpo la voce della coscienza nella mia mente.
Così, come risalendo da una fitta cortina fumogena, la carica erotica si era affievolita, facendo distendere il mio corpo, che si era, nel frattempo, e solo ora me ne rendevo conto, teso come una corda di violino, pronto per un qualcosa che non sapevo nemmeno di essere, in questa forma, in grado di compiere.
Certo, a giudicare dall'entusiastica reazione di ogni mia singola cellula, l'opzione sembrava più che attuabile, senza contare quello che una volta mi aveva detto Carter...
Carter!
Con la domanda sulla punta della lingua, mi ero girato di scatto verso di lui, solo per rendermi conto, come uno stupido, che non mi era più accanto.
'Merda! Ma dove diavolo... oh, no.'
Doveva avermi mormorato qualcosa prima, quando ero stato distratto dalla vista di quella conturbante sirena, che ora stava graziosamente appoggiata al bancone, guardando dritto nella mia direzione. Di nuovo, la frenesia era montata come un treno a pieni giri nel mio corpo, facendolo irrigidire come una statua di pietra.
"Vieni qui" avevo sussurrato, ancora prima di rendermene conto, senza staccarle gli occhi di dosso.
Non mi importava un dannato accidente che fosse fidanzata e se fosse stata l'unica innocente in questo covo maligno, sapevo solo che la volevo e che l'avrei avuta, subito.
Ero così accecato dalla lussuria, che quando lei, effettivamente, mi aveva raggiunto, non ero riuscito a nascondere la mia sorpresa.
"Ciao." Mi aveva sorriso radiosa, buttando all'indietro quelle ciocche morbidissime.
Aveva un profumo provocante, di fiori e mare... la sua pelle, ambrata, risaltava come un dipinto sotto ai riflettori.
"Ciao." Le avevo risposto, annegando nella screziatura verde dei suoi occhi, e rendendomi conto, sbigottito, di poter parlare perfettamente il tedesco.
Per un attimo, li avevo visti come vacui, persi nel vuoto, poi le sue pupille si erano velocemente dilatate, coprendo di nero il blu delle iridi.
Mi aveva stretto le braccia al collo, accostandosi al mio corpo, ridendo vagamente quando la mia potente erezione le aveva premuto contro l'interno della coscia.
Inconsciamente, avevo lanciato un'occhiata in tralice al barista, che era distratto dal numero sempre maggiore di clienti, e non aveva minimamente notato l'accaduto.
Quando avevo riportato i miei occhi su di lei, mi aveva baciato, aprendo le labbra, lasciandosi dominare senza la minima protesta.
"Vieni con me" le avevo mormorato, senza riflettere, seguendo unicamente il mio istinto.
L'avevo presa per mano e condotta verso i bagni, sul lato opposto del locale rispetto al bar, forzando la porta di quello del personale, chiuso a chiave, e tirandola dentro, schiacciandola contro l'uscio non appena si era richiuso.
"Ma come hai fatto?" Mi aveva chiesto, riferendosi alla serratura, con voce vagamente sognante.
"Magia." Avevo scherzato, baciandola sul collo. "Ti va di scopare?" Le avevo respirato in un orecchio, infilandole una mano dentro il corsetto, incontrando un capezzolo turgido come un bocciolo di rosa.
"Sì." Aveva ansimato lei in risposta, guardandomi con quegli strani occhi cupi. "Sì, certo."
Sogghignando di trionfo, avevo sciolto lentamente i nastri stretti che le racchiudevano i seni, accarezzandola, baciandola con la lingua, dimenticandomi completamente di respirare e rendendomi effettivamente conto di non averne alcun bisogno.
Lei aveva cercato di sbottonarmi la camicia scura con dita tremanti di voglia, ma io gliele avevo prese e spostate direttamente sulla cintura dei miei pantaloni, sorprendendo, remotamente, persino me stesso.
Ad ogni modo non importava, non volevo i preliminari, volevo solo scoparla e farlo al più presto.
Quando mi aveva abbassato la cerniera, avevo fatto lo stesso con i suoi jeans, facendoglieli scivolare a fatica lungo le anche, insieme al tanga purpureo intonato al colore dei suoi capelli.
L'avevo toccata tra le gambe, facendola gemere e contorcere; era pronta, più che pronta, così l'avevo sollevata, senza il minimo sforzo, di qualche centimetro, facendola scivolare lentamente su di me, finchè non ero entrato completamente in lei.
"Ah, sei freddo..." aveva sorriso, toccandomi i capelli.
Era vero. Erano giorni che non mi cibavo.
L'avevo scopata, forte, senza la minima gentilezza, ma a lei non era dispiaciuto affatto, aveva gridato e mi aveva affondato le unghie nelle spalle, muovendosi con me, ricevendo le mie spinte e restituendomele con vigore.
Mentre schiaffavamo i nostri fianchi gli uni contro gli altri, sbattendo ripetutamente contro gli stipiti e la porta, avevo aperto un occhio e colto in pieno la vista della giugulare, che pulsava, frenetica, sulla sua tenera gola.
I miei canini erano spuntati alla velocità della luce, facendomi chinare come un lupo affamato su di lei, mentre il sangue le affluiva al volto seguendo il suo orgasmo.
Si era chiusa su di me, urlando cose incoerenti, ma io non avevo ancora finito, non avrei finito finchè... finché non l'avessi MORSA.
Quella cruda, orrenda parola mi aveva centrato con la potenza di una secchiata di ghiaccio.
"No... non posso, non posso." Avevo scosso la testa, scrutando per la prima volta veramente dentro di lei, e rendendomi conto di quel che avevo appena fatto.
Era davvero un'innocente, una ragazza qualunque, e io che cazzo stavo facendo?
"Non preoccuparti, non mi stai facendo male." Aveva riso lei, guardandomi con quelle pupille anomale, e solo allora mi ero reso conto di cosa significassero.
L'avevo sedotta, ma non con il mio corpo.
"No, io..."
L'avevo lasciata andare, mettendo più distanza possibile tra di noi, cercando di ricompormi e di nascondere il bagliore innaturale delle mie iridi, ma sentendo una nausea violenta nascermi nel fondo della bocca.
Stavo per ucciderla, o, peggio ancora, contagiarla, senza contare che l'avevo appena scopata contro la sua volontà, per quanto ancora non se ne rendesse conto.
Facevo schifo! Ero un fottutissimo MOSTRO!
"Merda!" Avevo inveito, tirando un pugno a un ripiano di detersivi accanto alla sua testa. "Mi dispiace, io... " avevo continuato a sistemarmi, sotto il suo sguardo confuso e attonito, ma sempre fuori fuoco, come se mi stesse osservando da un posto remoto.
"Perdonami!" L'avevo supplicata, baciandole i bei capelli e uscendo di volata dalla porta, avvertendo sempre di più il bisogno di rimettere.
'Merda, dove sarà Carter? Devo parlargli... voglio andarmene.'
Ero tornato correndo al bancone, scrutandomi rapido attorno: doveva essere lì, da qualche parte!
Oppure no? Forse aveva avuto la mia stessa idea, e si era infilato in un anfratto buio, con qualcuno da...
"Va bene. Calma." Mi ero comandato, inspirando senza un vero motivo, se non quello di riportare la mia mente folle sui binari.
Carter era per forza ancora nel locale. Dovevo solo riuscire a capire dove si nascondeva.
Avevo chiuso gli occhi, usando l'empatia, ma il caos emotivo che veleggiava in quel posto mi confondeva. Non lo avrei mai trovato in quel modo. A meno che... alzando vagamente un sopracciglio, avevo provato a invertire il senso delle mie sensazioni: non stavo più cercando i pensieri di Carter, ma semplicemente la sua PRESENZA.
Era un vampiro, come me, dovevamo essere gli unici due, là dentro, quindi...mi ero mosso, lentamente, sondando l'aria con tutta l'attenzione rivolta alla bocca dello stomaco, ed eccolo, improvviso e inevitabile, il senso di minaccia, di angoscia, pur se non fastidioso come era capitato le altre volte, essendo il Carter il mio creatore.
Doveva essere vicino, dovevo avere invaso il suo territorio.
'Dove sei?' Mi ero chiesto, strisciando lungo uno dei muri portanti del club, quando la mia mano sinistra aveva incontrato la maniglia di una porta, arrugginita, nascosta nell'ombra.
Socchiusa.
Bingo.
Scuotendo la testa a tanta disattenzione da parte sua (possibile che si stesse nutrendo dietro a una porta aperta, con il rischio che lo vedesse chiunque?) o forse a tanta arroganza (sì, era nettamente probabile, se non ovvio), avevo oltrepassato la soglia, trovandomi in un corridoio scuro e polveroso.
Accostando silenziosamente l'uscio alle mie spalle, mi ero spostato lungo l'androne, con le orecchie ben aperte, quando due figure, che venivano dalla parte opposta, mi avevano urtato, ridendo.
Erano due ragazzi, lui alto e biondissimo, lei bassa, carina e filiforme.
"Belle lenti!" Avevano esclamato, passandomi accanto, prendendosi per mano, lasciandomi vagamente perplesso.
Mi ero specchiato, automaticamente, sul vetro sporco della porta di uno sgabuzzino: i miei occhi brillavano come due tizzoni incandescenti, in contrasto con il buio del passaggio.
Sorridendo vagamente alla loro ingenuità, avevo proseguito, captando distrattamente un suono indistinto, poco lontano da me.
'Carter...?' Avevo pensato, avvertendo le mie budella contorcersi in una risposta affermativa: lo avevo trovato.
Avevo scosso la testa, muovendomi con maggiore decisione, deciso a prenderlo per un braccio e trascinarlo via da quel postaccio, qualunque cosa stesse facendo.
Il mio proposito era però crollato come un castello di carte, quando avevo svoltato una piccola curva e mi ero ritrovato in uno stanzino, o meglio, uno spazio nero e umido, dove diverse coppie si strusciavano le une sulle altre in sfrenate danze erotiche.
Due metallari erano avvinghiati nell'angolo subito alla mia destra, facendo tintinnare insieme i diversi piercing che avevano su viso e torace, mentre due ragazze (e questo aveva risvegliato la mia attenzione come un tuono) si leccavano come gattine, al lato opposto della camera.
Con lo sguardo incollato sulle due fanciulle, ero avanzato, muto, in quel luogo di perdizione, lasciando che l'intensa lascivia che traspirava persino dalle pareti, simile a sudore, mi penetrasse fin nelle ossa. Era una sensazione incredibile, potentissima, e io non ero più me stesso, ero come diventato qualcun altro, totalmente estraniato dal mio corpo.
E là, in mezzo a tanta carnalità, stava, come un re sul suo trono, Carter.
Era contro il muro di fronte al corridoio, in penombra, con una bionda incredibile sollevata tra le braccia.
Non era particolarmente formosa né alta, tuttavia, tra le braccia del non-morto, così diafano e trasparente, pareva emanare un'aura calda e accogliente. Aveva la testa reclinata su una spalla, e gemeva, gemeva fortissimo, con il viso di Carter sprofondato nel suo collo e le mani del vampiro strette attorno alle sue cosce mentre lei gli si reggeva, aggrappata quasi con disperazione cieca, alle ampie spalle.
Li avevo osservati, sapendo che era sbagliato, sentendo l'imbarazzo e il rigetto montarmi dentro, ma non avevo potuto ignorare quella visione, la visione della testa nera di Carter, che si risollevava dalla sua gola, la bocca perfettamente pulita, i denti immacolati, la pelle di lei intatta, e solo allora mi ero reso conto della realtà.
Scopavano, e scopavano duro, forse come prima avevamo fatto io e la ragazza dai capelli viola, anche se la reazione di Carter non somigliava neppure lontanamente alla mia: aveva il capo gettato all'indietro, gli occhi normalmente nerissimi offuscati dal piacere, vermigli, socchiusi, mentre ansimava, come un animale, dentro di lei.
Ancora prima di rendermene conto, avevo superato il confine, facendo la cosa più sbagliata di tutte: la mia empatia aveva sfondato la mente di Carter, distratta e incapace di escludermi in quel particolare momento, e aveva letto ogni sua minima emozione, ogni singola goccia del suo feroce godimento.
La bionda aveva contratto improvvisamente le ginocchia, gridando, e io avevo visto il sangue pulsarle al contrario fino al viso, dove aveva danzato conturbante sotto le mie pupille scarlatte per qualche istante, prima che l'orgasmo di Carter mi invadesse brutalmente il cervello.
Aveva mormorato qualcosa, sospirando, ma non avevo avuto alcun bisogno di udirlo: avevo sentito ogni suo pensiero, anche il più sporco, senza il minimo bisogno delle parole.
Quando avevano finito, ansanti, lo avevo guardato rimetterla piano a terra, voltandosi lentamente a fissarmi dritto negli occhi.
"Merda!" Avevo imprecato, trattenendo il respiro, sentendo lo stomaco crollarmi in un baratro fino ai tacchi delle scarpe.
Lo sapeva! Mi aveva naturalmente sentito!
"Cazzo" avevo fatto dietro-front, avvampando di vergogna per quello che avevo appena combinato, uscendo diretto sull'androne oscuro e tornando a gran velocità verso il locale.
Che diavolo! Una serata stupenda! Mi ero approfittato di una ragazza e dato al voyeurismo spinto con il vampiro che avevo prima detestato e poi da cui avevo accettato il sangue!
Pessimo.
Avevo allungato la mano sulla maniglia della porta per rientrare nella sala, quando qualcuno mi aveva afferrato, facendomi andare a sbattere con la schiena contro l'uscio.
"Che dia... oh, perfetto!" Ero sbottato, trovandomi i laghi purpurei di Carter davanti. "Senti, io..." avevo balbettato, cercando una possibile spiegazione al mio morboso comportamento. "Io non..."
Ma Carter mi aveva zittito, premendomi una mano sulla bocca.
"Zitto, piccolo pervertito." Aveva sorriso in una maniera che non si poteva che definire viziosa. Mi aveva scrutato in silenzio per un attimo, senza togliere le dita dalle mie labbra, rendendomi ancora più nervoso. Forse mi avrebbe ucciso di botte, ma, per una qualche strana ragione, sapevo perfettamente dentro di me che non sarebbe affatto successo.
"Mordimi." Mi aveva sussurrato, dopo qualche attimo, liberandomi dalla sua presa e porgendomi non il polso, come normalmente faceva, ma il collo.
Lo avevo guardato sorpreso per un istante, ignorando però immediatamente l'assurdità di quell'intera situazione, percependo chiaramente quanto fosse caldo e invitante: doveva essersi appena nutrito.
Le mie labbra si erano incurvate in un ghigno strano, che non mi apparteneva, mentre mi ero chinato con foga su di lui, affondandogli i denti con violenza nella carne.
Carter aveva mandato un forte lamento, un mugolio che era stato musica per le mie orecchie, tra l'addolorato e l'estatico, poi mi si era abbandonato contro, delirando, intanto che strappavo il sangue a forza da lui.
Era meraviglioso, e dalla carotide era davvero migliore: eravamo in sintonia perfetta, splendidamente collegati, i nostri cuori battevano all'unisono, veloci, palpitanti.
Lo avevo lasciato andare per un secondo, mordendolo ancora, e ancora, in punti diversi, facendolo contorcere e rabbrividire sotto di me, beandomi di quella sensazione, di averlo, per una volta, alla mia mercè, sottomesso, sotto il mio completo dominio.
"Sì..." lo avevo sentito respirare, quasi come a conferma della mia considerazione "...SI!" Aveva ripetuto, in un ruggito, mentre lo morsicavo fortissimo nella dolorosa zona giusto sotto l'orecchio.
Era di nuovo duro, come la pietra, e lo ero anche io, come prima, se non ancora di più, dritto come il ramo di un albero.
Non conoscevo quel suo lato remissivo, ma mi piaceva, mi conturbava.
Carter aveva mandato un vago mormorio, simile al miagolio di un gattino, quindi aveva infilato le sue lunghe dita bianche tra i miei capelli, strattonandomi via dalla sua gola, guardandomi dritto in faccia, eccitato. Contro ogni mia aspettativa, si era chinato in avanti, baciandomi fragorosamente, spingendomi tutta la lingua in bocca, i suoi fianchi rigidi contro ai miei.
Si era strusciato quasi con disperazione contro la mia anca, sempre continuando a risucchiarmi le labbra, graffiandomi il mento con il suo piercing nella foga.
Divertito da quell'assurda inversione di atteggiamento, gli avevo afferrato le natiche magre con prepotenza, bucandogli i jeans con le mie unghie affilate, sollevandolo appena dal suolo e, scambiandoci di posizione, appoggiandolo alla porta, sfregando con forza il mio affare contro il suo.
Carter aveva aperto le ginocchia, continuando a spingere contro il mio pene con vigore da un'angolazione assurda per qualsiasi contorsionista, chiudendo le palpebre e gemendo come una volgarissima puttana, facendomi impazzire.
"Vieni" gli avevo sussurrato nell'orecchio, seguendo le ondulazioni dei suoi fianchi "Voglio guardarti mentre vieni. Vieni per me."
Gli aveva sfiorato appena i capezzoli, sentendolo immobilizzarsi istantaneamente sotto di me, urlando così forte da far tremare i muri, spaccandomi quasi le scapole nel suo feroce (secondo) orgasmo
Quando, alla fine, mi aveva lasciato andare, lo avevo fissato con un sopracciglio sollevato, inquisitorio, al che il vampiro aveva riso, passandosi distrattamente una mano sulle ferite già semicicatrizzate sul collo, prendendomi con l'altra mano per il mento.
"Mi PIACE essere guardato." Aveva mormorato lugubre, mentre lo appoggiavo a terra, nonostante fossi ancora ben eretto.
"Sì, ho notato." Avevo riso mio malgrado, osservandolo mentre si guardava il retro dei pantaloni distrutti.
Aveva accarezzato piano i grossi fori che li laceravano, alzando languidamente due pupille nere come la notte sulle mie.
"Lascia che ti aiuti" mi aveva sibilato, protendendosi verso la cintura dei miei pantaloni.
"N...No." Avevo ridacchiato, avendo l'improvvisa sensazione che qualcosa stesse andando terribilmente storto, facendo un paio di passi indietro, ma il vampiro aveva continuato imperterrito nel suo cammino. "Carter, NO." Lo avevo placcato, spostandomi di lato per sfuggire alla sua presa.
Non avevo ben chiaro in mente quello che stavo facendo, vista l'adrenalina (sempre ammesso che il mio corpo fosse in grado di produrla) ancora in circolo, tuttavia l'idea di essermi appena strofinato addosso a lui, mi faceva sentire strano in un modo per nulla piacevole.
"Reiko, è la nostra natura, la TUA natura. Smettila di pensare e lascia solo..." mi aveva spiegato con impazienza, cercando di nuovo di toccarmi.
"NO! Carter!" Lo avevo spinto da parte, spaventato davvero a quel punto, spalancando l'uscio e rientrando nel locale, guardandomi nervosamente attorno, in cerca dell'uscita.
Non mi piaceva. Forse quella era davvero la mia attuale natura, ma non mi piaceva affatto!
Ero giusto arrivato a un immenso arco con i panneggi piantonato da due buttafuori, sopra cui sovrastava la scritta 'ausgang', quando Carter mi si era parato davanti.
"Si può sapere che cazzo ti prende?" Mi aveva ringhiato, lampeggiando fuoco e fiamme.
"Mi prende che non tutti andiamo a letto con dieci persone diverse in una sera e ci divertiamo a fare gli spot ambulanti del Viagra!" Gli avevo sparato indietro, fulminandolo dov'era.
"Non mi pareva che ti dispiacesse tanto prima, vero?" Aveva ruggito il non-morto, dandomi uno spintone.
"Oh, ti prego! Vattene al diavolo!" Lo avevo mandato a quel paese, voltandomi e schiantandomi dritto su una ragazza che stava cercando di guadagnare l'uscita proprio in quello stesso istante.
"Scus..." Oh, merda! Era la ragazza dai capelli viola. In lacrime.
"Ehi, ma non è..." aveva iniziato Carter, con il suo solito tempismo.
"TACI, Carter!" Gli avevo intimato, stringendo gli occhi per la fitta inevitabile alla gola, trattenendomi a stento dal colpirlo.
La ragazza mi aveva fissato confusa, come se gli ricordassi vagamente qualcuno, ma non ne fosse del tutto sicura.
Avevo quasi fatto per porgerle un fazzoletto, quando il suo orrido fidanzato era sbucato dal nulla, furente.
"Anna! Dove stai andando? Non ho ancora finito con te, brutta troia!" Era entrato in scena, facendo sollevare un sopracciglio persino al mio compagno.
"Ralf, io..." aveva singhiozzato lei, sempre più disorientata "Io non... non capisco cosa... come sia successo, mi dispiace! Te l'ho detto!"
"Non dire stronzate! Te lo sei fatto, e nel nostro bagno! Non potevi tenere chiuse le gambe nemmeno fino a un motel, vero? Perché non te lo sei scopato sul bancone sotto il mio naso già che c'eri?"
"Ralf!"
"Gli hai chiesto almeno come si chiamava o ti sei limitata a guardargli nei pantaloni? DIMMELO!"
Anna aveva scosso la testa, una maschera di lacrime che cadevano a terra.
"Io... non..."
"Non lo sai! Ti sei fatta scopare in piedi in un bagno e NON LO SAI!" Aveva urlato Ralf, ormai fuori controllo.
"Patetico." Era arrivato il commento di Carter dal fondo, che li aveva scavalcati, strattonandomi con lui fuori da quel manicomio.
"Carter!" Gli avevo gridato, in un'imitazione piuttosto buona di Ralf, (e che la mia trachea se ne andasse pure a quel paese!) "Ma che cazzo, non possiamo lasciarla lì in balia di... di quel..."
"Di chi, del suo ragazzo?" Si era fermato il moro di botto, scrutandomi. "Reiko, tu l'hai ipnotizzata! L'hai resa schiava della tua volontà, e adesso ne paga le conseguenze."
"Cosa?! Adesso sarebbe colpa MIA? Ma se... io non sapevo nemmeno di essere in grado di farlo! Non pensavo nemmeno di poter... Cristo santo."
"Ti ho detto che possiamo fare sesso, tutto quello che dovevi fare era rimorchiarla come un essere umano qualunque e fottertela sul retro!"
"Oh ,certo e se l'avessi contagiata? Se l'avessi MORSA?"
"Non dobbiamo mordere nessuno per fare sesso! E comunque non si trasmette certo scopando, senza contare che, se proprio ti senti nervoso, esistono sempre i preservativi." Aveva alzato gli occhi esasperato al cielo.
"Avresti potuto anche dirmelo! Ti rendi conto di cosa credevo di averle quasi fatto? Senza contare quello che le ho fatto veramente." Lo avevo aggredito, sentendo l'ira montarmi nelle vene.
"Stai cercando di scaricarmi la colpa? Non sei un bambino, Reiko, sai che cosa siamo in grado di fare, e sei TU il responsabile delle tue azioni! Non ti era sembrato un po' strano che ti avesse seguito senza il minimo dubbio? Non aveva niente di particolare?" Mi aveva trapassato con lo sguardo. "O eri troppo impegnato a sbattertela?"
"Smettila!"
"Già, allora fingi pure e fai il verginello visto che ti riesce tanto bene! Ma quello che hai fatto stanotte, è quello che sei veramente, Reiko. Puoi nasconderlo quanto vuoi, ma non puoi negarlo. Lo so cosa c'è nella tua mente, ho letto a lungo i tuoi pensieri, molto prima che ci conoscessimo." Mi aveva deriso, un lampo di malvagia malizia nelle iridi scure.
"Bugiardo!" Lo avevo afferrato per il bavero della camicia e sbattuto contro il muro sudicio alla nostra sinistra. "Sei un fottuto bugiardo! Se tu mi avessi detto quello che ero in grado di fare, se tu non mi avessi mentito, questo non sarebbe mai successo!"
"Come vuoi, se questo ti aiuterà a prendere sonno." Aveva alzato con noncuranza le spalle, evitando la mia espressione rabbiosa.
"Dico sul serio, Carter! Non ci siamo solo noi due di mezzo. Prima mi hai nascosto la verità su Noel, adesso fai il reticente sui nostri poteri..."
"Non è affatto vero."
"SI', INVECE! Ahi" avevo inveito, portandomi le dita innervosito al collo. Avevo le tonsille in fiamme e la cartilagine probabilmente di nuovo in pezzi, ma non mi importava minimamente. "A che gioco stai giocando? E NON RIDERE!" Lo avevo scrollato, facendogli finalmente apparire quella che sembrava una scintilla di preoccupazione nel fondo dell'anima. Era piccola, minuscola, ma c'era, era lì, che ardeva e brillava come una fiammella di fronte alla mia empatia.
"Ci sono i nostri colli in gioco, Carter, quindi se non vuoi che prenda la porta, farai meglio a sputare l'osso!"
Il vampiro mi aveva osservato indecifrabile, ma le emozioni dentro di lui si erano fatte piuttosto chiare e nette.
"Va bene." Aveva annuito "Sarò più onesto."
"Carter, dico sul serio, se mi menti un'altra volta, non importa che tipo di legame c'è fra di noi, perché me ne andrò così lontano che nemmeno tu potrai trovarmi."
"Ho capito. Non sono uno stupido, Reiko."
Avevo mantenuto i miei occhi nei suoi ancora per qualche minuto, per accertarmi che mi prendesse sul serio.
"Bene." Avevo confermato, lasciandolo andare.
"Ottimo. Possiamo andare adesso?" Mi aveva chiesto, le braccia piantate sui fianchi in un gesto impaziente. "Tra non molto sarà l'alba, e dobbiamo arrivare alla nostra nuova casa."
Oddio. La nuova casa. L'avevo completamente dimenticato.
"Dov'è?" Avevo domandato, con un certo terrore.
"Beh, potrei dirtelo, ma questo rovinerebbe la sorpresa, no?" Aveva ridacchiato il Nightcreeper, dandomi le spalle.
"Carter!" Avevo ruggito, non credendo alle mie orecchie, non aveva ascoltato un accidente di quello che gli avevo detto?!
"Reiko, stai tranquillo, non ti porterò in un covo di perdizione, e tra poco lo vedrai con i tuoi occhi. Ti piacerà, fidati." Si era difeso quello, incrociando le braccia sul petto.
Fidarmi. Dovevo FIDARMI di lui.
"Lo sai che se mi porti in un altro posto come quello di stanotte puoi anche dirmi addio?" Avevo sussurrato minaccioso.
"Sì, ma non succederà." Aveva ribattuto criptico, sorridendomi e prendendomi per mano, trascinandomi con lui per le vie buie, portandosi dietro anche la mia gola distrutta e la mia mente carica di sensi di colpa e di oscuri pensieri.
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NIGHTCREEPERS-i camminatori del buio
KorkuReiko è un ragazzo come tanti, fino alla notte in cui un mostro gli porta via la cosa più preziosa della sua vita: il fratello. Inizierà una caccia sanguinosa alla ricerca dell'assassino, ma non tutto è come sembra, e presto se ne renderà conto, pag...