CAPITOLO 19-Notte di sangue

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Quando avevo riaperto gli occhi, mi ero guardato attorno confuso, incapace di ricordare dove mi trovassi, poi avevo sentito il rassicurante odore orientale del muschio invadermi le narici e mi erano tornati alla mente gli avvenimenti della notte precedente.
Ero un vampiro, mi ero risvegliato, ed avevo passato la mia prima mattina nel sepolcro accanto a quello di Carter.
Carter.
Ancora avevo nelle orecchie e nella mente la litigata (e la rabbia) di poche ore prima.
Si era comportato come suo solito, da vero stronzo smargiasso, poi aveva cercato di farsi perdonare, come un bambino che chiedeva scusa dopo aver rotto il terzo vaso consecutivo giocando con una palla da calcio.
Recidivo e testardo, impulsivo e arrogante, ma sempre pieno di rimorso, anche quando ormai era troppo tardi.
Stupido.
D'altro canto, l'ultimo argomento che avevamo toccato nella nostra conversazione mi aveva lasciato una strana apprensione addosso: avevo visto quella luce strana nei suoi occhi, e quella confusione, dentro di lui, quando gli avevo fatto QUELLA domanda.
Che cosa poteva averlo tanto turbato? Forse chi l'aveva fatto era stato un mostro nei suoi confronti... o era stato trasformato per puro caso... magari non aveva idea di chi fosse, oppure era qualcuno con cui non aveva più rapporti. O, più probabilmente, come già avevo considerato, era morto.
Ucciso da me? Difficile dirlo... tuttavia, nella mia (non poi tanto lunga) carriera da Giustiziere, non avevo mai incrociato le armi con dei Nightcreepers molto potenti, non quanto lui o Trevor, almeno.
Era tutto molto strano, sbagliato... era chiaro che mi stava nascondendo qualcosa e che non me ne avrebbe parlato finché non si sarebbe deciso a fidarsi completamente di me.
Potevo capirlo, in fondo non ci conoscevamo assolutamente, anche se non trovavo equo il fatto che, mentre lui era al corrente di ogni mio segreto più recondito, grazie alle sue doti, io invece brancolavo come un cieco nel buio.
Avevo corrugato la fronte, imbronciandomi, sentendomi ancora una volta intrappolato contro la mia volontà.
Da quando questa storia era iniziata, contrariamente alle mie aspettative, non avevo mai condotto il gioco, avevo sempre finito con il ritrovarmi in balia del mio destino per gli atti o le decisioni di qualcun altro, e questo mi faceva impazzire.
Avevo sospirato, voltandomi su un fianco con qualche difficoltà, trascinando buona parte delle lenzuola di velluto con me.
'Dannazione...'
Ero stanco di quel circolo vizioso. Dovevo assolutamente saperne di più, portare a galla qualche verità... a cominciare dall' assassino di mio fratello.
Chissà, magari trovandone una, avrei risolto anche l'altra... oppure le cose si sarebbero, come già era successo, complicate. Chi poteva dirlo?
'Merda...'
Di colpo, il mio pensiero era tornato alla figura vergognosa che avevo fatto in auto.
"Verginello!" Mi aveva schernito Carter.
Maledizione a lui e alla sua capacità di leggere il pensiero! Ma chi si credeva di essere? Certo, il grande playboy della città, a cui tutte le fotomodelle cadevano ai piedi! Ha! Che andasse a farsi fottere!
Ancora sentivo l'umiliazione... che vergogna, non avevo di sicuro scelto io di ritrovarmi in quella condizione. Oh, ma che diavolo andavo pensando? Era solo uno stronzo, il tipico sbruffone che si sentiva il re del mondo solo perché aveva i capelli decolorati e il piercing sulla lingua (va bene, lui ce l'aveva sul labbro, ma il concetto era sempre lo stesso)!
...
Potevo offenderlo quanto volevo, ma sapevo che purtroppo aveva ragione: Carter aveva, nonostante l'arroganza, carisma e fascino, cose che io non avevo mai posseduto, quindi ero solo, con ogni probabilità... invidioso? Bah! No di certo!
Avevo sbattuto le mani contro le fredde pareti di pietra, rendendomi conto che non mi sarei mai riaddormentato come capitava ai mortali. Il sonno dei vampiri era un sonno di morte, e una volta passato, significava che era ora di sorgere, perché era calata la notte.
Con un sospiro di resa, avevo alzato le braccia sopra di me, per scoperchiare il mio tumulo, senza trovare, contro ogni mia umana aspettativa, la minima difficoltà nel farlo. Le mie nuove capacità mi stupivano di giorno in giorno.
Mi ero sollevato lentamente a sedere, facendo capolino dalla tomba, guardandomi attorno: nessuna luce trapelava dai vaghi spiragli nelle tende, il tutto sembrava immerso in un'atmosfera d'attesa peculiare. Solo un piccolo cono di luce ardeva tremolante nel buio, sul tavolo spinto nell' angolo che fungeva da scrittoio per Carter.
E il Nightcreeper era proprio là, seduto su una specie di poltrona stile impero, con le gambe sollevate e i piedi appoggiati con poco grazia su una pila di libri.
Sembrava concentrato nella lettura, tuttavia aveva naturalmente avvertito il mio risveglio, e così mi aveva subito apostrofato: "Ben svegliato, Reiko. Più che il rumore è stata l'orda incessante dei tuoi pensieri a distrarmi." Aveva alzato un sopracciglio, guardando di sbieco nella mia direzione.
Figurarsi. Leggere i pensieri degli altri era il suo sport preferito.
"Non lo faccio sempre per scelta, a volte... scorrono, e basta. I tuoi, soprattutto." Aveva come arricciato le labbra, riportando la sua attenzione a quello che sembrava un vecchio volume polveroso e cadente.
"Ah, quindi è colpa degli altri che pensano troppo, se ti fai gli affari loro" lo avevo rimbeccato, issandomi fuori dalla bara di pietra, con un vago sorrisetto, anche se era già riuscito a innervosirmi.
"Mh!" Aveva ghignato a sua volta, alzando un dito nell' aria, come per segnarmi il punto.
"Che cos'è?" Gli avevo domandato, indicando il tomo, non osando immaginarmi la risposta.
Carter mi aveva lanciato un'occhiata indecifrabile, prima di riabbassare lo sguardo e rispondermi :
"Poesie."
Non ero riuscito a soffocare una risata.
"Scusami." Avevo grugnito, notando la sua espressione omicida, ma finendo solo con il farmi venire un attacco isterico. "Io non..." non avevo potuto terminare la frase.
"Sì, d'accordo!" Aveva ringhiato Carter, digrignando i denti, chiudendo il grosso libro con un tonfo e scattando in piedi verso la porta.
Solo ora avevo potuto leggerne l'autore: Wordsworth. Oh, Dio...
Lo avevo seguito sorridendo di scherno, mentre si accingeva a chiuderci la porta alle spalle con il lucchetto.
"Oh, Carter, ma non c'è niente di male! Anche le anime più nere a volte vengono in contatto con il loro lato femminile!" Lo avevo provocato.
Il moro si era per tutta risposta diretto alla Land Rover, montandovi sopra (dal lato del guidatore, ovviamente), sbattendo lo sportello.
Quando ero salito al suo fianco, ignorando a mia volta la cintura di sicurezza (che se ne andasse pure al diavolo, non ero forse già morto, in fin dei conti?), si era voltato verso di me, con una strana espressione di compiacimento sulla faccia.
"Dove stiamo andando?" Gli avevo chiesto, sentendo il sorriso morirmi sulla bocca: conoscevo bene quell'aria di trionfo, e sapevo che doveva avere in mente qualcosa di bizzarro.
"A mangiare." Mi aveva risposto con candore, beandosi del mio immediato terrore.
Avevo fatto per uscire, ma lui aveva bloccato le portiere ed era partito rapidamente in retromarcia, facendo stridere le ruote sul selciato del cimitero.
"Carter!" Gli avevo ruggito, minaccioso.
Non ero assolutamente preparato per quello, non potevo farlo quella notte, farlo adesso!
"Zitto. Tu puoi anche morire di fame, ma io ho tutte le intenzioni di nutrirmi." Aveva tagliato corto, accendendo i fari e lanciandoci nella notte.
Avevo inghiottito un groppo di saliva grande quanto un rospo, sudando freddo: sapevo che il sangue umano sarebbe ormai stata la mia unica fonte di sostentamento, ma il pensiero di aggredire qualcuno, un umano innocente soprattutto, come un bambino o delle ragazzine, mi ripugnava immensamente.
Il vampiro alla guida però sembrava più che saldo nel suo proposito, e comunque, non potevo fuggire in eterno. Prima o poi la fame mi avrebbe ottenebrato la mente; più avessi aspettato, peggio sarebbe stato.
In effetti, i Nightcreepers più violenti erano proprio quelli che mangiavano meno spesso, sintomo evidente della loro (nostra) natura mostruosa.
Per quanto dunque mi nauseasse dovevo farlo, e al più presto, finché possedevo il minimo controllo di me stesso.
"Che cosa hai in mente?" Avevo chiesto al mio cereo compagno, mentre entravamo rapidamente in città.
Carter mi aveva rivolto uno sguardo vacuo ed enigmatico con uno dei suoi pozzi neri, senza rispondermi.
Seccato e irritato dal suo atteggiamento, avevo sbuffato sonoramente e mi ero voltato verso il finestrino, iniziando a riconoscere le vie su cui viaggiavamo.
Pochi minuti dopo, la Land aveva svoltato in un parcheggio di un supermercato deserto e si era fermata a cavallo di due spazi, annunciando la conclusione del nostro viaggio.
"Non capisco." Avevo detto a Carter, subito dopo essere smontato dall' auto.
"Cosa?" Era stato tutto quello che avevo ottenuto, in tono annoiato.
"Perché scegliersi una vittima e pedinarla tanti mesi, per poi braccare e dissanguare sconosciuti quasi ogni notte?"
Era una domanda del tutto lecita, una questione che non avevo mai compreso del mondo dei non-morti.
"Vuoi dire perché ci attacchiamo tanto a qualcuno senza torcergli per settimane un capello e intanto pasteggiamo con stranieri quando ci capita?" Aveva chiesto, mettendosi in moto per le strade buie, osservando con attenzione ogni vicolo.
"Esatto."
"Beh, vediamo, potrei farti un paragone con il sesso, ma non credo che capiresti..." mi aveva punzecchiato, senza il minimo sorriso sulla faccia.
Mi ero bloccato sul marciapiede, fissandolo torvo: stava tirando troppo la corda, con quella storia!
"Va bene, va bene, allora mettiamola in questi termini: le persone che scegliamo di pedinare per noi sono speciali. Non sono semplici vittime, ma gente che riteniamo più interessante di altre, su cui ci piace spendere tempo. Come hai detto tu stesso, non è fondamentale che questo accada, possiamo benissimo sfamarci bevendo da umani di cui non ci importa minimamente, o che addirittura disprezziamo. Tuttavia, a volte lo facciamo ,seguiamo qualcuno in particolare e vi dividiamo anche lunghi momenti, finché non decidiamo di raggiungere l'apice, e bere da loro."
"Dio, suona davvero come qualcosa di sessuale..."
"Te l'ho detto, ma è più complicato di così. Molte di queste persone, infatti, vengono spesso non semplicemente uccise e dimenticate, ma trasformate in vampiri."
Lo avevo guardato, stupito.
"Vuoi dire che in pratica vi scegliete così i vostri 'compagni'? Cioè..." mi ero fermato, interdetto, arrossendo al suo ghigno furbo.
"Non intendevo noi, cretino" lo avevo trucidato con lo sguardo, superandolo e dandogli le spalle.
"Sei stato tu a dirlo!" Mi aveva deriso, trotterellandomi dietro.
"Ha, sto morendo dalle..." non avevo fatto in tempo a terminare la frase che Carter mi aveva zittito, afferrandomi per il braccio destro.
"Cosa c'è?" Avevo domandato allarmato, sicuro che se mi fossi voltato avrei visto l'orrendo viso di Trevor.
"Abbiamo la nostra cena." Si era illuminato, indicandomi con uno dei suoi indici puntuti la direzione.
Era un uomo, un muratore o forse uno degli addetti che lavoravano ai moli, grande e grosso, più alto di noi di almeno una spanna abbondante, con le braccia più larghe che avessi mai visto.
"Ma... Carter...?" Avevo mormorato allibito, aspettandomi di tutto tranne quello, che pareva oltretutto piuttosto losco e pericoloso.
"Dobbiamo mangiarci in due, scemo, che cosa ti aspettavi? Una top model?" Aveva ringhiato, iniziando ad avanzare nella sua direzione. "Quando poi mangerai per conto tuo potrai permetterti di scegliere chi ti pare!"
"Dico, ma l'hai guardato bene? Quello ci spezza in due!" Lo avevo istintivamente seguito, sussurrando in preda al panico.
"Sì, come no." Mi aveva guardato in modo eloquente, roteando gli occhi.
Una volta giunti al suo cospetto, l'armadio ci aveva scrutati in modo bieco, sputando sullo stradino sudicio prima di rantolare: -Cercate rogne?-
Il cambiamento di Carter era stato immediato, così come le emozioni del tipaccio: gli occhi del vampiro si erano tinti di rosso carminio e i canini erano fuoriusciti minacciosi, terrorizzando a morte l'individuo.
"No, cerchiamo CIBO." Aveva ruggito, afferrandolo per la gola e sdraiandolo come un cane di pezza al suolo, esplodendo in una risata cupa.
Le sue iridi sanguigne avevano incontrato le mie, in un invito spietato.
"Quale parte vuoi?" Mi aveva interpellato, sinceramente divertito dal gemere e contorcersi dell'omone sotto di lui.
Mi ero inginocchiato di fronte a lui, incapace di proferir parola.
"Dal collo è migliore, ma visto che sei ancora inesperto, credo sia meglio che cominci dal polso."
A quelle parole, l'armadio aveva cercato disperatamente di alzarsi in piedi per darsi alla fuga, ma Carter lo aveva tenuto, senza il minimo sforzo, ancorato a terra.
"Non vorrai ucciderlo...?" Avevo soffiato, cercando di non farmi sentire dal tizio, o sarebbe stato peggio.
Carter mi aveva guardato dritto negli occhi, prima di rispondermi gelido: "Non c'è altra scelta, lo sai. E comunque, credimi, se lo merita."
Aveva assestato una violenta ginocchiata tra le costole dell'uomo supino, lasciandolo senza fiato per alcuni minuti, sibilandogli di non muovere il minimo muscolo.
"Allora, quale vuoi?" Mi aveva quindi chiesto nuovamente, lasciandomi intendere che avrei dovuto decidermi in fretta.
Con la mente e la bocca completamente staccati dal resto del corpo, avevo mormorato in tono appena udibile: "Il braccio"
Lasciando che la mia nuova natura parlasse per me.
Con una smorfia compiaciuta, Carter mi aveva porto l'arto destro, con il palmo della mano rivolto verso il cielo notturno.
Avevo fissato quel polso, scuro e potente, e sotto il mio sguardo famelico le sue vene si erano manifestate, grosse e pulsanti.
Un vago dolore improvviso mi aveva colpito l'interno delle labbra: le mie zanne erano fuoriuscite in tutta la loro lunghezza, sguainate e pronte all' uso.
L'uomo stava gridando, probabilmente in modo disumano, ma alle mie orecchie giungevano solo suoni lontani, appena udibili, sovrastati dal fragore del sangue che veniva pompato a fiotti nei suoi vasi.
Un rivolo di bava era colato dai miei denti sulla sua pelle, mentre portavo con una lentezza cinematografica quel ben di Dio alla mia bocca.
Un odore intenso e pungente era passato attraverso le mie narici, come un potente schiaffo, facendo vacillare i miei pensieri, ottenebrandomi la ragione.
Avevo passato la lingua sulla cute, beandomi del sapore: non avevo idea di che cosa avesse di particolare il sangue orientale, tuttavia anche quello dell'uomo, un ispanico, a quanto pareva, aveva senza dubbio la sua attrattiva.
Inspirando lievemente, più per umana abitudine che per reale necessità, avevo individuato la vena del polso, che batteva sensualmente dinanzi alle mie iridi in un muto invito, e vi avevo affondato i canini fino alla radice.
Non appena li avevo ritratti, il sangue era sgorgato in un violento getto dritto nella mia gola, provocandomi uno spasmo involontario, dopodiché le pareti del vaso erano collassate su loro stesse, impedendo al fluido di continuare a fuoriuscire.
Comprendendo al volo cosa dovevo fare, lanciando un'occhiatina di sbieco a Carter, che era piegato in due sul collo del tizio, avevo inciso di nuovo, stavolta succhiando con ferocia, rabbrividendo al forte piacere che quel liquido caldo mi dava.
Strane luci erano comparse nel retro delle mie palpebre, accompagnate da diversi suoni, melodiosi e conturbanti, trascinandomi in un'estasi inspiegabile, facendomi mugugnare contro le ferite.
Ad un certo punto, avevo sentito una mente danzare all' unisono con la mia: era quella di Carter, che riuscivo chiaramente ad avvertire tramite il sangue, ebbra a sua volta di carnale soddisfazione.
L'ispanico, nel mezzo di quello strano menage a trois, aveva sospirato e tremato con violenza, mormorando parole incoerenti in quello che sembrava un dialetto messicano, finché il suo cuore non si era fatto sempre più debole, fin quasi a fermarsi.
Avevo sentito una spinta decisa sulla mia spalla: era Carter, che mi stava ordinando di smettere.
"Perché?" Avevo ruggito, sorprendendomi, staccandomi di malavoglia da lui, recuperando solo a mezzo la mia lucidità. Ero duro come il marmo, e non solo in mezzo alle gambe, la frenesia si era impadronita del mio corpo, e mi ci sarebbe voluto del tempo per riprendermi appieno.
"Non deve morire così" mi aveva riposto con voce roca, pulendosi distrattamente le labbra, spostandosi a sedere sopra l'uomo, carezzandogli il viso con mani tremanti, prive di controllo.
"Che cosa vuoi fare?" Gli avevo domandato confuso, incapace di ragionare con chiarezza.
"Shh" mi aveva zittito, prendendo la faccia dell'altro con le mani, chinandosi lentamente su di lui.
L'ispanico, ancora intorpidito nei sensi dalla nostra aggressione, aveva guardato il vampiro con uno sguardo placido, regalandogli un mezzo sorriso.
Carter gli aveva sorriso indietro, sporgendosi in avanti come per baciarlo, sotto i miei occhi attoniti, ma, all' ultimo secondo, gli aveva girato di scatto la testa di lato, spaccandogli di netto l'osso del collo.
Quell' atto, crudo e improvviso, aveva spazzato via dal mio cervello ogni traccia di intorbidimento, riportandomi con entrambi i piedi a terra.
"Cosa... C... Cart..." avevo balbettato, sentendo le mie labbra tremare in modo convulso, mentre l'orribile suono di ossa rotte si perpetuava nelle mie orecchie.
"Non c'era altra scelta. Se lo avessimo lasciato vivere, o peggio, ucciso prosciugandolo, sarebbe diventato uno di noi. O un nostro servo." Aveva replicato il non-morto, in modo secco, alzandosi con una certa difficoltà dal suolo sulle gambe ancora instabili.
"Farai meglio ad abituarti" aveva continuato poi, appoggiandosi sulle ginocchia, chinandosi in avanti, come per riprendere fiato.
Lo avevo imitato, mettendomi nella sua stessa posizione, ma per riprendermi dallo sconvolgimento: sapevo che sarebbe successo, che avrei ucciso, tuttavia l'atto compiuto, così, sotto i miei occhi, mi dava un'orrenda sensazione di disgusto.
Eppure il suo sangue, che ora scorreva nelle mie vene, mi faceva sentire incredibilmente onnipotente.
Dannazione.
Avevo sentito la mano di Carter tornare a cercarmi, ma si era come irrigidita di colpo, rischiando quasi di spezzarmi la scapola.
"Che succ..." avevo fatto in tempo a pronunciare, quando una strana inquietudine mi aveva centrato come un tir a pieni giri.
Era una presenza. C'era QUALCUNO lì.
"Che cos'è?" Avevo chiesto, allarmato, non avendo mai provato niente di più angosciante in vita mia, neppure a seguito della scoperta della mia empatia.
"Dobbiamo andarcene subito." Era tutto quello che avevo ottenuto da Carter, che si era subito mosso verso dove avevamo parcheggiato la macchina.
Istintivamente, lo avevo seguito mentre tagliava per le vie traverse, evitando con cura la strada principale.
Una volta al sicuro all' interno della Land, lo avevo preso per un braccio, costringendolo a guardarmi.
"Carter...?" Gli avevo detto, in un tono che non ammetteva repliche. "Era uno di noi? Un altro vampiro?"
Il Nightcreeper mi aveva guardato indietro per una frazione di secondo, prima di rispondermi: "Sì. Niente di buono comunque. Forse..."
"Forse?" Lo avevo incalzato, sapendo che doveva esserci un motivo per quel suo bizzarro comportamento.
"Niente. Lascia perdere." Aveva terminato controvoglia, inserendo la retromarcia e sterzando a tutta velocità sulla strada verso casa.

NIGHTCREEPERS-i camminatori del buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora