«Ma che cazzo vuol dire dottore, che minchia vuol dire?». Infantino era furioso e buttò sul tavolo del giudice Calabrese una copia del Giornale di Sicilia del giorno. «Infantino si calmi o la sbatto fuori!» tuonò Calabrese. «Faccia quello che vuole ma mi deve spiegare come minchia è possibile che qua c'è scritto "Omicidio Messina Denaro, Calogero Vecchio parla con i giudici"! In tre lo sapevamo porca buttana, in tre, chi minchia lo ha detto ai giornalisti?». «Infantino come si permette! Si calmi subito. Non ne so niente. Come si permette ad insinuare queste baggianate su di me?». «Dottore, non insinuo niente, io rischio la vita e la faccio rischiare ai miei uomini, e poi succedono queste minchiate, che dobbiamo fare? Come minchia è successo? A quello lo ammazzano nel giro di cinque minuti, e non i Palermitani, ma i Trapanesi stessi. Chi lo ha detto ai giornali?». «Infantino ma che pensa che a me fa comodo perdere Vecchio? Che cazzo ci guadagno da questa fuga di notizie? Il suo rapporto è in cassaforte e nel mio ufficio non ci mette piede manco Gesù Cristo, piuttosto guardi al suo lato». «Duttò al mio lato c'è solo Lo Cicero che è una garanzia. Qua bisogna scoprire chi cazzo è stato, rischiamo di farla scoppiare noi la guerra di mafia. Lei si dia fare, io e Lo Cicero dobbiamo correre al Pagliarelli e fare trasferire immediatamente Vecchio... faccia mandare dal ministro al direttore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria una ordinanza immediata di trasferimento, quelli lo scannano».
Lo Cicero aspettava in macchina il commissario e con i polpastrelli batteva il ritmo sullo sterzo, sempre più veloce, fino a battere con forza i palmi delle mani. Prese un'altra copia del giornale che Infantino aveva lasciato sul dietro e la scaraventò sul sedile prendendolo a pugni. Nel frattempò arrivò Infantino. «Lo Cicero per favore, almeno tu stai calmo. Manteniamo la calma. Dobbiamo correre al Pagliarelli, vola!». Erano solo le otto del mattino e la giornata di Lo Cicero era già infuocata. Il commissario lo aveva svegliato all'alba per dirgli che era uscita la notizia. Infantino mentre Lo Cicero montava il lampeggiante e faceva manovra per uscire dal parcheggio prese il cellulare e chiamò il direttore del Pagliarelli. «Direttore mandi subito a prendere Vecchio, non mandatelo da nessuna parte, lo porti nel suo ufficio e lo guardi a vista personalmente, in fretta direttore, non faccia queste domande della minchia, corra» urlò Infantino. «Corri Lo Cicero, corri che a questo lo ammazzano». «Duttù non ci posso andare più forte di così. Ora che facciamo? Dove lo mandiamo Vecchio? Questo non ci dirà più una parola, era l'unica chiave che avevamo per trasiri in questo bordello». «Non lo so Lo Cicero, non so più manco di chi fidarmi. La notizia alla stampa non gli è arrivata dalla Procura, è impossibile...». Arrivarono in cinque minuti e ad aspettarli c'era il direttore del carcere che li accolse scuotendo la testa. «Troppo tardi Commissario». «Che cazzo vuol dire?» urlò Infantino. «Che s'è ammazzato da solo, e non urli con me perché io in questo bordello non c'entro niente, e manco ci vogghiu trasiri, sia chiaro». «Ma come cazzo è successo... stava al 41 bis porca buttana... dove l'hanno trovato?». «Nelle docce, s'è impiccato da solo, con il laccio dell'accappatoio». «Figghi di buttana, io li prendo per i coglioni quei giornalisti di merda, sciacalli senza un minchia di rimorso». «No commissario, qua il problema è un altro. So anch'io della notizia, ho preso stamattina il giornale prestissimo, come al solito. Ma qua i giornali ancora non sono arrivati. Sono le otto e mezza. I giornali arrivano alle nove». «Fateci vedere Vecchio, subito» disse Infantino, ordinando a Lo Cicero di seguirlo.
Percorsero velocemente i corridoi tra le celle dei detenuti accompagnati dal direttore e da un secondino che apriva i cancelli dei vari settori. Dalle celle i detenuti gridavano insulti contro Vecchio. «Con i coglioni in bocca doveva morire», «Bene hanno fatto ad ammazzarlo quell'infame di merda». Affrettarono il passo verso i locali delle docce, dove ad attenderli c'era il medico del carcere. Vecchio penzolava da uno dei tubi che portava l'acqua alle docce. Era magro e il tubo aveva potuto sostenere il suo peso. «Non s'è ammazzato» sussurrò Lo Cicero. Il direttore lo sentì: «Commissario, spieghi al suo collega che è fin troppo chiara la dinamica, come è chiaro chi lo ha raccontato ai giornali». Lo Cicero fece per afferrare la cravatta del direttore ma fu frenato da Infantino che gli lesse nel pensiero. «Ma che cazzo sta dicendo» urlò l'ispettore. «Calmati Lo Cicero, calmati, e lei la smetta di dire minchiate, che solo dei geni potevano lasciare tenere ad un boss un accappatoio con il laccio, ma di questo ne parlerà alla commissione del Dap, non si preoccupi, farò in modo che la convochino al più presto» disse minaccioso Infantino.
A spezzare la tensione che era arrivata alle stelle arrivò correndo il dottore Francisci. «Buon giorno commissario, ciao ispettore. Ma che sta succedendo qui?». «Niente, niente, Lo Cicero è un po' nervoso». «Nervoso la minchia, commissario». «Lo Cicero, per cortesia» urlò Infantino. «Calogero Vecchio, 52 anni, ergastolano. Lo hanno mandato al padre eterno prima del tempo. Ho letto i giornali che lo davano pentito, stamattina. Ha anticipato la sentenza che gli altri avrebbero eseguito. Che cervelli raffinati però... gli hanno fatto arrivare la notizia che sui giornali era dato come pentito per farlo ammazzare da solo, per evitare di agire...» disse Francisci dando un'occhiata veloce al cadavere del boss. Mentre il medico osservava il corpo di Vecchio, Infantino e Lo Cicero lo seguivano in silenzio cercando di capire. «Non ho molti dubbi. Nessun segno di violenza, nessun ematoma sulle braccia e sul corpo. Gli faremo l'autopsia, ma sembra un suicidio, commissario. Lo Cicero, tu non sei convinto, vero?». «Ma come ha fatto a sapere della notizia se qua i giornali manco sono arrivati e se la doccia quelli al 41 bis la fanno da soli?». «Ah, questo non lo so ispettore, quello che so è che al 99% questo si è ammazzato, e, forse gli è finita pure meglio rispetto a come lo avrebbero ridotto gli altri».
Nel frattempo un secondino li informò che tutti i telegiornali, regionali e nazionali stavano dando la notizia del suicidio «del pentito che spiegava agli inquirenti l'omicidio Messina Denaro». Lo Cicero e Infantino andarono subito via per evitare le telecamere, mentre Francisci gli disse che nel pomeriggio avrebbero avuto il referto, a tempo record vista la delicatezza della situazione. Uscirono dal carcere più velocemente di come c'erano entrati. «Commissà, chi è stato?». «Lo Cicero... si è ammazzato...». «No, a dirgli dei giornali... commissà, glielo hanno detto così Vecchio si sarebbe ammazzato da solo, ha ragione Francisci...». «Non ho idea Lo Cicero, è tutto un grande bordello, vorrei tanto capirci qualcosa. Torniamo in commissariato, tu vedi di sentire i nostri informatori, se serve prenditi due uomini e vattene a Trapani, a Castelvetrano, vedi cosa scopri di questo Cancemi e degli amici suoi. Io torno da Calabrese, mi deve delle spiegazioni».
Il cellulare dell'ispettore nel frattempo continuava a suonare. Erano i giornalisti, e l'ispettore non aveva alcuna voglia di rispondere. «Pronto? Sentite, per cortesia, stiamo lavorando... vi faremo sapere, abbiate pazienza». Giunto al commissariato, dopo qualche ora telefonò alla stazione dei Carabinieri di Castelvetrano, piccolo centro nel Belicino, feudo dei Messina Denaro. Il maresciallo non voleva parlare. «Ispettore, ascolti, è meglio che ci vediamo, ma non qui. Venga a Trapani, alle tre ci vediamo al commissariato». Se il maresciallo Giardina voleva vederlo, di certo sapeva qualcosa. Lo Cicero avvertì due poliziotti di prepararsi perché alle tre dovevano essere a Trapani. Aveva poco tempo, e scartò il panino con le panelle che aveva comprato tornando dal Pagliarelli. Ormai era freddo e pieno d'olio. «Megghiu u vilenu quand'è freddo» disse alla poliziotta del centralino, che rispose con un sorriso imbarazzato. In effetti la sua ironia in quel momento c'entrava come i cavoli a colazione. I due poliziotti gli dissero di essere pronti e Lo Cicero li seguì in auto, alla volta di Trapani. L'auto, veloce, lasciato Palermo passava in mezzo ad un territorio arso dal sole di giugno, scarso di vegetazione, selvaggio e asfissiante. Immaginava di essere in ogni scorcio che vedeva. Ora sulla roccia che gli appariva davanti, ora sulla breccia aperta in una piccola montagna, ora nell'atrio di quel podere alla sua sinistra. I poliziotti parlavano delle loro minchiate, della moglie che stava tutto il giorno dalla madre e che non faceva i lavori di casa, della moto che l'altro si era comprato a prezzo scontato grazie ad una conoscenza. Non gliene fotteva niente. Da un momento all'altro poteva scoppiare la guerra civile, ma a loro non riguardava. Lo Cicero li guardava e li stava a sentire con compassione.
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Guerra di Mafia
Mystery / ThrillerIn un casolare viene ritrovato il corpo martoriato del Capo dei Capi di Cosa Nostra. Un omicidio che fa saltare equilibri e patti, che scatena una nuova, violentissima guerra di mafia. E un ispettore atipico, sociopatico e scorbutico che, per le vie...