Capitolo VII

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Attaccò per bene i gemelli alle asole dei polsini della camicia azzurra con le iniziali ricamate in blu, «M.C.», e poi si dedicò alla cravatta. La sistemò, con un nodo perfetto, regale. Infilò le scarpe comprate il giorno prima dalla moglie in via Ruggero Settimo e si diresse in cucina dove c'era lei che lo aspettava. I figli studiavano tutti e due a Milano, alla Cattolica, e lui e sua moglie ormai vivevano da soli in quell'attico enorme nel cuore di Palermo, tra il Politeama e il Massimo. «Ma già cca sunnu chiddi della scorta?». «Ma non avevi detto che usavi la tua macchina per andare all'aeroporto?». «Infatti, ma non conto una minchia evidentemente». La moglie sorrise e gli passò la tazzina di caffè. 

Lo Cicero aveva un aspetto orribile. Aveva dormito letteralmente abbracciato ai documenti, e non appena si alzò corse subito in doccia. Acqua calda, bollente, per ammorbidire la pelle, i pensieri, le idee. Appoggiò entrambe le mani di fronte a se e rimase con la testa a penzoloni, col il getto bollente che gli massaggiava il collo. Cinque, dieci, quindici minuti. Non si curava del tempo. L'acqua scorreva ed era come se gli entrasse dalla testa e uscisse dai piedi, come se lo attraversasse nei muscoli, nelle vene, nei tessuti. Uscì fumante, coperto dall'asciugamano e si buttò sul divano a leggere alcune righe del rapporto su Vecchio che Infantino aveva consegnato a Calabrese e che aveva causato il «suicidio assistito» del mafioso. 

«A che ora iniziano le sedute oggi?» chiese la moglie mentre lui metteva le ultime cose nel trolley e nella 24 ore. «Alle undici, ma forse arrivo dopo, vediamo, prima devo vedere il presidente... Mi sta stancando fare avanti e indietro. Qua devo tornare, come all'inizio, qua a tenere sotto controllo tutto, perché mi sta scappando tutto di mano, perché senza di me fanno quello che gli pare. Fino a poco tempo fa, quando ero presidente della Regione, ti ricordi, qua era un via vai di pezzi grossi, di gente che contava». «Amunì dai, un ci pinsari, tirati su. Aspetta che ti aggiusto il colletto... vai...» disse la moglie mettendolo amorevolmente a posto. Prese i due bagagli, sotto braccio un cappottino leggerissimo, baciò la moglie e si chiuse la porta dietro le spalle. 

Lo Cicero era ormai pronto per andare al commissariato, raccolse alla rinfusa le carte sul divano e le buttò nella borsa di pelle marrone ormai logora. Fece le scale con calma, ristorato da quella doccia e del fatto che nessuno lo aveva svegliato nel cuore della notte per annunciargli omicidi e stragi. Un altro giorno senza che i Trapanesi agissero. Magari non avrebbero reagito, magari qualcuno di molto in alto aveva posto il veto, magari si tentava una riappacificazione dopo la terribile tempesta. Magari Messina Denaro era un morto necessario per ristabilire gli equilibri. Salì sulla sua auto e dopo qualche colpo a vuoto, mise in moto e partì. 

La scorta era già sotto casa con le auto in moto e i lampeggianti accesi. Chiarelli si avvicinò al capo scorta e gli disse che avrebbe preso la sua auto, per oggi. «Ma come onorevole, lo sa che...». «Ascuta a mia, oggi si fa così, se vuoi vieni con me, ma noi sulla mia macchina e loro dietro con le blindate, va bene? Mi sono stancato di questa vita di merda». «Come dice lei onorevole». L'esperto carabiniere capo scorta diede indicazioni agli altri componenti del gruppo che eseguirono gli ordini. Il corteo si mosse in direzione Punta Raisi, con l'intenzione di passare da viale Regione Siciliana, per eseguire i cambi di percorso che i militari avevano già comunicato in prefettura. 

L'auto di Lo Cicero proseguiva lentamente in mezzo al traffico delle otto, in mezzo alle bestemmie, in mezzo ai clacson. La spia della benzina era impietosamente rossa, fissa, senza esitazioni. C'era magari il rischio che si fermasse in mezzo a quel bordello, e li non ne sarebbe uscito vivo. I palermitani di mattina nel traffico sono peggio delle belve della savana. Vaglielo a spiegare che non hai fatto benzina perché dovevi combattere la mafia. Vide in lontananza un distributore di carburante e mise la freccia nel sovraumano tentativo di cambiare corsia. Dopo qualche vaffanculo e qualche santo che si era sacrificato facendolo passare e beccandosi cori da stadio riuscì ad entrare nello spiazzo. Scese dall'auto e svitò il tappo del serbatoio. In lontananza l'ispettore sentiva delle sirene che si avvicinavano e le auto che piano piano si dividevano per lasciare strada. 

«Onorevole che devo dire in centrale? Quando torneremo a prenderla?». «Non lo so, chiamerò io, non ti preoccupare. Tu porta indietro questa macchina e lasciamela in garage, hai il telecomando per aprire». «Va bene, mamma mia che traffico... onorevole, forse è meglio che lascia passare l'auto della scorta così ci fa strada...». 

Venti euro potevano bastare, mica doveva andare lontano. Estrasse la pistola e cominciò a rifornire. Uno, due, tre, dieci euro. Guardava le rotelle dei numeri che giravano lente. Il carburante entrava nel serbatoio e Lo Cicero guardava ancora le cifre dei litri girare e rallentare. Era quasi arrivato a rifornire quindici euro quando un boato enorme lo scaraventò per terra, mentre anche l'auto fu spostata di qualche metro verso di lui. La pompa spruzzava carburante all'impazzata e una nube di fumo in un attimo ammorbò l'aria e nulla si riusciva più scorgere. Lo Cicero rotolò lanciato dallo scoppio e si nascose dietro l'auto mentre dal cielo piovevano detriti e pezzi di lamiera incandescenti. Non aveva ferite, ma era completamente circondato dal fumo, sentiva gli allarmi delle auto suonare, gente che urlava, qualcuno piangeva. Sempre più in lontananza, come se qualcuno stesse lentamente abbassando il volume del sonoro. 

La sigla del Tg interruppe Uno Mattina e il giornalista apparse sorpreso lui stesso, senza cravatta e in maniche di camicia. «Scusate l'interruzione, questa è un'edizione straordinaria per informarvi di una grave esplosione a Palermo, nei pressi del carcere Pagliarelli. Non si ancora cosa sia successo, sono state coinvolte una decina di auto, e alcune delle quali, a quanto ci dicono, sono state sbalzate a diversi metri. In quel momento la strada era affollatissima e i soccorritori stanno cercando di estrarre i feriti mentre i pompieri hanno già spento in numerosi incendi che stavano circondando le auto. Riprenderemo la linea non appena avremo altre novità dai corrispondenti in Sicilia, la linea torna ad Uno Mattina». In studio chiddi erano rimasti interdetti. Cucuzza aveva ripreso la linea ma continuava a guardare in regia per capire che minchia doveva fare. «Vai avanti, vai avanti» facevano quelli tranquilli.

«Mimmo Chiarelli. Era lui l'obiettivo della strage di Viale Regione Siciliana. Dalle prime notizie che giungono in redazione il senatore sarebbe deceduto sul colpo assieme al caposcorta che viaggiava stranamente con lui, in un auto non blindata di proprietà dell'onorevole. Moltissimi i feriti tra i conducenti delle decine di altre automobili che viaggiavano accanto all'auto del parlamentare. Il conto delle vittime però dovrebbe fermarsi a due. Pare che la violenza dell'esplosione abbia scaraventato in aria l'auto di Chiarelli. La memoria torna alle grandi stragi di mafia, alle stragi di Capaci e via D'Amelio, anche se l'obiettivo dell'esplosione stavolta è stato un politico molto chiacchierato per le sue frequentazioni e imputato più volte in processi di mafia, uno dei quali concluso con una condanna a cinque anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Da Palermo per adesso è tutto, riprenderemo la linea nel caso ci fossero ulteriori sviluppi. Ricordiamo che le vittime, per adesso, sono l'onorevole Chiarelli e il suo caposcorta».  

Guerra di MafiaWhere stories live. Discover now