Capitolo VI

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Al commissariato di Trapani ad aspettare Lo Cicero c'era l'ispettore Massimino. «Ispettore, ancora te la ricordi la strada per Trapani eh?». «Giovanni, ciao! Minchia quanto tempo... Come state? Tu, Francesca, le bambine...». «Bene Peppe, bene! E tu, ancora niente moglie eh? Vedi che stai diventando vecchio, i capiddi binchi c'hai!». Scoppiarono entrambi in una grassarisata che cercava di allontanare i discorsi a venire. «Giovanni, dov'è Giardina, è arrivato?». «Si, ti aspetta nel mio ufficio, vai pure, vi lascio da soli. Ho saputo del bordello che sta succedendo... se ci state lavorando tu e Infantino sono più tranquillo». 

Lo Cicero si congedò dal vecchio amico conosciuto ai tempi dei concorsi, salì al terzo piano del commissariato ed entrò nella stanza di Massimino. «Buon giorno maresciallo!». «Ossequi ispettore. Se ci vedono assieme, a me carabiniere e a lei poliziotto c'ammazzano» disse ridendo il maresciallo. «A noi nessuno c'ammazza Giardina! Spero abbia da darmi tante notizie, ho vomitato tre volte prima di arrivare a Trapani, marescià, abbiamo degli autisti che secondo me sono stati assoldati da cosa nostra per farmi morire» rise Lo Cicero. «Le notizie ce le ho, ma purtroppo non sono buone. Ho parlato con un paio di informatori e con qualche scanazzato vicino ai clan di Castelvetrano. Tutti mi hanno detto che sta per succedere qualcosa di grosso. Dicono che gli uomini di Messina Denaro si stanno preparando per rispondere ai palermitani e combattere la guerra. Bombe, bazooka, ispettò, qua le cose sono messe male, ma male per davvero. Dicono che per evitare blitz si sono divisi in decine di covi in cui nascondono armi ed esplosivi, e aspettano solo il via per passare all'attacco». «Chi lo deve dare il via?». «Non lo so ispettò. E' troppo poco che è morto Messina Denaro. Quel Cancemi che mi aveva segnalato, in effetti è in gioco, sta facendo dei movimenti strani. Ma ancora non sappiamo chi ci sia a capo della cosca, se sia lui, se sia un altro, naturalmente non si espongono per adesso. Quello che è sicuro è che mancano giorni, ore, forse minuti, e poi sapremo dove inizieranno e con chi, ma non potremo mai capire quando smetteranno. Loro iniziano, ispettore, ma non hanno idea di quello che succederà. I Palermitani sono più pericolosi dei corleonesi di Riina adesso, e questi di Trapani con i traffici di droga si sono arricchiti e hanno uomini e arsenali incalcolabili. Chissi fanno satari la Sicilia, ispettò, ma testa non ne hanno, non capiscono. Chi lo dice che i Palermitani non abbiano appoggi della 'ndrangheta o della camorra?». «Non sappiamo nient'altro? Non riusciamo ad arrestare nessuno per bloccare tutto? Per prendere tempo?». «No ispettore, niente, niente da fare. Gliel'ho detto. Questi si stanno organizzando e ci fanno capire di starne fuori. Tutti i nostri contatti c'hanno detto le stesse cose: "statevene fuori, questi sono affari nostri, è meglio per tutti"». «Va bene maresciallo, mi raccomando, mi faccia sapere ogni movimento, ogni piccolo dettaglio, anche se pensa che non serva a niente. Io torno subito a Palermo. Sentiamoci». 

L'ispettore strinse la mano al maresciallo Giardina e uscì dalla stanza. Durante il viaggio di ritorno dormì tutto il tempo, e fu la prima volta che non vomitò durante un tragitto in auto. Dormì e si svegliò solo per il rumore di un clacson che continuava a suonare dietro di lui, quando la macchina era ormai parcheggiata davanti alla questura. «Ma che minchia ci suona questo stronzo?» disse uno dei due uomini che lo aveva accompagnato a Trapani. «Fermi, fermi, lo conosco...» disse l'ispettore scocciato da tale risveglio. Scese dall'auto e si avvicinò al finestrino di quello che continuava a suonare. «Sempre tu sei che ci scassi la minchia, vero La Mattina?». «Ma che è, non si risponde più a telefono ispettore?». «No, a tia non ti rispondo. Siete la peggio razza». «Amunì, lo sai chi è stato. Quelli del Giornale di Sicilia li conosci pure tu». «Tutti uguali siete, tutti fango» disse Lo Cicero accennando ad un sorriso. Rino La Mattina era il cronista di nera dell'edizione locale di Repubblica. Durante la seconda guerra di mafia Lo Cicero e La Mattina praticamente vivevano assieme. Quando arrivava sul luogo dell'omicidio, c'era sempre La Mattina col suo minchia di block notes rosso che stressava il medico e i magistrati. Lo Cicero, sottovoce, gli faceva sempre qualche battuta per esorcizzare il momento. L'ispettore trattava sempre male il giornalista, perché era il suo costume, non poteva essere gentile con La Mattina. 

«Che vuoi La Mattina, che vuoi accamora?». «Notizie ispettò, notizie. Calabrese non parla, Infantino manco....». «E tu sei venuto dal coglione che invece ti risponde, vero La Mattì? Se avessi notizie da darti, te le darei. Siamo messi male, La Mattì, dobbiamo solo aspettare... aspetta puru tu! Buona notte La Mattì». Il giornalista rise e scosse la testa, accese l'auto e ripartì. Ormai era buio, e Lo Cicero prese la sua di auto per tornare a casa. Decise di fare sosta da sua madre, in Via dell'Autonomia Siciliana. Aveva 72 anni sua madre, Rosa, ed era vedova ormai da dieci. «Mamma apri, sono io» disse Lo Cicero al citofono. «Ciao Giuseppe, ma perché non telefoni prima, che ti devo fare mangiare ora? C'ho solo il minestrone, anticchia di pane...». «Mamma non ti preoccupare, va bene, che dici, apri o stiamo al citofono?». 

Cenarono assieme, mentre sua madre continuava a chiedergli come fosse finita con «quella Laura, quella della Procura». «Niente mamma, niente, è un'amica, veramente. Laura è un magistrato, è normale che ogni tanto ci vediamo. Non ti devo portare più nessuno a casa?». La rimproverò con tono affettuoso e lei capì che doveva cambiare discorso. «Ma tu c'entri nelle indagini di quello che hanno ammazzato a Santa Margherita?». «No mamma, tranquilla, e poi lo sai che non mi piace parlare di lavoro a casa, è l'unico momento in cui non ci penso tra l'altro...». «E va bene, basta, non ne parliamo più. Ma lo sai che a Santa Margherita ci siamo stati quando eri piccolo. Con papà ti abbiamo portato a vedere il palazzo, poi siamo andati pure alle terme, là vicino, a Montevago. Eri stregato dal Calvario però, da quella croce grande... eri convinto che là c'avevano crocefisso veramente a Gesù e tuo padre, per non farti rimanere male, ti raccontava tutta la storia. Ma dimmi, ti vuoi fermare qui stanotte?». «No mà, no, meglio di no. Torno a casa. Ho un po' di carte da mettere a posto, ti chiamo domani, va bene?». Lo Cicero, non appena ebbe finito il minestrone, salutò l'anziana madre con un bacio sulla fronte e si rimise in marcia verso casa, per le strade quasi deserte di una Palermo sudata, accaldata che di sera rilasciava in umidità il calore di tutta la giornata. Arrivò a casa, si tolse la cravatta e le scarpe e si buttò sul letto. Voleva dare un occhiata ai rapporti, alle ordinanze, ma il sonno questa volta ebbe la meglio e nemmeno la più strenua volontà potè opporsi.

Guerra di MafiaWhere stories live. Discover now