Certo che sconvolti lo erano tutti e due. Lo Cicero ancora non ci credeva a quella notizia, al fatto che probabilmente Calabrese aveva avuto un ruolo nel suicidio del boss. Che probabilmente era colluso, che agiva per conto di qualcuno, al soldo della mafia magari. Ci stava male, minchia certo, mica poteva starci bene. Ma a farlo stare di merda era il pensiero di come stesse in quel momento Infantino. Lui e Calabrese lavoravano assieme da una vita. Quando si erano conosciuti Calabrese era alle prime armi come uditore giudiziario e Infantino aveva appena vinto il concorso da commissario. Ma però si erano sempre dati del lei. Per rispetto, mica per distacco. Come si doveva sentire Infantino ora? Un minchione raggirato? Un fallito? Uno che non sapeva distinguere uno onesto da uno colluso?
Ora a Lo Cicero tutto era più chiaro. Tanti fatti, dal 1993 ad ora erano più chiari. Non gli era quadrato il discorso quando avevano catturato a Totò Riina, il 15 gennaio del 1993. Gli uomini del Ros lo avevano acchiappato in un villino di Palermo, in via Bernini. Quello viveva la, tranquillo con moglie e figli, e nessuno gli aveva mai scassato la minchia. La casa era di un ingegnere di Santa Margherita, tale Montalbano. Questo Montalbano era un imprenditore ricchissimo, dove lui passava faceva ponti d'oro. Ma se tu lo vedevi pareva un viddano. Lui era figlio di un vecchio dirigente del Pci, che aveva persino scritto un manuale antimafia. Peccato che pure il padre poi era stato indagato da Giovanni Falcone per fatti di mafia.
Quando acchiapparono Riina, non appena gli misero le manette ai polsi, il comandante Ultimo, responsabile dell'operazione dei Carabinieri, diede ordine di staccare le telecamere nella zona, di raccogliere baracche e burattini e di andarsene in centrale a festeggiare. Manco una perquisizione nel covo di Riina, manco un tinto sguardo, niente. Ordini dall'alto disse durante il processo per favoreggiamento alla mafia. «Amuninni tutti a casa». Allora questo Ultimo per l'appunto fu processato e si giustificò: «che minchia volete che tenesse Riina dove viveva con la famiglia?». E magari uno ci credeva a Ultimo, che della caccia ai mafiosi era uno specialista. Però pochi minuti dopo gli uomini dei Corleonesi avevano pittato tutta la casa e bruciato in giardino dei documenti che avevano trovato in una cassaforte. Ma quanti minchia di mafiosi arrestavano se aspettavano? Li prendevano proprio nel villino! E invece niente. Pare che l'ordine fosse partito proprio da Calabrese. Era lui che coordinava le indagini sulla bestie delle bestie corleonese. Pare che fu lui. Certo, mai nessuno lo accusò. I carabinieri dissero che era stata una loro scelta, e si erano accollati infamie e processi. Con la minchia una loro scelta.
Fatto sta che per colpa loro andarono perse impronte, documenti e quant'altro. Lo Cicero era sicuro che quella era stata una patta vera e propria. L'avevano fottuto a Totò, grazie a Provenzano, a patto che si fermassero lì. Noi vi diamo a Riina, così finiscono stragi e quant'altro. Ma voi non ci scassate più la minchia. E così era andata, Lo Cicero ne era sicuro. Pare che Calabrese se ne fosse sempre lavato le mani su quell'operazione disgraziata. Pubblicamente aveva detto che era stato un errore non perquisire. E pareva serio. E allora che dubbi dovevano venire ad Infantino? Quello ce l'aveva con gli sbirri, con Mori, con Ultimo. Erano loro che avevano mandato tutto a buttane, che c'entra Calabrese. Troppe coincidenze, troppi punti oscuri.
La stessa cosa l'avevano fatta nel 1995. Avevano costituito un gruppo del Ros dei Carabinieri che indagava solo ed esclusivamente per catturare Bernardo Provenzano, che aveva preso il posto di Totò nella gerarchia mafiosa. A guidarlo tra gli altri c'era un certo colonnello Riccio. Chi coordinava le indagini? Lui, Calabrese. Un pentito, cioè, uno che voleva pentirsi, aveva detto proprio a Riccio di quel summit cui doveva partecipare proprio Binnu u tratturi, in una masseria di Mezzojuso, nelle campagne palermitane. Ilarda, questo il nome del pentito, avrebbe partecipato e aggiornato in tempo reale Riccio, che lo avrebbe attesto con la squadra poco distante.
Minchia quel giorno Lo Cicero lo ricordava bene. Era il 31 ottobre 1995. Dopo questa rivelazione Ilarda fu ammazzato, con un agguato ancora oggi misterioso. Ammazzato lui, fatto ammazzare Vecchio. Quel giorno Provenzano era a pochi passi dai carabinieri. Niente, arrivò l'ordine di non intervenire pur avendo la certezza che Provenzano fosse lì. E ciao ciao cattura di Binnu.
Più ricordava, più si spremeva la testa e più alcuni particolari, alcuni ricordi davano validità alla teoria di Intravaia: Calabrese era un venduto, un colluso, uno della peggio razza. Oltre al monitoraggio delle conversazioni, Intravaia aveva ordinato anche delle indagini patrimoniali. Beni immobili, depositi, investimenti, conti correnti dei familiari. Se il pubblico ministero stava facendo questo quello su Calabrese non era più un sospetto, e Lo Cicero doveva trovare il coraggio di ammettere che quel magistrato li aveva sempre fottuti.
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Guerra di Mafia
Mystery / ThrillerIn un casolare viene ritrovato il corpo martoriato del Capo dei Capi di Cosa Nostra. Un omicidio che fa saltare equilibri e patti, che scatena una nuova, violentissima guerra di mafia. E un ispettore atipico, sociopatico e scorbutico che, per le vie...