8. Fidarsi di te

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Jakob e Louis camminavano a passo spedito.
Louis diceva di aver trovato un prato abbastanza grande dove si potesse giocare a battaglia, ora che erano in tanti. Solo che era nella parte di Berlino Est, dove c'erano gli adulti. Gli adulti di Berlino.
C'erano anche altri adulti in città, ma era gente che avevano portato i militari: elettricisti e ingegneri, persone che poteva aiutare a ricostruire edifici, case e fabbriche. Ed erano stati fantastici, a sentire gli altri. Gli adulti di Berlino, invece, non li vedevano di buon occhio. O perlomeno, stavano per conto loro, a Berlino Est. Jakob non li aveva mai visti, se non di sfuggita durante le fasi di vaccinazione.
In quel momento Jakob non aveva voglia di camminare così tanto. Avrebbero potuto fare un salto da qualche altra parte. Tipo al Reichstag o alla casa dei bambini. Non vedeva Wolfrun da quando, al campo, l'aveva vista parlare con Christa e Roberto. E non sapeva cosa si fossero detti.
"Forse dovremmo andarci domani. È quasi buio..." disse al francese. Louis si voltò verso di lui con un ghigno.
"Non ti facevo così fifone" l'accusò.
"Non sono un fifone!"
"Ci passiamo dopo, ok?" disse Louis.
Come? "Dove andiamo dopo?" chiese Jakob.
"Da Wolfrun" disse ancora lui. Jakob spalancò gli occhi e tentò di negare, ma riuscì solo a balbettare qualche scusa. Sentì Louis ridere. Davvero: stava ridendo. Louis. Lo guardò di sottecchi.
"Hai paura che Christa le abbia raccontato di come baci male, eh?" disse, prendendolo in giro. Cosa?
"Ma... te lo ha detto lei? Oddio, le avrà detto che ci siamo baciati? E ora Wolfrun..." esclamò Jakob, un po' agitato.
"Ehi, datti una calmata, Casanova. Stavo scherzando" rise e poi improvvisamente si fermò. "Wolfrun" annunciò.
"Sì, ho capito" disse Jakob sbuffando e oltrepassandolo. Louis gli posò una mano sul braccio per fermarlo.
"No, non hai capito: c'è Wolfrun!" E indicò con il dito un punto della via davanti a loro: Wolfrun camminava lungo la strada, qualche metro più in là.

Wolfrun camminava lentamente. Non aveva voglia di arrivare alla casa dei bambini. Da quando era a Berlino non riusciva mai a stare da sola e a lei piaceva stare da sola. Anche se Jakob diceva che le faceva male, a volte stare da soli faceva bene.
Affondò le mani nelle tasche dei jeans e rabbrividì nella sera. Aveva chiesto a Nora di occuparsi di Anneke e lei aveva detto che non ci sarebbero stati problemi. Avrebbe potuto fare un giro in città. Aveva in mente una spedizione verso Charlottenburg subito dopo il cimitero, ma l'incontro con la principessa bionda, le aveva guastato i piani e l'umore. A dir la verità, non poteva dire niente contro Christa. Era stata gentile. Sospirò. Forse avrebbe dovuto smettere di aspettarsi il peggio dalle persone.
Girò in una via laterale come se non mancasse da Berlino da quasi tre anni. Aveva sempre avuto un buon senso dell'orientamento. E quello non era neanche il suo territorio.
Pensò a Tegel. Non era ancora stata a Tegel. Aveva promesso ad Anneke di portarcela, ma voleva prima andarci da sola. Doveva sapere come la sua mente avrebbe reagito, così da essere preparata. Non voleva che potesse succedere qualcosa a cui lei non fosse pronta.

Louis e Jakob dovettero allungare il passo per raggiungere la ragazza. Ma dove stava andando? Poi Jakob la chiamò. Non riuscì a trattenersi. Lei si voltò subito. E quando loro le arrivarono vicino, Louis notò che aveva in mano il coltello. Alzò un sopracciglio. Cosa pensava che potesse succedere?
"Puoi metterlo via" le disse, indicando la sua mano con il capo. Lei annuì e lo fece.
"Mi avete spaventato. Dove state andando?" chiese. Silenzio. Louis guardò Jakob, che guardò per terra.
"Noi..." disse Jakob, imbarazzato, ma lei rise con occhi divertiti e disse: "Andate alla casa dei bambini?"
Cavolo. Perché glielo chiedeva con quella faccia? Stava...? Ma era un ghigno quello?
"E perché mai dovremmo..." iniziò il francese. Lei rise ancora, gli rise proprio in faccia.
"Dov'è che state andando, allora?" chiese la ragazza.
"Andiamo a Berlino est a vedere un prato per battaglia" spiegò Louis. Lei spalancò la bocca.
"Oh, sì. Questo ha molto più senso, effettivamente, Louis. Davvero" lo prese in giro lei. E stirò le labbra in una smorfia strana. Doveva essere un sorriso. O un altro ghigno.

"Andiamo davvero a Berlino Est" sostenne Luois con tono duro. Wolfrun chinò di lato la testa.
"Andate a vedere un prato..." iniziò allora. Oddio, la credevano così stupida? "A vedere un prato di notte..." continuò. "Per fare cosa di preciso?"
Dovette trattenere una risata. Pensavano davvero che ci avrebbe creduto?

Louis si accigliò. Ma lo stava deridendo? Si voltò verso Jakob, ma lui, ancora, non ricambiò il suo sguardo. Che succedeva?
"Andiamo a vedere un prato per scoprire se è adatto per giocarci a Battaglia" spiegò, confuso dall'atteggiamento di Jakob.
"Per giocare a cosa?" chiese Wolfrun. Lo sguardo della ragazza vagò fra loro due.

Ma cosa volevano farle credere? Giocare? Andavano a vedere un prato per giocare? Louis non poteva inventarsi di meglio? Sorrise verso di lui e guardò anche Jakob, ma il ragazzo non guardava nella sua direzione. Come mai?
Il suo sorriso si spense lentamente. Jakob sembrava serio. Cos'era la storia del gioco? Era una storia vera? Di... di... Come si chiamava?
"Battaglia. A Gropius, quando l'ultimo pallone si bucò, Sven inventò un gioco dove non fossero necessarie le palle. Battaglia, appunto" spiegò ancora Louis. Oh. Sven. Wolfrun guardò di nuovo verso Jakob. Lui volse appena lo sguardo verso di lei, come se fosse colpevole.
Non avevano mai parlato di Sven. Mai. Bern, Louis e suo fratello, Peter, Akay, le ragazze (per non parlare di Christa!) ma effettivamente Jakob non nominava quasi mai Sven. Abbassò gli occhi anche lei. Sven era morto a Tegel, divorato dal virus sì, ma era morto durante una Festa della Morte organizzata da Wolfrun. Perché lei aveva deciso di rapire uno dei loro.
Probabilmente Jakob la incolpava della sua morte.

Louis non capì molto bene la ragazza. Un attimo prima era bellicosa e pronta a prenderlo in giro, quello dopo così... arrendevole? Il suo sguardo era strano.
"Allora andate. Berlino Est è... lontanuccio. Buonanotte" disse, si girò e si incamminò.
"Ma tu dove vai?" Le chiese Louis. Quella non era strada per andare alla casa dei bambini. Lei alzò le spalle. Il francese si girò verso Jakob.
"Cos'è successo?" domandò. Lui lo guardò.
"Non le ho mai raccontato di Battaglia" spiegò. E quindi?
"E perché?" chiese. Anche Jakob alzò le spalle. Diamine, quei due erano fatti l'una per l'altra.

Jakob sospirò guardando la figura della ragazza che si allontanava e tornando poi a girarsi verso Louis.
Non sapeva bene perché non avesse parlato a Wolfrun del gioco. Forse pensava che lei non avrebbe capito, come era successo con Achille, Diego ed Elio, quando aveva spiegato loro come si divertivano a Berlino.
Era stato così difficile, quella volta, rimanere calmo e sentire loro che ridacchiavano per il gioco che li aveva aiutati a sopravvivere. Il gioco inventato da Sven, anche se lui non aveva mai giocato. Il gioco in cui era bravo Bernd e Jakob non tanto. Il gioco a cui giocavano tutti, dal più piccolo al più grande, senza distinzione di taglia, di età o di sesso.
Per fortuna Zeno aveva capito e gli si era seduto vicino senza dire niente, aveva solo sorriso e scosso la testa, come a dirgli di non farci troppo caso. Era stato un amico. Era stato lì che aveva capito quanto fosse in gamba e aveva iniziato a frequentarlo.
"Ti vergognavi di noi?" chiese Louis. Il suo tono non era arrabbiato. Jakob lo guardò negli occhi. Non si sarebbe mai vergognato di quello che aveva fatto. O di loro. Aveva bisogno che Louis capisse.
"No. Non mi sono mai vergognato di voi. È che non tutti capiscono. Il gioco di Sven, Louis. Non mi piace che qualcuno derida Sven..." disse Jakob, con in mente le risa dei ragazzi. Louis sembrò capire.
"Perché pensi che lei lo avrebbe fatto?" gli chiese. Alzò di nuovo le spalle.
Non lo sapeva. Ma se lei lo avesse fatto, non sarebbe più riuscito a guardarla come prima. E preferiva rimanere all'oscuro. Dannazione, era un vigliacco. Sospirò.

Wolfrun aspirò fra i denti. Era tornata indietro di qualche passo e aveva ascoltato quello che si erano detti. Jakob pensava che avrebbe riso di lui. Avrebbe deriso i suoi amici e Sven.
Sven, che era un bravo ragazzo secondo Chloe. Chloe era rimasta colpita dalla morte di Sven. E sì che di morti ne avevano visti tanti a Tegel. Caduti dall'alto, bruciati dal fuoco, infilzati da pali e frecce. Ce n'era una grande varietà. Ma nessuno era mai morto durante una Festa della Morte per colpa del virus. Nessuno.
Chloe non era stata più la stessa, dopo. Se n'era accorto anche Caspar. E pochi giorni prima di morire, Chloe le aveva detto che Sven era un bravo ragazzo. Uno di quelli di cui ci si può fidare e anche affidare la tua vita. Per quello le ragazze dell'Havel erano andate a chiedere aiuto a lui, quando avevano rapito Theo. Quando Wolfrun aveva rapito Theo.
Wolfrun aveva capito, da come la ragazza parlava, che Sven piaceva a Chloe. Tanto. Chissà, forse aveva provato a confessarglielo e lui l'aveva rifiutata? Il dolore l'aveva fatta diventare quello che era? Un capo pazzo e sconsiderato? Esattamente come era stata Wolfrun.
No. Wolfrun sapeva che lei era stata peggio di Chloe. Più pazza, più sconsiderata, più precipitosa, più impulsiva, più incosciente...
La lista poteva allungarsi all'infinito. Sospirò. Vide i ragazzi girarsi verso di lei di scatto. Ora l'avevano vista.
"Wolfrun..." disse semplicemente Jakob, un po' sorpreso.
Cosa poteva dirgli? Aveva fatto bene a non fidarsi di lei. Non si sarebbe fidato nessuno. Neanche lei si fidava. Annuì e scappò via di corsa. Sentì Jakob chiamarla e rincorrerla. Ma lei era più veloce e lo sapeva. Non si voltò neanche indietro.

***

"Non potete rimanere qui" disse Britta e incrociò le braccia sotto al seno. Jakob la guardò, ma lei scrutava Louis e non l'aveva neanche in nota.
"L'abbiamo vista scappare, vogliamo solo essere sicuri che torni e stia bene" spiegò Jakob. La treccia di Britta serpeggiò nell'aria quando lei si girò di scatto verso di lui.
"E perché siete qui in due? Lui può andare a casa" disse, indicando il francese con la mano. Ma cosa aveva? Jakob proprio non capiva come mai fosse così nervosa.

"Britta..." Il tono di Nora era di nuovo quello che rivolgeva ai bambini. Ai bambini capricciosi. E Britta si stava comportando come Abel. Anzi, peggio di Abel che dalla sua aveva l'attenuante dei suoi tre anni. Appoggiò tre tazze di caffè sul tavolo e ne allungò due ai ragazzi.
"Puoi sempre andare a letto tu, Britta, se non vuoi vederci" disse Louis. Ora era lui, quello scontroso. Oh, meraviglioso.
Britta sbuffò rumorosamente e la sua frangia svolazzò sulla fronte.

Louis pensò di non aver mai visto Britta così bella. Il suo broncio era irresistibile e, probabilmente, lei non lo sapeva neanche. Aveva la camicia da notte e un golfino azzurro che la riparava dal freddo della sera. La sua treccia era diversa, di notte. Ne partivano due ai lati della testa e giravano dietro prima di scendere, in una treccia unica sulla schiena. Quante cose non sapeva di lei?
"Sono solo preoccupati. Britta, non esagerare" disse Nora. Louis si voltò verso di lei. Giusto. Erano preoccupati. Erano lì per quello. Per nessun altro motivo.
"Sì, sono preoccupato per Wolfrun" disse, un po' troppo velocemente. Britta tornò a posare gli occhi su di lui.
"Tu? Sei preoccupato per lei?" C'era di nuovo sfida nei suoi occhi.
"Sì" mentì. Ma si pentì subito dopo averlo detto, quando vide gli occhi della bionda rattristarsi.
"Non penso ci sia bisogno di preoccuparsi. È perfettamente in grado di badare a se stessa" sussurrò.

Jakob annuì. Sapeva che Britta aveva ragione. Ma che Wolfrun fosse scappata per colpa sua non l'aiutava a sentirsi tranquillo.
La porta che dava verso la zona notte si aprì e una bambina mora, scalza e con la camicia da notte, entrò stropicciandosi un occhio con il palmo della mano.
"Wolfrun, ho fatto un brutto sogno..." mormorò. Poi Anneke sbatté gli occhi alla luce della cucina e li guardò tutti. "Dov'è Wolfrun?" Oh, merda. La piccola avanzò di un altro passo e lo vide. Gli sorrise, incerta. "Jakob..."
Si alzò per andarle incontro, ma Britta fu più svelta.
"Vieni, Anneke, torniamo a letto. Resto un po' con te, così ti riaddormenti". Si avvicinò alla bambina e le porse una mano mentre si girava verso la porta. Ma Anneke fece un saltello indietro, andando a sbattere contro il muro.
"No. Con te, no" disse, con lo stesso tono che avrebbe avuto Wolfrun. Britta spalancò gli occhi.

Louis si accigliò e sentì Britta balbettare qualcosa verso la bambina e la piccola risponderle: "Stamattina hai detto che Wolfrun è una strega. Non voglio dormire con te!"
Un silenzio imbarazzato calò nella stanza.

Jakob si alzò e, lanciando un'occhiata a Nora che annuì, disse alla piccola: "Vengo io, Anneke. Torniamo a letto".
Britta era rimasta scioccata da quello che aveva detto Anneke e non disse niente neanche sul fatto che lui volesse andare nella camera dei bambini. Anneke annuì e gli prese la mano che le porgeva. Quando richiusero la porta dietro di loro la piccola gli chiese: "Dov'è Wolfrun?"
Lui si chinò alla sua altezza e disse sospirando: "L'ho fatta arrabbiare. Sta facendo una passeggiata per farsi passare la rabbia". Anneke annuì e, stranamente, sorrise.
"Ok. Quando la fai arrabbiare tu, torna sempre" disse lei, tranquilla. Come? Ma non le chiese niente perché la bambina continuò: "Ho perso la mia coperta. Sul letto non c'è più..."
"Ti aiuto a cercarla."
Si avviarono verso la camera da letto.

"Complimenti" disse il ragazzo rimasto in cucina, verso Britta. La ragazza si girò verso Louis, che beveva il caffè, con uno sguardo addolorato. C'era rimasta male. Non pensava che la piccola reagisse così. Il ragazzo indicò la porta chiusa con un dito e rimarcò la ferita.
"Bel lavoro. Hai dato della strega a Wolfrun davanti alla bambina?" le chiese, ironico.
Britta aprì la bocca e la richiuse. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Nora le andò incontro e le disse, mettendole una mano sul lato del braccio: "Torna a letto, Britta". Le accarezzò la testa e le mise a posto una ciocca di capelli sfuggita alla treccia. Il suo tocco era confortante.
Britta squadrò di nuovo il ragazzo seduto al tavolo e senza dire niente uscì dalla porta e tornò in camera sua.

"Sei stato pessimo" lo sgridò Nora, poi si sedette vicino a lui e bevve un po' del suo caffè. Lui alzò le spalle. Sorrise. Ma quando sarebbero cresciuti? "Che ti ha fatto Britta?" chiese.
Louis appoggiò la tazza sul tavolo forse un po' rumorosamente. "Niente" disse, scontrosissimo.
Nora pensò che doveva essere successo qualcosa: Britta era scontrosa dalla sera prima e Louis lo era sempre stato, ma ora era scontroso con Britta. Cosa era successo? Gli appoggiò una mano sulla sua.
"Vuoi parlarne?" Lui scansò la sua mano.
"Non sei mia madre" disse, scontroso.
"No" sbuffò Nora. "Ma mi sento la madre di tutti..." Sorrise. "Le hai parlato?" Lui annuì senza dire niente.
Nora sapeva che a Louis piaceva Britta. Piaceva in senso serio. Non gli avrebbe mai permesso di giocare con lei. O con i suoi sentimenti. E invece Britta... A Britta piaceva Bernd, tre anni prima. Non era giunto il momento di lasciarselo alle spalle? Erano passati tre anni e per quanto facesse male...
Guardò il ragazzo che giocava con la tazza. "Forse dovrei lasciare perdere" disse lui, sottovoce. Nora alzò le spalle.
"Dipende da quanto ti interessa. E quanto vuoi lottare" disse, semplicemente e con tono dolce.
"La fai facile, tu" l'accusò lui. Nora spalancò gli occhi. Come? "Tu, hai il tuo militarino, lui ti vuole e tu vuoi lui. È così facile per te!"
La ragazza per poco non si arrabbiò. Ma che ne sapeva lui di com'era per lei? Si alzò in piedi bruscamente e il tavolo traballò un po'.
"Perché non vai a casa? Ti mando Jakob appena torna Wolfrun" disse e sperò che il suo tono sembrasse almeno un po' sostenuto.
"E se lei non tornasse? Lui rimarrebbe qui a dormire?"
Il suo tono era un po'... geloso? Sorrise.

***

Jakob si chinò sotto al letto: niente. Guardò dietro al cuscino: niente. Si guardò intorno e dall'altra parte del materasso: niente. Sul letto vicino a quello di Anneke: niente. Dove cavolo era finita quella coperta? Anneke si stropicciò di nuovo un occhio. Ok. Avrebbero fatto a meno della coperta. Fece salire la bambina sul letto e si tolse le scarpe prima di raggiungerla. Si sdraiò accanto a lei la circondò con il braccio. Tirò su il copriletto e sospirò.
"Domani, quando c'è luce, ti aiuto a cercare la tua coperta, ok?" sussurrò Jakob. Anneke annuì contro il suo fianco.
"Jakob?" lo chiamò.
"Dimmi, Anneke" sussurrò ancora, troppo stanco anche solo per alzare il tono della voce.
"Mi manca Clara. Anche Eleni. E Sebastian" ammise, triste, la bambina. Il ragazzo sospirò. Era stata una cattiva idea farla venire a Berlino. Le scompigliò i capelli e la baciò sulla testa.
"Presto torneremo a casa" disse e sperò che Wolfrun tornasse presto. Non solo per Anneke.

***

Jakob venne svegliato da una mano sul petto che lo scosse. Stava sognando di nuotare nel mare di Lemnos con Wolfrun e di venire risucchiato dal Pegaso che passava sopra di loro.
Quando riaprì gli occhi, Wolfrun lo guardava incuriosita. "Wolfrun!" quasi gridò lui.
Lei si mise un dito sulle labbra per intimargli il silenzio e con il capo indicò i bambini che dormivano. Giusto. I bambini. Era alla casa dei bambini. E lei era tornata! Pensò sorpreso. Perché poi era sorpreso? Non avrebbe mai abbandonato Anneke. Forse lui, ma non Anneke.
Si alzò dal letto, incredulo di essersi addormentato, cercando di non svegliare Anneke.
"Che ore sono?" chiese.
"Shh" gli rispose e lei gli appoggiò le dita sulle labbra per farlo stare zitto. Non avrebbe parlato mai più, se lei avesse tenuto lì la mano per sempre. Ma lei lo trascinò fuori dalla stanza dei bambini.
Come si chiusero la porta del dormitorio Wolfrun si voltò verso di lui. "Cosa fai qui?" chiese, sussurrando comunque.
"Io e Louis siamo venuti quando sei scappata. Eravamo preoccupati" spiegò.
Lei alzò un sopracciglio, vedeva la sua faccia al chiarore della luna. Andarono in cucina. Non c'era nessuno. Si avvicinò al lavello e prese un bicchiere per bere un po' d'acqua.
"Dove sei stata?" le chiese, guardando l'orologio sul muro. Era tardi. Tardissimo. Per fortuna gli altri non l'avevano aspettata.
"Non sono scappata" disse come se non avesse sentito l'ultima domanda. Non era scappata? Erano le tre del mattino! Jakob si agitò un po' mentre riempiva il bicchiere.
"E allora dove sei stata?" le domandò.
"Non te lo dico" rispose lei, dura. Come?
"Perché non me lo dici?" Più sorpreso che arrabbiato, Jakob le porse il bicchiere ma lei scosse il capo.
"Tu non ti fidi di me, io non mi fido di te. Non te lo dico" concluse lei. Jakob, che stava bevendo, si strozzò con il liquido e fece un verso strano. Cosa cosa cosa?
"Non mi fido di te?" chiese. Jakob non capiva niente.

Wolfrun era stanca. Era stata una notte lunghissima. Non aveva voglia di discutere. Non in quel momento.
"Dici così perché non ti ho raccontato di Battaglia? Non era perché non mi fidavo di te... È che non c'è stata l'occasione" si giustificò lui. Wolfrun sbuffò. Non avevano mai parlato del gioco senza palloni perché Christa non ci giocava, probabilmente. E perché non voleva che lei mancasse alla memoria di Sven. Sbuffò ancora.
"Sono stanca. Ascolta, dormirai nel mio letto. E poi..." iniziò a spiegare lei.
"Nel tuo letto?" chiese e lei vide il ragazzo sorridere. Oddio. Non era un invito. Doveva essersi espressa male.
Si avvicinò a lui e sussurrò: "Io dormo con Anneke. Tu dormi nel mio letto. Ma appena si fa l'alba vai via". Il suo sorriso svanì. E lei ghignò. Bene, aveva capito.

Jakob vide il sorriso di Wolfrun. Non gli piacque. Per niente. Dannazione.
"Con Anneke?" chiese, sentendosi stupido.
"Sì, dirò che ha fatto un brutto sogno. Non voglio che loro ti trovino qui" disse, sventolando la mano verso la porta delle camere. Ora sorrise lui.
"Perché non vuoi che sappiano che resto qui?" le chiese e fece un passo per avvicinarsi, ma lei guardava verso la porta.
"Sono impiccione, loro. Pensano che noi..." si interruppe, senza continuare. Cosa pensavano di loro? Jakob fece un altro passo.
"Va bene. Lo farò. Perché io mi fido di te" le disse. Le appoggiò le mani in vita e si avvicinò a lei. I suoi occhi si spalancarono quando lo vide avvicinarsi.
"Potrei fare questo se non mi fidassi?"
Si chinò su di lei e la osservò mentre accorciava la distanza fra di loro. Voleva darle la possibilità di tirarsi indietro, ma non di scappare. Lei rimase ferma a guardarlo. Doveva essere una cosa buona.

Wolfrun lo guardava.
Lui voleva baciarla. Lo stava per fare. Oh, che voglia di farlo davvero. I baci di Jakob erano medicina naturale su di lei. Che voglia di abbracciarlo e posare la testa sul suo petto. Lui, così solido e caldo. Se poi l'avesse circondata con le braccia...
Un rumore alla porta la svegliò da quel sogno a occhi aperti.
Ma non c'era niente. La porta era chiusa. Doveva essere un rumore della notte. Sebastian diceva sempre alle bambine che di notte si sentono di più i rumori perché la terra non è mai ferma e c'è tanto silenzio. Quando riportò l'attenzione su Jakob, l'incanto era svanito. Si scansò da lui e fece un passo indietro.
"Vai nel mio letto. Io vado da Anneke" disse e fece per indietreggiare verso la porta, ma Jakob le prese la mano.
"Io mi fido di te" disse lui, con uno sguardo da cucciolo. Bravo, Jakob. Pensò ironicamente. Quello che pensava doveva leggersi sulla sua faccia perché lui iniziò a parlarle.
"Non ti ho raccontato di battaglia... " disse, ma lei lo interruppe. Non voleva sentire una scusa o, peggio, una bugia.
"Hai fatto bene a non dirmelo. Dev'essere una cosa stupida" mentì e se ne andò da Anneke.
Non sapeva se lui fosse a conoscenza di dove fosse il suo letto o meno. Né se sarebbe veramente rimasto lì. Ma cercò di convincersi che non le importava. Era stanca e voleva dormire.

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