The Cage.

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Michael si passò velocemente la mano sotto le guance per asciugarsi le lacrime; non sapeva per quale motivo quella ragazza lo stesse fissando, cosi si immaginò che le lacrime potessero essere un buon motivo.

«Tieni.» fece la ragazza.

«Che vuoi? Che ci fai qui nella mia aula?» chiese acidamente il ragazzo mettendosi in piedi.

«Ah, io, novellino? Cosa ci fai tu qui, piuttosto.» controbatté. «Questa aula è la mia aula segreta dal primo anno, ci passo quasi tutti i break qui su.» spiegò poi.

«Beh, ieri non c'eri. E nemmeno stamattina presto, quindi pensavo fosse vuota. Vuoi sfrattarmi?» farfugliò con una punta di malizia.

«Non che questa sia casa tua.» mormorò la ragazza.

Michael prese le sue cose e fece per andarsene. Si fermò sulla soglia della porta, per rispondere a quella affermazione.

«Non hai idea di quanto tu di stia sbagliando.» sentenziò con un tono un po' più alto di un'ottava. «Non ne hai idea quanto.» urlò e la sua voce inspessita dall'accento australiano rimbombò nella stanza e nella testa della ragazza.

Alex rimase seduta sulla cattedra, con il telefono tra le mani. Ebbe l'impulso di scaraventarlo via per sfogo, ma si ricordò che di certo non poteva comprarsene uno nuovo. Cacciò un urlo rabbioso e si affacciò alla finestra, dove quel ragazzo di cui ancora non sapeva il nome si era messo a fumare. Aveva qualcosa di Gerard Way nel modo in cui la sigaretta lasciava la sua bocca stretta tra l'indice e il medio della mano tesa.

Michael scese le scale quasi di corsa, la felpa nera stretta nel pugno che aveva continuato a urtare al muro fino a che non aveva raggiunto il cortile. Si era annodato la felpa alla vita e aveva cacciato fuori il pacchetto con una tale furia e una tale velocità che il cartoncino si era quasi totalmente accartocciato nelle sue mani.

Quell'insolente, la sua voce iniziò a suggerirgli con malvagità.

No, che ne poteva sapere lei di quello che passava lui? Non sapeva quello che era accaduto. Nessuno lo sapeva e nessuno avrebbe dovuto saperlo.

C'erano voci cosi contrastanti nella sua testa che ebbe la voglia matta di spegnersi la sigaretta sulla tempia. Magari la sua mente si sarebbe decisa a tacere.

Buttò il mozzicone a terra e lo calpestò con la scarpa, per poi controllare la sua prossima lezione. Musica, padiglione C, aula 98. Si incamminò, pensando che se l'insegnante gli avesse permesso di ascoltare le canzoni del lettore musicale del suo telefono gli avrebbe fatto un favore.

Ma nessuno gli aveva mai fatto un favore.

Le cuffie erano premute contro la coscia nella tasca destra del jeans nero e temeva che potessero perdere contatto i circuiti, cosicché uno degli auricolari sarebbe morto irreversibilmente.

Appena arrivò, fece quanto si era proposto di fare: ascoltare nient'altro fuorché la musica che voleva lui.

Alex diede una sbirciata al suo orario: Musica, si ricordava bene. Si incamminò verso l'altro padiglione non appena la campanella suonò. Le lezioni di musica erano le sue preferite: poter osservare gli strumenti, toccarli, differenziarne i tipi di suono la facevano star bene. In ogni nota sonante, in ogni corda tremante, un messaggio era racchiuso e si faceva strada dentro chi l'ascoltava. Alex ultimamente si stava concentrando sulla chitarra, ma aveva provato anche flauto e diamonica. Con la chitarra andava meglio che con gli altri due, evidente segno della sua incapacità a perdere il fiato dentro qualche tubo di plastica. Quando Alex aprì la porta, il professore non era ancora arrivato.

«Dio» imprecò Michael. «Ancora tu? Ma che male ho fatto io, vorrei sapere?» disse metaforicamente. Alex girò gli occhi al cielo con un sospiro teatrale.

Here Without You. » Clifford a.uDove le storie prendono vita. Scoprilo ora