Al mio primo assaggio del sangue, si erano susseguite rapide e innumerevoli le notti, in un turbine indistinto e caotico, e alla stessa maniera erano venute le uccisioni, cruente e impietose, una dopo l'altra, impossibili da fermare o evitare.
Lo scenario mutava ogni volta, e ogni sera Carter mi insegnava qualcosa di nuovo, costringendomi senza mezzi termini a imparare la lezione, rendendomi in breve tempo totalmente indipendente per quanto riguardava la questione nutrimento.
Per quanto mi sforzassi ancora non riuscivo a definire gli umani del semplice cibo, né ero ancora riuscito ad accettare l'idea di non far più parte della loro razza, tuttavia mi ero sottomesso agli ordini del mio 'maestro', ascoltando, comprendendo e affinando la mia empatia, sfruttandola per la caccia.
Questo fino a quando, una notte, mi ero ritrovato in un vicolo buio, con il cranio fracassato di una donna tra le mani.
Una sgualdrina insignificante e indegna del benché minimo respiro, lo sapevo bene, glielo avevo letto nelle emozioni e nel corpo, ciò nonostante l'atto e quell' orribile, raccapricciante rumore di ossa rotte si erano ripercossi a lungo nella mia mente e nelle mie orecchie, finché non avevo dovuto farlo di nuovo.
Il suo sguardo, la sua miserevole vita che mi scivolava via tra le dita... mi avevano centrato dritti nello stomaco, feroci come il morso di un lupo, dilaniandomi nel profondo.
Avevo pianto, con un abbandono e un orrore, una disperazione, che non avevo mai lontanamente immaginato, sentendo le braccia e i polsi tremarmi, la terra mancarmi da sotto i piedi, come se non fosse esistito un domani.
Ero rimasto fuori, lontano da Carter, fino all' alba, seduto sulla spiaggia dove io stesso ero morto settimane prima, a fissare vacuamente il mare, gonfio e gelido per i forti venti invernali.
Che cosa ero diventato?
Perché lo avevo fatto?
Davvero trasformarmi in un simile mostro, poteva condurmi all 'assassino di Noel? Era giusto quello che stavo facendo, o forse era tutto una follia, un sudicio atto di egoismo, che non poteva che portare un male maggiore nel mondo?
Non lo sapevo, e quella volta il mare non mi aveva risposto.
Quando ero tornato, fuggendo di corsa i primi deboli raggi mattutini, Carter mi aveva squadrato con attenzione, senza dirmi comunque una parola, notando i miei occhi e le righe di sangue che mi attraversavano le guance, limitandosi a darmi una leggera pacca sulla spalla e a infilarsi con la grazia di un gatto nella sua bara.
Ero un assassino. Ero come tutti gli altri.
Come loro.Passato, per modo di dire, il primo sgomento, Carter mi aveva portato a cacciare le notti successive, facendomi scegliere con attenzione la vittima, e lasciandomi, usando le sue parole, "il piacere di concludere", una volta che ci eravamo entrambi sfamati.
Era un qualcosa di orribile e demenziale : ognuno di loro moriva in modo differente, emettendo urla, grida, pianti, suppliche, ogni gamma possibile e immaginabile di suoni, sfracellandomi il cuore nel petto, e ogni singola volta una parte della mia sanità mentale moriva con loro, finché, per necessità e autodifesa, non avevo compreso come estraniarmi dalla situazione e dal momento stesso, guardando da un angolo della mia ragione le mie mani che si chiudevano assassine sulle loro membra.
Così, per quanto fosse atroce ammetterlo, avevo veramente fatto l'abitudine a quell' atto repellente e, nel tempo, le mie orecchie si erano chiuse ai loro canti di morte.
Presto avevo smesso di uscire con Carter, preferendo vagare solo con l'oscurità dei miei pensieri, passando di vicolo in vicolo scrutando e percependo le emozioni degli sventurati che incrociavano il mio cammino, scegliendoli con cura, uccidendoli meccanicamente con il languore di un sonnambulo.
Con il trascorrere delle notti, anche i miei poteri di vampiro, in seguito all' alimentazione, si erano amplificati, rendendomi capace di strisciare come una serpe lungo i muri, anche se non di smaterializzarmi o trasformarmi in un qualche tipo di animale.
A dire il vero, non ero nemmeno sicuro che sarei mai stato in grado di farlo: come aveva detto Carter, i poteri di ogni vampiro erano distinti e differenti, inoltre raramente i Nightcreepers presentavano poteri eccezionali, come quelli del mio compagno, o anche semplicemente la mia empatia, dunque potevo già ritenermi "fortunato" di quello che avevo, anche se il fatto di essere stato fatto proprio da Carter poteva essere significativo.
"Niente affatto." Mi aveva smentito una sera il moro, con il naso aquilino infilato tra le pagine incartapecorite di un racconto di Lovecraft.
Vivere con lui mi aveva permesso di scoprire alcuni lati nascosti del suo carattere: per esempio, leggeva molto, una cosa su cui non avrei mai puntato un singolo penny, prima.
"Ah, no?" Avevo ribattuto distrattamente, mentre scarabocchiavo un ritratto di donna su un foglio con una matita. Mi mancava dipingere. Forse avrei potuto convincere Carter a trasportare nel tumulo un cavalletto e qualche pennello. In fondo, la maggior parte degli oggetti che si trovavano lì erano suoi, e quella era pur sempre anche 'casa' mia, adesso.
"No." Aveva concluso lapidario, senza aggiungere altro.
Lo avevo osservato di sottecchi per qualche momento, decidendo infine di ignorarlo, continuando a ripassare le linee sul mio pezzo di carta.
"Non ti sopporto." Avevo mormorato senza volerlo alla fine, stringendo con rabbia il lapis nel pugno, facendolo scricchiolare pericolosamente sotto le mie robuste dita.
Carter aveva alzato un sopracciglio tra lo sorpreso e il divertito nella mia direzione, continuando comunque a voltare le pagine del suo libro.
"Devi sempre fare il misterioso. Perché? Cosa c'è da nascondere, vuoi dirmelo? Mi fai impazzire, vuoi sapere sempre tutto e non racconti mai niente!" Ero sbottato, lanciando la matita in terra e uscendo infuriato dalla cripta.
Avevo compiuto qualche passo rapido, fermandomi di fronte a una lapide con l'effige di un angelo dai capelli lunghi e ondulati in posizione remissiva di penitenza.
Era un disastro.
Andava tutto per il verso sbagliato. Ero morto. I miei genitori avevano perso entrambi i figli nel giro dello stesso anno. Non li avevo più visti dalla morte di mio fratello, e neppure dopo la mia ero tornato a cercarli, sapendo per certo che il solo rivederli mi avrebbe scaricato una fucilata nel petto.
Io stesso, pur essendo sospeso in una specie di universo tra la vita e la non-vita, mi ero trasformato in un mostro assassino della peggior specie, e andavo avanti senza un vero scopo.
Dovevo restare nascosto, non potevo cercare il killer di Noel.
Tutto ciò che mi era permesso era di continuare a fingere, notte dopo notte, di avere ancora una qualche parvenza di esistenza, dormendo, mangiando, vagando in silenzio per un mondo che non mi apparteneva più, senza che nessuno fosse lì ad aiutarmi, a spiegarmi, ad ascoltarmi.
Non ero più niente.
"Sei davvero melodrammatico a volte." Mi aveva colto Carter alla sprovvista. Doveva avermi seguito fuori dal sepolcro.
"Lasciami in pace!" Avevo ringhiato, facendo per andarmene, ma lui mi aveva trattenuto per un braccio.
"Reiko" mi aveva chiamato. "Lo so che è difficile, ma questa è la situazione attuale." Aveva cercato di spiegarmi, riuscendo solo a farmi irritare ulteriormente.
"Tante grazie!" Avevo ironizzato, strappandomi a forza dalla sua stretta, allontanandomi di qualche passo.
"Io... mi dispiace!" Aveva detto a voce più alta, facendomi bloccare a metà di un passo.
Mi ero voltato verso di lui incredulo, non credendo a quello che sentivo: non era nella personalità di Carter venire a chiedere perdono.
"So di non essere stato sincero, con te, di averti nascosto il mio passato, ma... non è facile. Non ne ho mai parlato con nessuno, e anche adesso..." aveva lasciato la frase in sospeso, senza completarla, abbassando i suoi occhi profondissimi al terreno ricoperto dal ghiaccio e dalla neve.
"Carter, così non va bene. Lo sai, questo?" Gli avevo fatto notare, avvertendo tuttavia la sua confusione, tornando ad avvicinarmi a lui.
"Sì... sì, lo so." Aveva annuito, corrugando combattuto la fronte.
Una parte di lui voleva chiaramente liberarsi di quel fardello, ma c'era come una immensa oscurità nel fondo del suo animo che gli impediva di parlarne.
"Cos'è che ti turba?" Lo avevo incalzato, fermandomi a pochi centimetri da lui, i nostri visi vicinissimi, così vicini che potevo vedere chiaramente la sfaccettature violastre nel nero delle sue iridi.
Carter aveva preso un'espressione strana, come remota, mentre si torturava il piercing che gli attraversava il labbro inferiore. Una piccola goccia di sangue gli era ricaduta dalla borchia sul mento, e lui l'aveva distrattamente raccolta con il suo pollice.
"Mi odieresti se te lo dicessi.... quindi non posso farlo." Aveva risposto sottovoce, fissando la piccola macchia rossa che contrastava nettamente sulla sua pelle diafana.
Contrariato da quella affermazione, gli avevo afferrato il braccio sinistro, valutando le mie opzioni: non potevo lasciare che se andasse ancora una volta così, lasciandomi senza risposte.
Avevo abbassato per una frazione di secondo lo sguardo sul suo dito, quindi, con delicatezza, me lo ero portato alla bocca, leccando via il sangue con la punta della lingua, tremando leggermente, senza mai distogliere i miei occhi marroni dai suoi.
Avevo visto le sue pupille dilatarsi leggermente, la sua determinazione vacillare, ma poi, di colpo, aveva tolto la sua mano dalle mie, ritraendosi nel suo guscio di solitudine.
"Ho detto di no! Smettila." Aveva mormorato con voce roca, tornando sui suoi passi dentro la tomba, lasciandomi solo e sconfitto sul selciato spoglio.
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NIGHTCREEPERS-i camminatori del buio
HorrorReiko è un ragazzo come tanti, fino alla notte in cui un mostro gli porta via la cosa più preziosa della sua vita: il fratello. Inizierà una caccia sanguinosa alla ricerca dell'assassino, ma non tutto è come sembra, e presto se ne renderà conto, pag...