"Maggiore Clarke, posso parlarle?" William si girò verso uno dei suoi uomini e poi si rigirò verso Nora.
Aveva detto nel pomeriggio ai ragazzi di Berlino che sarebbero andati via, ma non aveva ancora chiarito la cosa con Nora. Aveva visto la sua espressione quando era venuto fuori che avevano ricevuto l'ordine di rimpatriare. Sospirò. Non sapeva cosa doveva fare. Anzi, sì. Lo sapeva benissimo.
"Vengo dopo alla casa dei bambini ok, Nora?" Lei annuì con una faccia cupa e se ne andò. Sospirò ancora. Poi si voltò verso il militare. Hank. Era Hank Miller.
"Vieni avanti, Miller" disse al militare, gli fece un cenno con la mano ed entrarono nella sua tenda.***
Nora si avviò velocemente verso la casa dei bambini. Aveva lasciato Christa e Sabine a occuparsi dei più piccoli mentre lei raggiungeva William al Reichstag. Dopo aver saputo che sarebbe andato via alla fine del mese, aveva bisogno di spiegazioni. Perché lui non l'aveva detto? Perché non ne avevano parlato? Si sentiva una sciocca, una stupida.
Aveva fatto l'amore con William per la prima volta una settimana prima. Gli aveva donato il suo cuore e lui... lui se ne andava. Il suo lato razionale capiva che non era una scelta sua, ma il suo lato emotivo era incazzato nero.
Preparò la cena e stette a tavola con i bambini e le altre ragazze, ma per tutto il tempo la sua mente vagò distratta per i pensieri suoi.
Nonna Esther raccontava di ragazze che si erano innamorate di militari americani che nel dopoguerra erano tornati a casa. Non ci aveva mai dato così tanto peso. Non aveva mai capito appieno quelle ragazze. Qualcuna era rimasta anche incinta. Per fortuna questo non sarebbe capitato a lei, pensò toccandosi la pancia: avevano usato precauzioni. Almeno quello.
Ma non c'erano state precauzioni per il cuore o per l'anima.
Aveva raccontato a William tutte le sue paure, i suoi sogni, gli aveva parlato di Theo e di Julia, la madre di Theo, dei suoi genitori e di tutto quello che era importante. Ossia tutto. Avevano parlato tanto.
Lui le aveva raccontato di aver perso un fratello in Vietnam e di come avesse pianto la madre quando aveva saputo che sarebbe partito per una missione anche lui. Era riuscito a scrivere alla madre e a comunicarle che stava bene e che lì a Berlino, almeno, non c'era la guerra.
Poi, dopo tante chiacchiere, tre mesi prima c'era stato un primo, timido bacio. E poi tantissimi altri. E altri ancora. Fino alla settimana prima..."Sei pensierosa" disse Christa all'amica.
Si era avvicinata a Nora dopo aver aiutato Sabine e le altre a mettere a letto i bambini. Lei stava lavando i piatti e un bicchiere le scivolò quando Christa la riscosse dai suoi pensieri.
"Ehi" parlò ancora. La bionda le mise una mano sulla spalla, mentre la ragazza chinava in avanti la testa. Aveva gli occhi lucidi. Prese un canovaccio e iniziò ad asciugare le stoviglie già sciacquate. "Non lo sapevi che andavano a casa, vero?" Nora scosse solamente la testa. Christa sospirò e non disse niente continuando ad asciugare i piatti e rimanendole vicina.***
Jakob fu svegliato da un rumore sordo e secco. Aprì gli occhi di scatto e si guardò intorno, guardingo.
Wolfrun imprecò sottovoce, girandosi verso di lui.
Cosa stava succedendo? Cercò di mettersi seduto ma lei lo raggiunse e lo spinse giù con la mano aperta appoggiata al suo petto.
Si sedette vicino a lui e sussurrò: "Dormi, Jakob. Io vado alla casa dei bambini". Il ragazzo tentò ancora di sedersi, ma lei premette più forte sul suo petto. Le prese il polso.
"Ti accompagno" disse, con la voce ancora impastata dal sonno.
"Non c'è bisogno. È quasi mattina. Dormi ancora" sussurrò lei, accarezzandogli il petto con delicatezza. Sentì gli occhi chiudersi ancora.
No! Non doveva addormentarsi!Wolfrun sperava si sgattaiolare via dalla porta senza che nessuno se ne accorgesse. Voleva tornare da Anneke, alla casa dei bambini. E non voleva che nessuno le dicesse cosa poteva o non poteva fare. Era grata a Jakob e Britta e anche a Louis per averla aiutata, ma ora, dopo aver dormito, mangiato e aver fatto una meravigliosa doccia bollente, si sentiva in forma e pronta per andare. Non voleva svegliarli.
Ma aveva fatto cadere lo zaino e ora Jakob, che dormiva sul divano avvolto in una coperta, si era svegliato. Aveva cercato di parlare a bassa voce, sperando che tornasse a dormire, ma lui voleva alzarsi e accompagnarla. Avrebbe potuto convincerlo che stava sognando? Se glielo avesse fatto credere avrebbe richiuso gli occhi?
Si sedette vicino a lui e lo tenne giù con una mano. I capelli le caddero davanti al viso.
"Il tuo profumo..." disse Jakob. Il suo profumo? Cosa stava dicendo? Forse era in dormiveglia. Anche perché non aveva assolutamente senso. Lei non usava il profumo. L'unica cosa profumata che possedesse era la saponetta al limone e alla lavanda con cui si era lavata sotto la doccia.
"Shhh. Dormi ancora" sussurrò. Provò a spostare la mano, ma lui la teneva stretta. Quando strinse appena più forte, capì che ormai era del tutto sveglio.
"Ho detto che vengo con te" disse il ragazzo, si tirò su e si mise a sedere. Era più alto di lei anche così. Sospirò. Va bene.
"Roberto è ancora in giro. Vengo con te" insistette lui. Uffa. Però annuì. "Dammi dieci minuti: vado in bagno".
Wolfrun annuì ancora.
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Tornare a Berlino
FanfictionJakob e Wolfrun vivono sull'isola di Lemnos da quando hanno lasciato Berlino a bordo del Pegaso. Con loro Ci sono Sebastian, Eleni e Anneke. Il virus è stato sconfitto e la vita ha ricominciato a scorrere. Jakob torna a Berlino quando Alexis ci va c...