CAPITOLO 18- Casa

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Dopo aver ricoperto quella che era stata, per poche notti, la mia tomba, nascondendo gli evidenti segnali della mia 'risurrezione', ci eravamo mossi in silenzio lungo le lugubri viuzze del cimitero.
Avevo lanciato sguardi inquieti in ogni angolo, stupendomi di quanto le mie condizioni fossero cambiate: era come se stessi camminando in piena luce del sole, nessuna ombra né le tenebre riuscivano a impedire la mia vista, senza contare che il mio campo visivo era aumentato in maniera esponenziale.
Un movimento improvviso aveva catturato la mia attenzione: una qualche specie di uccello notturno era sfrecciata nel buio, lontanissimo da me, emettendo versi lamentosi e gutturali.
Era incredibile e spaventoso nello stesso momento, mi sentivo forte e potente, ma pure innaturale.
La neve che aveva iniziato a cadere, la notte della mia morte umana, aveva ricoperto fitta e candida le ampie distese di lapidi, intorno a noi.
Doveva fare un freddo terribile, eppure tutto quello che avvertivo non era che un vaghissimo fastidio, quasi impercettibile.
"Assurdo." Avevo mormorato tra me e me, emettendo una nuvoletta di fiato. Sì, doveva fare un freddo impressionante.
Carter aveva ridacchiato, notando la mia perplessità di fronte alle nuove capacità che mi erano state donate.
"Devo sembrarti uno stupido" mi ero schernito, vedendomi attraverso i suoi occhi, pur senza bisogno di usare la mia empatia.
"No, Reiko, è del tutto normale." Aveva ghignato. "Avresti dovuto vedere quando sono risorto io!"
Aveva fatto una pausa, scurendosi in volto.
"Come un bambino a Natale?" Avevo scherzato, ma sapendo già dal suo viso che la risposta non poteva essere quella.
"Non esattamente." Aveva bofonchiato cupo, accelerando il passo, chiudendo con fermezza il discorso.
Solo in quel momento mi ero reso conto di che cosa stavo facendo: ero un vampiro, il nemico, e stavo familiarizzando con Carter, di cui non sapevo praticamente niente.
Una volta ero stato sicuro della sua colpevolezza, ma adesso era tutto estremamente confuso.
Non avevo la minima idea di chi avessi davanti in realtà: chi era Carter? Cosa era stato un tempo? Quando era morto? Chi l'aveva reso un vampiro?
"Reiko, non farmi pentire della mia idea fin da subito." Aveva ringhiato, avvertendo le mie congetture, voltandosi come un lupo famelico nella mia direzione.
Colto di sorpresa, ero ammutolito, frenando l'orda di pensieri che correva nella mia mente.
"Ma... Carter...?" Avevo chiesto interdetto, ignorando il suo sguardo omicida.
"Senti, Reiko, il passato è passato. Non importa quello che ero un tempo, e non dovrebbe importarti nemmeno di ciò che un tempo eri TU. Dovresti lasciarti questa storia alle spalle, e trovarti un altro scopo. Questo ti sta consumando nel midollo." Mi aveva detto tetro, fissandomi con due neri pozzi vacui.
"No, non ci penso nemmeno!" Avevo ribattuto deciso, senza rifletterci nemmeno un istante.
"Va bene, fai come vuoi, ma vedi di non seccarmi con le tue vanità! Adesso, andiamo, dobbiamo sbrigarci. Tra poco albeggerà." Era sbottato, lasciandomi di stucco.
Che razza di uomo assurdo! Era incomprensibile. Più lo studiavo, meno lo capivo, con quel suo carattere volubile, mai fisso su un'unica emozione per più di dieci secondi.
Era impetuoso e veemente.
"Andare dove? Cosa intendi con 'casa'?" Avevo insistito, irritato da tutti quei misteri.
"La cripta." Aveva risposto, guardandosi attorno in modo distratto.
"La CRIPTA?" Avevo ripetuto, sconvolto. "Quella di St-James-Fuori-le-mura?"
Non poteva essere, a piedi non saremmo mai arrivati in tempo!
"Esatto. Ecco perché ti insegnerò adesso il tuo primo trucco da vampiro!" Aveva detto con un' aria furbastra, facendomi l'occhiolino, come se la (quasi) lite di prima non fosse mai avvenuta.
"Che cosa vuoi dire?" Avevo balbettato, nello shock più completo.
Non credevo ancora di essere morto, o meglio, non-morto, e già qui si stava parlando di...
"Smaterializzarci?" Avevo esalato, ancora prima di rendermene conto.
Carter aveva emesso un boato di risata, che avrebbe potuto tranquillamente risvegliare anche i morti.
"Reiko, non essere stupido" aveva riso di gusto, scuotendo la testa.
"Ma..."
"E' vero, sei un vampiro. Empatico, a quanto sembra... ma questo non significa che il resto dei tuoi poteri verrà da solo. Non puoi imparare a mutare forma la tua prima notte, senza contare che sei denutrito." Aveva osservato, mettendosi a braccia conserte.
"Quindi..."
"QUINDI... i vampiri usano anche la macchina." Mi aveva interrotto, sollevando la mano destra nell'aria, che stringeva una chiave.
Aveva schiacciato un bottone, attivando l'apertura automatica.
"Ma che diavolo!" Avevo esclamato, vedendo la mia Land Rover che ci aspettava, nascosta nell'ombra.
"Carina. Molto comoda." Aveva commentato il Nightcreeper con un ghigno.
"E molto MIA..." lo avevo incenerito a mia volta, non riuscendo ancora a credere ai miei occhi.
"Beh, quando sei morto, tre notti fa sulla spiaggia, è rimasta lì, inutilizzata... sarebbe stato un peccato sprecarla, senza contare che non potevo certo trasportarti fin qui per seppellirti a piedi! Voglio dire, sarò anche un non-morto, ma il tuo sedere è piuttosto pesan..."
"VA BENE, grazie per il 'gentile' pensiero." Lo avevo troncato, irato, dirigendomi verso lo sportello del guidatore.
"Niente da fare!" Aveva negato il moro, spingendomi di lato. –Guido io.-
"Scusa?!" Avevo alzato la voce, avvertendo chiaramente la voglia di tirargli un enorme pugno.
"Tranquillo, non graffierò il tuo gioiellino! Non abbiamo tempo, adesso: è tardi, tu non conosci le scorciatoie, il sole sta per sorgere, sei appena risorto e non sei ancora abituato alla tua nuova condizione. Inoltre, prima di arrivare e metterci a dormire, dobbiamo scambiare due chiacchiere per mettere in chiaro un paio di cose. Dunque..."
"Dunque fai come ti pare!" Avevo rollato gli occhi, facendo il giro e buttandomi con poca grazia sul sedile del passeggero.
Con un gesto automatico, avevo allacciato la cintura, senza però evitare di chiedermi se, a questo punto, anche il non metterla avrebbe fatto qualche differenza.
Carter era saltato dietro il volante, inserendo la chiave e facendo partire il motore. Vederlo guidare la mia auto mi faceva un pessimo effetto, tuttavia sarebbe comunque sorto il sole, prima che fossi riuscito a convincerlo a cedermi il posto, quindi tanto valeva lasciar perdere.
Senza nemmeno il minimo accenno alla cintura, aveva sterzato alla sua sinistra facendo una brusca inversione di marcia, lanciandoci decisi nel buio, verso la nostra destinazione.
Avevo abbassato lo specchietto sul tettuccio davanti a me, guardandomi ancora una volta: era davvero molto strano, gli odori, il mondo, l'interno della mia auto erano sempre gli stessi, eppure io ero completamente cambiato.
Avevo fissato i miei occhi splendenti nelle tenebre, incapace di distogliervi lo sguardo. Mi piacevano, come erano adesso... normalmente il loro colore mi aveva sempre irritato, di quel marrone cupo e banale, mentre adesso sembravano come ardere al loro interno, emanando luce propria.
Erano splendenti e vividi.
"Se hai finito di appannare lo specchietto, avrei due cose da dirti." Mi aveva richiamato Carter, i suoi grandi laghi neri fissi attenti sulla strada.
"Va bene." Avevo annuito, richiudendo la piccola anta e dandogli tutta la mia attenzione.
"Ok. Allora, tanto per cominciare, prima ancora di arrivare a toccare l'argomento CIBO..." aveva fatto una pausa, lanciandomi un'occhiata trasversale.
Cibo... già. Un argomento decisamente tabù di cui parlare.
"Sarà meglio discutere del bel casino che hai piantato quando ancora eri in vita."
Ero rimasto interdetto per un secondo, non capendo davvero a che cosa si stesse riferendo.
Carter aveva mandato un suono, una specie di esclamazione incredula, digrignando i denti come una fiera.
"Trevor?" Aveva poi suggerito, serrando le mani sul volante, fino a far sbiancare le nocche.
"Trevor?" Avevo ripetuto come uno stupido. "Cosa... Oddio! Oh, merda!" Avevo realizzato di colpo, ricordandomi gli ultimi avvenimenti.
"Già, merda..." aveva concordato il vampiro a bassa voce. "Spero per te che stia ancora aspettando che gli porti la mia testa."
Ero sbiancato, per poi sentirmi avvampare in modo feroce. Del resto, quando mi ero presentato al cospetto di Trevor e gli avevo promesso la testa di Carter in cambio dell'indirizzo del suo nascondiglio, ero sinceramente convinto che fosse l'assassino di mio fratello.
"Credi che l'abbia già scoperto? Voglio dire, che sono passato..."
"Dalla nostra parte? Non lo so." Aveva ammesso, prendendo un'aria strana .
Ed ecco ancora quell'aura cupa e oscura che ritornava, quella che mi lasciava perplesso ogni volta.
"Trevor è un Nightcreeper potente, e come tale non va mai sottovalutato. Ad ogni modo, è possibile che ti credano tutti ancora vivo. Ed è proprio per questo..." aveva frenato a uno stop, completamente deserto, voltandosi a osservarmi. "... che non ti devi più esporre."
"COSA? Scusa, ma come posso..."
"Non mi interessa di Noel, Reiko! Lo so che se hai accettato tutto questo è per scoprire l'assassino di tuo fratello, ma se vuoi davvero riuscire nel tuo intento ed evitare lo scontro con Trevor, devi rinunciare al Giustiziere."
Ero rimasto in silenzio a ricambiare il suo sguardo per qualche minuto, troppo alterato per ribattere.
"Non puoi andartene in giro a impalare vampiri, ora che sei uno di loro!" Aveva continuato, prendendomi per una spalla.
Era vero. Sarei finito linciato se solo ci avessi provato. I Nightcreepers non accettavano che uno di loro si ergesse a loro leader, figurarsi se si sarebbero lasciati trucidare da uno della loro stessa razza. Inoltre Trevor era fuori a cercarmi, probabilmente aveva messo una taglia sulla mia testa, e, nonostante adesso possedessi una forza sovrannaturale, ero ancora in svantaggio nei suoi confronti.
"Dannazione" avevo mormorato tra i denti, passandomi le dita fra i capelli, ancora luridi di terra. "Che cosa dovrei fare?" Gli avevo chiesto, tenendo gli occhi bassi.
Odiavo mostrarmi vulnerabile di fronte a lui, ma non avevo altra scelta. Non potevo farcela da solo, ignoravo ancora troppe cose.
Carter aveva preso un respiro, incrociando i gomiti sullo sterzo, alzando vagamente le spalle.
"Non lo so. Per ora, è meglio che tu te ne stia in disparte senza dare nell'occhio. Del resto..." e qui si era rialzato a guardarmi con un lampo ironico negli occhi "... sei piuttosto bravo nel startene nascosto nell'ombra, no?"
Lo avevo trapassato con lo sguardo, incenerendolo dov'era.
"Muoviti, non vorrai mica passare a questo stop il resto dell'eternità." Avevo bofonchiato, seccatissimo.
Per tutta risposta, mi aveva fissato a lungo in silenzio, giocherellando inconsciamente con il suo piercing sul labbro inferiore.
Alla fine, aveva annuito tra sé, inserendo la marcia e tornando a guidare la mia auto lungo le stradine di campagna che si allontanavano dal cimitero.
L'inverno ormai era arrivato: una coltre di ghiaccio ricopriva i campi, gli alberi e i viottoli che risalivano ai portoni delle case, di proprietà di generazioni di agricoltori.
Il gelo, nonostante io e Carter non producessimo la minima fonte di calore nell'abitacolo, aveva ricoperto il parabrezza e parte dei finestrini, rendendo la visione del mondo esterno distorta e irreale.
"Perché?" Avevo riflettuto ad alta voce, senza nemmeno rendermene conto.
"Perché cosa?" Aveva ribattuto l'ex punk dai capelli color lattina.
"Perché l'empatia? Voglio dire..." mi ero fermato nel sentire la sua risata.
"E' meglio che tu non ti chieda certe cose, Reiko." Aveva scosso divertito la testa. "Non c'è una spiegazione logica. Nemmeno io so perché posso leggere nel pensiero."
"Nel pensiero degli esseri umani." Avevo sottolineato, ricordando di quando me ne aveva parlato.
"E nel TUO." Aveva aggiunto in tono talmente sommesso, che per poco non avevo afferrato.
"Come?" Avevo spalancato gli occhi, basito.
Carter aveva sghignazzato, beato come il Coniglio Pasquale.
"Ti ho fatto io, no? Qualcosa dovrà pur significare."
"Allora è per questo che riesco ancora a, come dire..."
"Leggermi dentro? Sì, quasi sicuramente. Voglio dire, non aspettarti di sentire granché negli altri come noi, a parte naturalmente la loro presenza. Quella sarà una sensazione costante." Mi aveva spiegato, svoltando bruscamente in una rotonda verso la corsia di immissione in tangenziale.
"Ah" avevo scosso affermativamente la testa, tornando a girare pensosamente lo sguardo alla mia destra.
"Chiedimelo." Aveva detto Carter all'improvviso, riscuotendomi dallo stato di trance in cui ero momentaneamente piombato.
"Che cosa?" Avevo domandato, confuso. Avevo così tanti quesiti, nella mia mente, che non avevo la minima idea di quale stesse parlando.
"Oh, lo sai. Lo vedo chiarissimo nella tua testa!" Aveva riso in modo sguaiato, come uno scaricatore di porto. "Chiedimi del SESSO!" Aveva ammiccato, dandomi una specie di gomitata d'intesa dritta nel fianco.
"Del... scusami, del SESSO?" Avevo ripetuto come un ritardato, e sentendomi in effetti come tale.
"Oh, Cristo, Reiko, ma dove hai vissuto, in un convento, finora? Spero sia colpa dei libri scadenti che hai letto su di noi." Aveva rollato gli occhi Carter, incredulo.
"Ma che cazzo ne posso saper... scusa, ma che ne sai di quello che leggo? Oh mio Dio, non me lo dire..." avevo alzato le mani nell'aria, per non sentire.
"Cos'è, ti sei dimenticato del fatto che ti pedinavo? Ti ho osservato tanto a lungo da poter dire di conoscerti come il fondo delle mie tasche. Immaginati poi la mia sorpresa quando, frugandoti in testa, ho scoperto che eri ancora..."
"COSA HAI FATTO?!" Avevo urlato, rischiando di far mandare in testa-coda la jeep.
Carter era bordeaux dalle risate, un colore molto simile a quello della mia faccia, anche se per un motivo totalmente differente.
"Non ridere, razza di stronzo, non provarci neanche! E comunque non sai proprio un bel niente di me e della mia vita, ok? E non volevo assolutamente chiederti di... QUELLO. Pervertito." Avevo sbuffato, come un rinoceronte pronto alla carica.
"Ooh, D'accordo VERGINELLO." Mi aveva sfottuto indietro, guardandomi di sottecchi.
Lo avevo fissato allibito, mentre sentivo con orrore che le mie guance diventavano cianotiche per la vergogna.
Brutto bastardo.
Eravamo rimasti muti come due tombe, mentre Carter continuava a guidare, uscendo dalla tangenziale e prendendo una strada sterrata che si inerpicava aspramente in verticale, sulla cima della montagna in cui si trovava il cimitero di St-James-Fuori-le-mura.
Avevo serrato i pugni ben stretti contro lo stomaco, maledicendolo in continuazione nel mio cervello, sperando che lo captasse.
Non era tanto la rabbia, quanto la feroce umiliazione che mi ardeva l'anima, facendomi bruciare lo stomaco.
Non lo avevo mai detto a nessuno, nemmeno Noel lo aveva mai saputo, anche se, sicuramente, doveva averlo intuito.
Che stronzo.
Carter mi aveva lanciato un altro sguardo, che io avevo ignorato apertamente.
Alla fine, giusto mentre stavamo finalmente raggiungendo e oltrepassando il villaggio di St-James, aveva mormorato un mezzo:
"Mi dispiace." In tono fioco.
"Eh, direi!" Avevo borbottato, senza nemmeno guardarlo.
Era un po'meno stronzo, ma lo era lo stesso.
Un paio di curve dopo, eravamo fermi di fronte al cadente cancello del camposanto.
"Eccoci qua." Aveva annunciato il mezzo stronzo come uno stupido, cercando in modo evidente di rompere il ghiaccio.
"Hm." Era tutto quello che aveva ottenuto, intanto che la Land procedeva traballante tra le sterpi e i cumuli di pietre verso la cripta.
La nostra cripta. La MIA.
"Fa uno strano effetto, vero?" Aveva commentato mieloso Carter, spegnendo i fari e il motore, non potendo proprio evitare di ficcare il naso nel pensiero degli altri.
"Senti, fammi un favore, piantala, ok? Sei più simpatico da stronzo, davvero!" Lo avevo aggredito, sganciando con poca grazia la cintura e saltando fuori dallo sportello, avanzando a larghe falcate verso l'entrata.
Avevo lanciato un'occhiata distratta alla statua dell'uomo penitente, con in mano i resti del rosario di metallo divelto, senza poter evitare di considerare che era proprio qui che era iniziato tutto. Era qui che ero stato ferito.
Carter aveva armeggiato qualche istante intorno alla macchina, chiudendola, raggiungendomi poi sulla porta.
"Scusa" gli avevo chiesto, sbigottito "la lasci così in bella vista in mezzo al niente? E se poi durante il giorno qualcuno la..."
"Non la vedrà nessuno. E' sicuro qui, non preoccuparti, non dormirei mai in un posto che non lo fosse." Aveva risposto, mettendo la mano sinistra nella tasca dei suoi pantaloni, estraendovi la chiave del nuovo lucchetto che aveva messo a chiusura dell'ingresso.
"Mi hai fatto spendere un sacco di soldi." Mi aveva schernito, vedendo come osservavo la nuova catena, dopo che gli avevo troncato la prima.
"Se lo dici tu" avevo detto sarcastico, non sentendomi affatto tranquillo.
Mi erano bastate un paio di tronchesi per entrare, l'ultima volta...
Carter aveva spinto il pannello di pietra sui cardini, che si era aperto placidamente senza il minimo suono verso l'interno.
Il tutto era rimasto esattamente come lo ricordavo: la polvere, le ragnatele, l'aria di decadenza, la pila di libri e fogli scribacchiati abbandonati su un tavolo antico, spinto in un angolo.
"A proposito di cattive letture..." non avevo potuto evitare di indicare, sollevando nell'aria il diario di Van Helsing, mentre il vampiro si richiudeva l'uscio alle spalle, sprangandolo con un'enorme sbarra di metallo. Alla faccia della sicurezza e di tutte le tronchesi del mondo.
Carter aveva incassato con una smorfia il colpo, ma tornando subito dopo alla carica con un sussurro subdolo. "E tu come fai a saperlo?"
Mio malgrado, avevo a mia volta contorto il viso in un ghigno che mi smascherava, gettando il libro al suo posto, assieme a tutti gli altri.
Tutto d'un tratto, un forte senso di stanchezza mi aveva avvolto le membra, facendo calare pesantemente sugli occhi le mie palpebre.
Mi ero voltato a lanciare uno sguardo attraverso la vetrata sudicia e incrinata del sepolcro, notando che il cielo si stava tingendo lentamente di colori caldi.
Stava arrivando l'aurora.
"E' ora." Aveva annuito Carter, spostandosi al centro del sepolcro e scoperchiando la sua bara.
Solo allora mi ero reso conto che non si trovava più accantonata in trasversale lungo il muro, ma dove si doveva originariamente trovare, cioè nel bel mezzo della stanza.
Accanto ad essa, ce n'era un'altra, doveva essere quella che conteneva lo scheletro.
"Non più." Aveva ridacchiato Carter, spingendo il coperchio per me.
Incuriosito e in parte timoroso di quello che avrei potuto trovarvi all'interno, mi ero sporto per osservare, restando senza parole: l'interno della bara di pietra era stato completamente ripulito, spolverato e privato di qualsiasi suo orribile contenuto. Un cuscino di velluto, velluto vero, di quello che costava una fortuna, rosso sangue giaceva sul fondo, accompagnato da lenzuola dello stesso colore.
"Wow" mi ero lasciato sfuggire, incantato dalla visione.
Un odore vago di muschio e oriente emanava dal fondo del feretro.
"Ti piace?" Aveva chiesto il Nightcreeper di fronte a me, compiaciuto.
Conosceva certamente la risposta, ma voleva sentirselo dire.
"Sì." Avevo ammesso. "Tu?" Avevo quindi domandato, ancora incredulo.
Carter aveva alzato in modo eloquente un sopracciglio. In effetti, chi altri poteva essere stato?
"Ma..."
"No. Ti serviva un posto dove dormire... e non sarebbe stato carino metterti con lo scheletro." Aveva arricciato il naso, facendo balenare le sue zanne in un lampo nella semioscurità.
"Già." Avevo sorriso senza volerlo, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal fondo. "Però..."
"Si sta facendo tardi." Mi aveva interrotto. "Avanti, vieni."
Aveva proteso la sua mano, per aiutarmi a entrarci dentro, e soltanto allora l'idea mi aveva colpito: stavo per ritrovarmi ancora una volta disteso in una bara, anche se non qualche metro sottoterra.
Di colpo, la coperta di velluto non sembrava più tanto piacevole.
"Reiko, non essere stupido, sei già stato per tre giorni in una claustrofobica cassa di legno, con chili di terra sopra la tua testa. Non avrai mica paura di entrare in questa? Sarà come sdraiarsi in un letto di rose."
Mi aveva guardato impaziente, sempre con la mano tesa verso di me.
Deglutendo un enorme groppo di saliva delle dimensioni di un grosso rospo, mi ero fatto forza e avevo stretto saldamente la sua mano, scavalcando la parete e sedendomici dentro.
"Ora sdraiati." Mi aveva incoraggiato Carter, spingendomi piano all'indietro. Avevo ubbidito, ritrovandomi completamente disteso sul morbido tessuto, sotto di me.
La sensazione che dava contro il mio corpo era piacevole, tuttavia le alte mura di marmo che mi circondavano mi davano un violento senso di oppressione.
"Tranquillo, è questione d'abitudine." Mi aveva rassicurato, notando l'espressione angosciata del mio viso. "Posso dormire con te, se vuoi, per questa volta." Aveva quindi proposto, senza alcun doppio senso.
"No, io... starò bene." Avevo assicurato, cercando di stirare un sorriso sicuro sulla mia bocca.
Carter aveva riso sotto i baffi, rispettando comunque la mia decisione.
"D 'accordo. Ma se avessi bisogno... sai dove trovarmi." Aveva ammiccato con aria furba, poi, vedendo la mia aria confusa, aveva aggiunto: "ho il sonno leggero."
Dopodiché, si era mosso per chiudere sopra di me la pesante lastra di pietra.
"Riposati, adesso. Domani sarà una notte lunga."
"Carter." Lo avevo chiamato, senza potermi frenare.
A dire il vero c'era una domanda che continuava da ore a frullarmi nella mente, da quando aveva accennato al nostro legame, in macchina. Quello tra vampiro e suo figlio di sangue.
"Sì?"
"Io... volevo chiederti, prima..." avevo fatto una pausa, cercando con fatica di organizzare le parole. Carter era uno strano individuo, così oscuro, misterioso... non sapevo nulla del suo passato e, sebbene forse ne avessi il diritto, non sapevo se era davvero giusto fargli una simile domanda.
"Reiko..." aveva iniziato quasi allarmato, avvertendo dalla mia mente in anteprima il senso del mio quesito.
"Chi ti ha reso un vampiro?" Avevo detto d'un fiato, sorprendendo perfino me stesso.
Carter era ammutolito di botto, chiudendosi in un silenzio completamente innaturale. Tramite la mia empatia avevo visto manifestarsi in lui uno strano turbine di emozioni, che sfrecciavano in un caos devastante le une verso le altre. Per un unico, singolo attimo mi era parso di cogliere una sensazione netta, più forte delle altre, ma prima che riuscissi a focalizzarla, Carter mi aveva chiuso la finestra sulle sue emozioni in faccia, lasciandomi nel buio più completo.
"E' tardi, Reiko. Dormi." Mi aveva sussurrato in un mormorio confuso, terminando di murarmi dentro quella nuova bara.
Ero rimasto sveglio ancora qualche minuto, nell'oscurità, troppo preso da quello che avevo percepito per poter cadere nel panico.
Avevo visto bene lo sguardo di Carter, giusto prima della scomparsa della luce, e avevo notato anche la sua espressione.
C'era qualcosa nel suo passato che lo turbava: ogni volta che cercavo di saperne di più, specie sulle sue prime esperienze da vampiro, si raggelava, come un iceberg.
Ma perché tanta reticenza? Chi era stato? Quale vampiro? Forse era morto? Era uno di quelli che avevo ucciso?
Con questo vortice confuso di riflessioni in testa, avevo avvertito il sonno crescermi dietro le palpebre, finché, lentamente, non mi ero abbandonato al mio primo, vero, sonno senza sogni da vampiro.

NIGHTCREEPERS-i camminatori del buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora