CAPITOLO 12- Follia

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 Mentre un'altra nuova alba sorgeva lentamente dalle colline e lottavo contro le palpebre che tentavano di chiudersi, numerose immagini scorrevano nella mia mente.
L'ultimo incontro con Carter mi aveva devastato oltre ogni immaginazione: non era stato tanto il fatto di avergli in pratica venduto la mia anima,quanto la realizzazione improvvisa e terribile che sarei MORTO, di lì a pochi giorni, e non avrei potuto fare nulla per impedirlo.
Sembrava così assurdo! Ero come un malato terminale che fino al giorno prima ignorava completamente di essere in fin di vita, con uno scopo, degli obiettivi e degli ideali, mentre ora... tutto pareva vano.
Forse era davvero così: avevo finito col gettarmi in un qualcosa di molto più grande di me, ero diventato parte di un ingranaggio gigantesco, che io, minuscola rotella, non ero riuscito a bloccare.
Anzi, se non fossi morto, avrei finito col prendervi parte.
Riflettendo su tutte queste cose, guardavo i raggi del sole farsi strada tra le cortine delle tende raggiungere rapidamente i piedi del mio letto.
Il momento era giunto, entro poco mi sarei addormentato, ma non di un sonno normale.
Probabilmente non avrei mai più dormito come prima: a quanto avevo capito, i vampiri non sognavano. Cadevano in un lungo oblio, un torpore comatoso, di morte e basta, pur potendo percepire pericoli dall'esterno.
Erano come un grosso felino famelico che riposava tenendo sempre un occhio aperto.
Certuni addirittura, e ricordavo bene di averli visti, dormivano con le palpebre spalancate, ed erano la visione più innaturale ed oscena che si potesse mai immaginare.
Ora, il deliquio veniva, e mi prendeva, cancellando ogni possibile pensiero dal mio cervello.
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Erano passati altri due giorni, lenti e inesorabili, in un'alternanza sfiancante di sonno e veglia.
Non avrei saputo dire quali di esse fossero le peggiori, ma le previsioni di Carter si stavano avverando: sentivo qualsiasi cosa.
Prima era solo il fruscio degli insetti che serpeggiavano negli angoli bui della casa, poi, adesso, le persone che camminavano in strada.
Anche la mia vista, prima piuttosto scadente, in quanto miope, ed infatti avevo sempre portato le lenti a contatto, era migliorata: potevo farne a meno, potevo mettere a fuoco i minimi particolari della televisione contro il muro opposto al mio letto.
Eppure, nonostante tutto, non leggevo i pensieri delle persone.
Certo, non tutti i Nightcreepers"rinascevano" con simili poteri: la maggior parte di loro, tranne le tipiche caratteristiche soprannaturali dello strisciare o della vista, della forza e dell'udito, non ne avevano.
Tuttavia, C'ERA qualcos'altro.
Non sapevo se questo fosse comune ad ognuno di loro, ma, certe volte, e di recente mi succedeva sempre più spesso, percepivo delle... cose, sensazioni fuggevoli, quasi impalpabili, come un'improvvisa tristezza o un'irrefrenabile bisogno di ridere.
Gioia, dolore, affetto, astio,sgusciavano silenziosi nella mia mente, ma non mi appartenevano: erano i sentimenti di qualcun altro.
E poi, naturalmente, c'era CARTER.
Non accadeva mai di giorno, visto che dormivamo entrambi, ma il più delle volte, la notte... lo sentivo. Sapevo che era qui, appollaiato fuori dalla finestra della mia stanza, a scavare nei miei pensieri, nonostante quanto gli avessi detto.
Sembrava che la mia presunta empatia fosse addirittura amplificata, nei suoi confronti: quando veniva,la sua presenza si faceva tangibile, e, pur non dicendo una sola parola, credendo che non lo notassi (e probabilmente così sarebbe stato per un qualsiasi altro essere umano), avvertivo chiara e netta la sua preoccupazione nei miei riguardi.
Tutto questo doveva essere una conseguenza del vincolo che ormai ci legava.
Il mio sangue ribolliva quando era vicino, si muoveva con più violenza nel mio corpo, pompato velocemente dal cuore in un ritmo frenetico che lo faceva quasi scorrere al contrario.
La mia pelle pareva incendiarsi, ogni singolo poro si apriva e le membra si inturgidivano, e più di una volta mi era capitato di risvegliarmi dal torpore ipnotico con una solida erezione tra le gambe.
Era la follia: le mie cellule gridavano in coro il nome di Carter, la mia mente era un turbinio confuso e sconnesso di frasi rotte e di pensieri, mentre l'infezione, più che consolidata, era risalita in strisce necrotiche lungo il mio braccio, arrivando fino al collo, marchiando per sempre la mia cute.
Non riuscivo nemmeno più a guardarmi allo specchio, temevo quello che avrei potuto vedervi: mi stavo trasformando.
Anche adesso, a notte inoltrata, potevo avvertirlo, era qui, stava tornando.
La sensazione si risvegliava nel mio petto, facendomi ansimare, il sudore colava lungo la mia schiena,rendendola madida, mentre dei brividi freddi percorrevano i miei arti, facendo indurire di piacere i miei capezzoli.
Era terribilmente erotico, perverso: mi provocava il violento impulso di toccarmi, per placare la mia sete.
Era arrivato, stava lì, alla finestra, e mi chiamava, chiedendomi di strisciare fino a lui, e così facevo, muovendomi carponi sul parquet, incapace di resistere al richiamo, appoggiandomi con tutto il mio peso addosso al vetro, gelido per il freddo della notte, smaniando con foga che fossero le sue braccia.
Carter non parlava, non diceva, se ne stava semplicemente dall'altra parte della finestra a fissarmi, bramando quanto me il contatto proibito.
Non cercava assolutamente di entrare, tuttavia veniva, e restava, ansimando convulsamente contro la lastra fredda, accarezzandola languidamente,come se fossero state le forme più attraenti che avesse mai visto.
"Reiko..." mormorava alle volte, con quello scintillio rosso cupo negli occhi.
Anche se era buio, potevo vedere i suoi denti, lunghi e affilati, e fremevo al pensiero di averli conficcati nella mia tenera carne.
Lentamente, le mie mani si spostavano al colletto della camicia, slacciavano tremanti e impazienti i primi bottoni, poi aprivano i lembi, esponendo il mio collo pallido alla sua vista.
Gli occhi di Carter allora si rabbuiavano, le sue grandi iridi scarlatte si nascondevano dietro la dilatazione delle pupille, le sua labbra si inumidivano, quasi inconsapevolmente, dall'aspettativa.
Le sue dita si chiudevano a scatto, le unghie lunghe grattavano la superficie, eppure, ancora, il suo istinto non lo sopraffaceva, e non mi chiedeva mai di lasciarlo entrare.
Poi, così come era iniziato, se ne andava.
Carter spariva silenzioso nel buio, e io rimanevo disperato allo stipite, agognando il suo tocco e al tempo stesso vergognandomi per quanto avevo appena fatto.
Non avevo più alcun controllo, e ogni giorno era sempre peggio: presto avrei preso da solo l'iniziativa col vampiro, domandandogli io stesso di prendermi, umiliando la mia natura di uomo e prostituendo il mio orgoglio.
I residui del piacere non consumato si affollavano nella mia mente, svanendo piano, uno dopo l'altro, fino a lasciarmi solo con i ricordi del mio comportamento e l'infamia che ne seguivano, fino a che, finalmente, non giungeva il tormentato sonno.  

NIGHTCREEPERS-i camminatori del buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora