Capitolo ventisei.

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Denise.

Nonostante erano passate solo poche ore dal parto e nonostante mi fossi riposata davvero poco, mi sentivo già in forma e dovevo ringraziare solamente Jonatan.

Nei pochi mesi che avevo passato qua assieme a lui mi aveva allenato sotto uno sforzo grandissimo, soprattutto per una donna incinta. Mi aveva accennato al fatto che volesse fare al meglio per rendermi non solo un'eccellente Alfa ma anche per far si che non appena mi fossi trasformata in mutaforma avrei saputo gestire al meglio la situazione. Mi aveva lasciato un foglio - o anche più di uno, dove mi aveva scritto nel dettaglio tutti gli allenamenti da fare con una tabella super precisa, ed anche dopo la sua morte avevo continuato a seguirla. Solo ora avevo capito benissimo quanto aveva funzionato, mi aveva potenziato non solo a livello fisico ma anche a livello di resistenza e di ripresa, mi ero ripresa in modo incredibile dopo uno sforzo incredibile ed ero davvero felice di ciò.

Andai immediatamente dai bambini assicurandomi che stessero bene e gli preparai il pranzo, sistemai velocemente la casa prima di sentir il bambino di nuovo piangere. Corsi così da lui allattandolo.

Osservai il bambino in ogni suo dettaglio mentre gli davo da mangiare mi resi conto di non averli dato ancora un nome, e più ci pensavo e meno me ne venivano in mente. Decisi così di lasciare perdere, non avevo alcuna furia nel decidere il nome, gli sarebbe rimasto tutta la vita e nessuno mi correva dietro. Non avevo avuto tempo in questi nove mesi per pensare davvero al bambino, non mi ero nemmeno preoccupata se fosse maschio o femmina, non avevo una preferenza e non avevo nessuna idea su che nome darli.
Osservai quanto fosse bello, nonostante fosse appena nato, con i suoi occhioni color ghiaccio ed i capelli già tanti e scuri.

In quel momento di pace, dove si potevano sentire solamente i rumori del bosco e dei due gemelli che giocavano, un rumore improvviso mi fece sobbalzare.

Tutto fu molto veloce, nascosi immediatamente il neonato fra le lenzuola pregando il cielo che non piangesse. Ero letteralmente terrorizzata nel veder la porta spalancarsi, perfino i due bambini erano spaventati.

Il forte rumore proveniva dalla porta che stava per essere scassinata, avevo di gran lunga sottovalutato i due gemelli che, senza professar parola e senza nemmeno guardarmi si alzarono di corsa e prendendo il neonato che avevo nascosto fra le lenzuola corsero nell'altra stanza. Jonatan li aveva cresciuti bene, erano molto furbi ed intelligenti. Tirai un sospiro di sollievo, sapendoli nell'altra stanza potevo star tranquilla almeno in parte, non poteva essere Drew, non avrebbe mai agito in tale maniera sapendo di spaventarci a morte. Non avevo idea di chi fosse, ma ero pronta a lottare fino alla morte per proteggere i tre bambini che erano di là, uno sguardo rivolto verso il soffitto per ringraziare Jonatan ed i suoi allenamenti, non ero in forma perfetta, certo, ma almeno potevo affrontare un combattimento senza essere sbattuta immediatamente al suolo. Chi poteva essere ad agir così? Drew non poteva aver nemici, era troppo furbo per mettersi contro chiunque, nonostante il suo caratteraccio.

Quando la porta si spalancò il mio cuore si fermò letteralmente, sentii le gambe tremare e la forza farsi sempre meno, di tutto mi sarei aspettata... ma non loro. Non qua, non davanti a me.

Non mi stupii solo nel vederli tutti e cinque davanti a me, ma mi stupii nel non aver sentito nuovamente il legame con Derek... come avevo fatto ad esser così stupida?
Ma se non lo avevo sentito, era sicuramente per il parto ed il bambino appena nato, ero concentrata solo su quello, non su altro.

Le labbra si seccarono assieme alla gola, mentre gli occhi si gonfiavano di lacrime, sentii in un colpo solo tutte le emozioni come un pugno quando meno te lo aspetti proprio sulla bocca dello stomaco.

Senso di colpa.
Tristezza.
Vergogna.
Ansia.
Nervoso.
Odio verso se stessi.
Paura.
Terrore.

Sentivo di nuovo tutto come sentivo immediatamente nove mesi fa, mi ricordai ogni lacrima versata, e pensavo di non reggere. Mi lasciai cadere a terra, senza pensarci, con gli occhi puntati sui cinque ragazzi che avevo lasciato senza nemmeno salutare, senza avvisare e senza risposte, erano più terrorizzati di me.

«Denise...» – Spalancai gli occhi dallo stupore nel vedere che fosse Tyler il primo a parlare, Peter e Derek erano rimasti... fermi? «Che hai combinato?» – Solo un'altra volta avevo sentito la voce spezzata di Tyler e le lacrime nei suoi occhi, e fu il giorno in cui morì Talia, mi stupii nel vederlo di nuovo così guardandomi.
«Perché sei scappata?» – Era la voce dura di Aiden a parlare. Non sapevano ancora nulla? Abbassai il viso e lui si ammutolì.
«Siamo un branco e... un branco risolve sempre tutto, non dovevi scappare. Noi eravamo con te, avresti dovuto raccontar...» – Il discorso di Ethan fu brutalmente interrotto da Peter. La sua voce era più gelata del solito, più fredda ed autoritaria, almeno da come la ricordavo.
«Uscite tutti per favore, rimanga solo Derek. Non è il momento di perderci in chiacchiere, avremmo tutto il tempo del mondo per parlare di questa situazione, ora... uscite, e setacciate il perimetro, assicuratevi che non ci siano pericoli.»

I tre ragazzi obbedirono senza fiatare, la situazione era molto delicata e c'erano troppe cose di cui parlare, ma io non avevo la forza di dir nulla. Quando uscirono, però, mi sentii grata a Peter, non sarei riuscita nemmeno ad alzare lo sguardo con loro lì.

Osservai i due uomini di fronte a me; Derek era molto cresciuto, non solo era dimagrito e tanto anche, ma aveva messo su molti muscoli, lo stesso valeva per Peter, li avevo trovati più uomini di quanto non fossero già stati.

Non so dove esattamente trovai la forza, ma in qualche modo la voce uscii dalle mie labbra.

«Sono stata una stronza, su tutti i campi. Sono stata menefreghista, immagino quanto voi vi siate preoccupati, quanto tempo avete sprecato a cercarmi ovunque, non dovevo comportarmi così nei confronti della mia famiglia, ma ero terrorizzata, spaventata e... mi sentivo in colpa, tutto quel che facevo mi sembrava sbagliato per qualcuno, qualunque cosa facessi sembrava sbagliata. Ero in mezzo a più fuochi ed ogni volta che provavo a trovare una via d'uscita mi bruciavo.» – L'amarezza nel raccontare tutto ciò, come bere un caffè con del sale, la nausea. Non mi ero mai resa davvero conto di quanto la mia vita fosse stata rovinata, da una semplice lettera.
«Denise.» – Fu la voce dura di Peter a parlare, incontrai per la prima volta i suoi occhi e mi sentì sprofondare in quel mare. Avevo tolto ad un padre suo figlio e viceversa, cosa mi era saltato in mente?
«Non dovevo farti questo... è stato un colpo veramente... basso.» – Mi morsi violentemente il labbro.
«Scusa.» – Alzai un sopracciglio sorpresa nel sentire quella risposta.
«Scusa?» – Ripetei a voce bassa.
«Sì. Io dovevo aiutarti e proteggerti, invece ti ho solo incasinata ed ho cercato di metterti contro Derek. Non dovevo. Scusami.»

Il filo rosso del destino. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora