Capitolo 17- Vampiro

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La prima cosa che era ritornata era stata l'olfatto: un odore forte e penetrante mi aveva invaso le narici, disgustandomi vagamente.
Non ero più sul mare, non era il profumo dell'acqua, della sabbia bagnata, quello che sentivo, sembrava invece più simile a... terriccio.
Sì, una terribile puzza di terra umida mista a polvere e muffa mi stava otturando il naso.
La seconda cosa, cupa e inquietante, era stato il silenzio.
Sapevo di essere in grado di udire, avvertivo perfettamente il rumore del mio respiro, affannoso per via del tanfo, ma, oltre a quello, che giungeva oltretutto stranamente attutito, con una sorta di eco, non percepivo assolutamente niente.
Con un certo sforzo, dopo un po' di tempo, avevo socchiuso le palpebre, soffocando un grido di spavento: ero cieco! Non vedevo altro che nero!
Ansimando, adesso, avevo sollevato le braccia di scatto, annaspando in preda al panico, alla ricerca di una risposta.
Dove diavolo ero? Cos'era successo? Ero morto sulla spiaggia? O Carter mi aveva tradito ancora una volta?
Improvvisamente, nel raspare, le mie mani avevano colpito qualcosa di solido e duro, sopra di me.
Con il cuore in gola, vi avevo appoggiato entrambi i palmi, tastandola, percorrendone il perimetro, scendendo quindi, lentamente, ai miei lati, e, infine sotto la mia schiena.
Ero sdraiato. Sdraiato in quella che pareva essere una cassa.
"Gesù!" Avevo singhiozzato, vinto dal terrore.
Ero vivo, ero ancora vivo, dentro una cassa di legno, sepolto sotto metri di terra!
Non ero morto, ero vivo e ben presente, dovevo aver solo perso i sensi, e Carter mi aveva interrato lo stesso e mi ci avrebbe lasciato per... quanto era? Tre giorni?
Ero spacciato! L'aria non sarebbe mai durata così a lungo.
"Cristo..." avevo imprecato, sbattendo le nocche sul pannello sopra il mio viso, grattandolo disperatamente con le unghie: era solo un'impressione o faceva un caldo infernale, lì dentro?
"Fatemi uscire!" Avevo urlato, cedendo al panico.
Non poteva finire così! Non poteva essere vero! Doveva essere un incubo...
Avevo respirato affannosamente, premendomi le mani sugli occhi, contando mentalmente fino a venti, cercando di riprendere il controllo.
Dovevo stare calmo, o avrei solo consumato inutilmente l'ossigeno.
Quando aveva riaperto le palpebre, ero rimasto di stucco: le mie braccia! Riuscivo a vederle! E anche i miei polpastrelli, le mie unghie, persino le minuscole righe che cesellavano le mie falangi: vedevo ogni minimo particolare, senza la minima fonte di luce.
'Che cosa...' avevo pensato, confuso.
Possibile che...
Incredulo, mi ero guardato nuovamente attorno, notando adesso le venature del legno che componeva la mia bara.
Era un parallelepipedo di assi grezze, non lavorate, tenute saldamente insieme da grossi chiodi che parevano di ferro arrugginito.
Dunque non mi trovavo in una vera cassa da morto, ma semplicemente in un ampio contenitore di quelli che generalmente si usavano per imballare merci.
Carino, da parte di Carter...
Ancora scosso e sorpreso dalla mia nuova capacità, avevo di colpo captato un rumore sordo, lontano, ma netto e ripetuto.
Allarmato, mi ero immobilizzato con le orecchie ben tese, cercando di distinguerne la provenienza: non era casuale, e aveva una cadenza precisa.
Suono di passi.
'Dei passi... c'è qualcuno! Qualcuno che può aiutarmi ad uscire da qui!' Avevo realizzato, in un lampo improvviso di speranza.
"Aiuto! Ehi là sopra, sono qui! Aiutatemi!" Avevo picchiato con violenza le nocche sul coperchio, cercando di far più rumore possibile, quando avevo sentito uno scricchiolio inquietante e il legno disfarsi sotto i miei colpi. Lo avevo mandato in frantumi, e la terra che stava sopra di me aveva iniziato a cadere in una pioggerella fine, lordandomi guance e vestiti.
'Non è possibile!' Avevo ansimato, scioccato.
Avevo rotto un pannello di qualche centimetro di spessore senza nemmeno scalfirmi la cute!
"Ma che diavolo..." avevo esclamato, bloccandomi però sul nascere nel sentire una forte sensazione crescermi nelle viscere.
Era un qualcosa di strano, che non avevo mai provato in una maniera simile, prima.
Era una PRESENZA, sì, c'era qualcuno, ma non era un essere umano.
'C'è un vampiro, qui.' Avevo realizzato, stupendomi della mia sicurezza.
Sapevo che era un Nightcreeper, e forse, usando la mia empatia, potevo scoprire qualcosa di più.
Avevo richiuso le palpebre, sgombrando la mente, cercando di concentrarmi. Non era certo difficile al buio e sotto tutta quella terra...
Immediatamente, una serie di emozioni si era fatta strada dentro di me... non erano chiare e limpide come quelle che ero stato in grado di avvertire in precedenza, ma erano lì, ben presenti: inquietudine, angoscia e una strana, macabra curiosità.
Conoscevo bene quel tipo di aura, non poteva che trattarsi di Carter.
"Carter...CARTER!" Avevo urlato con tutto il fiato che avevo nei polmoni.
Il non-morto, metri sopra, aveva fatto una pausa nel suo incedere, per poi inginocchiarsi e tastare il terreno.
"Reiko?" Aveva chiamato.
"SI!" Avevo esultato, non credendo alla mia fortuna e alle mie orecchie: Carter era tornato, forse si era reso conto dell'errore ed era venuto a tirarmi fuori!
"Ascoltami" aveva detto in tono alto "...adesso scaverò per farti uscire. Tu stai fermo e non muovere un muscolo, hai capito? Altrimenti franerà tutto."
Con la prospettiva poco allettante di avere metri di fanghiglia compressi sulla faccia, avevo incrociato le braccia ben strette sul petto, gridandogli il mio consenso.
C'era stato un secondo di calma assoluta, poi avevo sentito Carter iniziare a smuovere le zolle in superficie.
Il raschiare era continuato a lungo, per quello che sembrava un'eternità, finché, finalmente, non lo avevo sentito incitarmi:
"Spingi forte verso l'alto!"
Avevo preso un profondo respiro, posando i palmi sulla tavola e premendo con tutta la forza che avevo in corpo.
Sorprendentemente, l'intero blocco aveva ceduto facilmente, facendo reclinare il fondo del coperchio all'ingiù nella terra, mentre la parte superiore era emersa in superficie, lasciando trapelare una luce fioca e l'aria fresca della notte.
Tossendo, avevo appoggiato i gomiti sulle sponde laterali della fossa, facendo leva per issarmi fuori dal tumulo.
Carter mi aveva aiutato, sollevandomi nuovamente in piedi.
Una volta recuperata una certa stabilità, mi ero scrollato i resti delle zolle di dosso e mi ero guardato attorno, cercando di capire dove mi trovassi, con la luna come unica fonte di chiarore.
Un cimitero.
"Non ci credo!" Avevo mormorato, incapace di contenermi.
Carter aveva ridacchiato alle mie spalle, facendomi voltare nella sua direzione.
"Mi hai sepolto qui? Avrebbero potuto scoprirci tut..." gli avevo chiesto, sgomento.
"Nessuno." Mi aveva troncato, mettendosi a braccia conserte, studiandomi. "...Sei un vero spettacolo!" Aveva quindi ghignato.
Dovevo essere lurido fino alla punta dei capelli.
"No, non intendevo quello." Mi aveva letto nel pensiero, lasciandomi a bocca aperta: se riusciva a farlo, allora ero davvero ancora vivo! Non ero affatto morto!
Carter aveva rovesciato gli occhi, compatendomi.
"No, cretino, stai sbagliando tutto! Ecco, prendi." Mi aveva messo in mano uno specchietto che aveva pescato da una delle tasche del suo cappotto. "...Guardati." Mi aveva incitato, spingendolo verso il mio volto.
Sospettoso, lo avevo alzato all'altezza dei miei occhi, restando completamente di stucco.
"Dio mio, allora sono davvero... morto."
Non ero umano. Non lo ero davvero. Tutto quello che un tempo avrebbe potuto assomigliarmi adesso non c'era più, era cambiato in un qualcosa di... etereo.
La mia carnagione si era lievemente schiarita, restando comunque di un tono più scuro rispetto a quella slavata di Carter, mentre gli occhi e i capelli avevano conservato il loro colore, ma assumendo dei riflessi anomali, troppo perfetti anche per delle bambole di porcellana.
E poi, i denti... perlacei e splendenti, come se fossero stati fatti d'avorio, con i canini allungati e affilati rispetto a quelli che avevo prima, pur se non in maniera eccessiva.
Avevo le zanne anche io, adesso, anche se quelle di Carter sembravano ancora più spaventose.
"Tranquillo, con la fame cresceranno." Aveva ridacchiato, facendomi correre un brivido lungo la schiena.
Il sangue. Non avevo pensato a quello... come avrei fatto a nutrirmi?
"Di questo discuteremo dopo. Abbiamo tante cose di cui parlare, adesso." Aveva sorriso tronfio il Nightcreeper. "Sei così bello..." aveva sussurrato nell'oscurità , facendo calare un silenzio pieno d'imbarazzo.
Di colpo, avevo ricordato gli avvenimenti della mia ultima notte, in riva al mare, quando, preso dall'euforia, lo avevo baciato senza il minimo pudore.
'Merda!'
Ma che diavolo mi era saltato in testa?
"Ah, ecco, io..." avevo balbettato, non sapendo esattamente cosa dire.
Carter aveva riso sotto i baffi.
"Tranquillo, non è la prima volta che succede." Mi aveva 'rassicurato' "Certo, non me lo sarei mai aspettato da te, comunque... non è stato tanto male" aveva alluso, malizioso, facendomi nascere l'istinto di correre al muro più vicino, per darmela a gambe.
"Mmm, e l'ironia è un dono oscuro, oppure è tutta farina del tuo sacco?" Lo avevo rimbeccato, dandogli le spalle, per non fargli notare la mia vergogna.
Il Nightcreeper aveva ridacchiato lugubre, senza ribattere.
Avevo fissato con un vago senso di confusione la tomba da cui ero appena uscito: ero morto sul serio. Ero stato sepolto per tre giorni, e ora ero... risorto.
L'umanità ormai non mi riguardava più, non avrei mai più visto un'alba, o il sole, o i miei genitori.
I miei genitori. Prima Noel, e ora io... avevano perso entrambi i figli, ma non avrebbero mai avuto un posto in cui piangermi. Non avrebbero mai saputo che fine avevo fatto, sarebbero sempre rimasti in attesa, pregando di vedermi ricomparire sulla porta.
Questo non era giusto, tuttavia avevo preso la mia decisione uscendo quel giorno di casa, e per sempre dalle loro vite. Mi ero votato alla vendetta, ormai li avevo persi, così come loro avevano perso me.
Ero stato molto egoista, preso dal mio dolore non avevo pensato al loro, che doveva essere stato straziante tanto quanto il mio, e cosa avevo fatto? Ero solo riuscito a raddoppiarlo.
"Mi dispiace" avevo sussurrato al vuoto, sentendo lacrime rossastre brillarmi dietro le palpebre.
Alle mie spalle, si era avvicinato Carter, che mi aveva posato pacatamente una mano sul braccio.
"Lo so" aveva detto, in un tono più sommesso del mio, poi aveva indicato con un cenno vago della testa il tumulo accanto a quello dove ero stato seppellito.
"E' per questo che ti ho messo lì."
Interdetto, avevo messo a fuoco l'altra lapide: NOEL H. SENSHII.
La tomba di mio fratello.
"Così, quando i tuoi verranno a trovarlo, sarà come se venissero a trovare anche te." Aveva mormorato, corrucciando indistintamente le sopracciglia.
Sconvolto dalla vista, da QUEL nome, ero caduto in ginocchio proprio sotto la lastra, incredulo, alzando una mano tremante a toccarla, come se fosse potuta svanire di colpo sotto i miei occhi.
"Noel" avevo sillabato, sentendo rompersi dentro di me qualcosa.
Non avevo mai visitato prima di allora la sua tomba. Non l'avevo mai fatto, forse per una sorta di rifiuto, o di intrinseco terrore. Se l'avessi vista, ci avrei davvero creduto, e non lo volevo, non volevo che lui morisse.
Dentro di me era ancora vivo.
Eppure, adesso, era davanti a me, ed era così reale... come le lettere incavate nel marmo.
'AMATO FIGLIO, FRATELLO'...
Odiavo la vita, odiavo il mondo intero.
"Perché lui? Perché LUI?" Avevo singhiozzato, senza nemmeno rendermene conto. La mia voce mi arrivava così lontana, come se mi fossi trovato in un banco di nebbia.
Avevo pianto e pianto, come avevo evitato di fare prima, mi ero lasciato andare, sfogando quel male e quel rancore che mi portavo dentro da mesi, finché il forte odore metallico delle mie lacrime non mi aveva fatto smettere.
Avevo chiuso strettamente le dita a pugno, cercando di riprendere il controllo, maledicendomi, ma finendo solo col ferirmi con le mie nuove unghie, affusolate e lunghe.
"Lo troverò" avevo espirato, digrignando istintivamente i denti. "Giuro che lo troverò."
Era l'unico scopo per cui ancora respiravo.
Mi ero alzato nuovamente in piedi, ripulendomi la faccia, imbrattata di sangue, lanciando uno sguardo di ringraziamento a Carter.
Non lo capivo, quel vampiro, non lo capivo davvero, ma non importava.
"Allora" avevo interloquito, dopo aver passato un'ultima carezza sulla pietra sepolcrale di Noel. "Dove si va?"
Carter aveva fatto uno dei suoi sorrisetti sibillini, prima di rispondermi:
"A casa."

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