Pagine Rubate: Questione Di Potere

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- Dimmi di più - disse Alec,
camminando avanti e indietro sul
pavimento asfaltato della stazione
abbandonata di City Hall. - Ho
bisogno di sapere.

Camille guardava il ragazzo di
fronte a sé. Era adagiata sopra il
divano scarlatto con cui aveva
arredato il piccolo spazio; era
rivestito di un velluto morbido, ma
consumato in vari punti.

Non certo il mobile più raffinato che
avesse mai visto, e una stazione di
transito sotto Manhattan non era esattamente all'altezza del suo
monolocale a Parigi, della palazzina
di Amsterdam o della grande tenuta
sul fiume, vicino a San Pietroburgo,
che ormai ricordava solo vagamente.

- Sapere di più a che proposito?
- chiese, pur conoscendo perfettamente la risposta.

- Magnus - rispose Alec. Teneva
in mano una pietra di stregaluce
distrattamente, come si fosse
dimenticato della sua presenza.
Proprio tipico dei Nephilim, che
davano per scontati i poteri conferiti
dall'Angelo e la magia che scorreva
nel loro sangue. La pietra proiettava la sua luce verso l'alto, mettendo in
evidenza le superfici piane e gli
angoli del viso di Alec. - Non
vuole parlare con me del suo
passato, e questo non lo sopporto.
Non sopporto di non sapere.

Lei lo osservava. Era pallido come
la neve, i suoi occhi di un azzurro
incredibile contro la pelle così
bianca e i capelli e le ciglia neri.
Aveva le gambe lunghe, era
affusolato come il ramo di un salice
ma al tempo stesso robusto: un
ragazzo molto carino, persino per
lei, che quando guardava gli umani
vedeva mortalità e decomposizione.
- Potresti doverlo sopportare - gli
disse, cercando di non tradire noia
nella voce. - Se Magnus non ha
ancora condiviso con te i suoi
segreti, magari ha scelto di non farlo
mai. Potresti trovarti ad avere lui e i
suoi segreti, insieme, o niente del
tutto.

- Ma con te i suoi segreti li ha
condivisi.
Camille scrollò appena le spalle. -
Noi ci conoscevamo da molto
tempo.
Avevo tanto tempo da dedicargli e
tanto tempo per guadagnarmi la sua fiducia. È un peccato che tu non ce
l'abbia. Anche gli Shadowhunters
che non muoiono giovani vivono per
un tempo così breve, come tutti i
mortali... - Sorrise, avvertendo il
contatto tagliente dei suoi canini
sopra il labbro inferiore. Aveva
fame. Pensò a quel ragazzo, alle
pulsazioni nel suo collo che
acceleravano quando parlava, agli
occhi che si spalancavano. Si chiese
se avrebbe pianto. Le lacrime umane
erano salate, come il loro sangue.
Ma lui non pianse. Notò che il volto
gli si era indurito e riconobbe, nella
posizione della mandibola, un
barlume dei suoi antenati. - Chi è suo padre? - le chiese.

Lei lasciò cadere la testa all'indietro
sul divano. - E perché dovrei
dirtelo?
- Perché tu vuoi che uccida
Raphael - le rispose. - E perché
potrei renderti la vita davvero
spiacevole, se volessi. - Sollevò la
stregaluce, i cui raggi bianchi e
freddi si allargarono per la stanza.
Allora si ricordava di averla in
mano, in realtà.

Camille si mise dritta sulla schiena,
tirando i capelli all'indietro. -
Questa è l'ultima volta, Alexander. Poi non dirò più una parola finché
non verrai da me con il sangue di
Raphael sulle mani e il suo cuore
legato a una catenina che io possa
indossare.
Alec deglutì. - Dimmelo. Dimmi
dove è nato e chi è suo padre.
- Ora la chiameresti Indonesia -
esordì Camille. - Ma quando
nacque lui erano le Indie Orientali
Olandesi. Sua madre era di sangue
misto, padre bianco e madre
indonesiana. Suo padre era un
principe dell'Inferno. Conosci i
principi dell'Inferno, viso d'angelo?
La pelle bianca come neve di Alec
diventò ancora più pallida. - Certo
che sì
- rispose irrigidendosi. - Sono
uno Shadowhunter. Ma loro sono...
creature mitiche. I più grandi angeli
del Paradiso sono diventati i più
grandi principi dell'Inferno. E il più
grande di tutti loro è... Lucifero. -
Trattenne il fiato. - Non starai
dicendo che...
Il corpo di Camille venne scosso da
una risata. - Che il padre di
Magnus è il Portatore di Luce? La
Stella del Mattino? Certo che no! - Però è un principe dell'Inferno.
- Questo dovrai chiederlo a
Magnus di persona - disse Camille
mentre giocherellava con una
nappina appesa al bracciolo del
divano.

- Magari non te l'ha mai detto -
ribatté Alec. - Ti amava abbastanza
per dirtelo? Tu lo amavi?
- Lui mi amava - ribatté Camille,
pensierosa. - Io no. Gli ero
affezionata, ma non l'ho mai amato.
Non in quel senso. - Si spostò,
nervosa. - Mi sono stancata di
raccontarti queste cose, piccolo Shadowhunter, specialmente dal
momento che tu mi sei servito così
poco.
Le guance di Alec si accesero del
colore dei garofani pallidi. Camille
intuiva, dalla tensione nel magro
corpo di lui, che stava trattenendo al
tempo stesso rabbia e vergogna:
aveva bisogno di lei, pensava
compiacendosi, per soddisfare la
curiosità che lo consumava,
alimentata dalla paura. Sì, quel
ragazzo aveva bisogno di lei come
lei del sangue.
- Un'ultima cosa - le disse con
voce profonda. - Un'ultima cosa e ti lascerò stare.
Camille sollevò le sopracciglia.
- Sono diverso? - disse Alec. -
Nel modo in cui lui mi ama, c'è
qualcosa di diverso rispetto a come
amava prima?
Lei lasciò che le labbra le si
incurvassero lentamente in un
sorriso. - La risposta a questa
domanda, Alexander, ti costerà.
- Costarmi cosa? Cos'altro?
C'era dolore nella sua voce.
- Sangue - rispose.
Fra loro si estese un lungo silenzio.
Finalmente, in tono incredulo, lui
disse: -
Vuoi bere il mio sangue?
Lei soffocò una risata. - Sai quanto
tempo è passato dall'ultima volta
che ho bevuto sangue da un
volontario umano? E il sangue di
Shadowhunter possiede delle
speciali proprietà. Non tutti siete
come il vostro Jace, ovviamente, che
porta nelle vene la luce del giorno.
Eppure... sarebbe una vendemmia
di qualità inusuale.
Il rossore sulle guance di lui si fece
più intenso. La stava fissando,
appoggiata contro il velluto del
divano, gli occhi semichiusi.

Camille sapeva che la sua bellezza
non poteva accendere né tentare quel
ragazzo, ma non importava. La
bellezza era potere, ma c'erano
anche altri generi di potere.
Così vicina ad Alec, riusciva ad
avvertire il suo profumo: colonia al
sandalo, freddo invernale, il
caratteristico odore pungente della
paura umana. E loro erano umani,
gli Shadowhunters. Sotto tutto
quanto, pur sempre umani, in preda
a emozioni umane, a debolezze umane, a paure umane, per quanto
credessero di essere speciali.
- Molto bene - rispose Alec. -
Solo questa volta.
Lei lo osservava da sotto palpebre
socchiuse che celavano il suo
trionfo, il debole tremore delle dita
che raggiungevano il polsino della
camicia e mettevano a nudo il polso
sinistro, lui che le offriva la pelle
nuda e indifesa.

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