Era entrato nella sua vita quasi per caso o forse per destino.
Eppure Marco non credeva a cose come il fato o il destino.
Non credeva nemmeno nell'oroscopo, non pensava che le cose accadessero per una volontà superiore, era lui a guidare le proprie scelte, eppure quando si incontrarono, nulla gli parve essere sotto il proprio controllo.
Un ragazzino magrolino, stravagante e colorato, ecco cos'era J. Se gli avessero detto di immaginare che aspetto avesse potuto avere il suo migliore amico di certo non lo avrebbe descritto in quel modo, eppure...
Ricordava così bene la prima volta che lo aveva visto, gli si era impressa a fuoco nella mente.
Un ragazzino minuto che pedalava tutto orgoglioso sulla sua bicicletta adornata con nastri colorati intrecciati.
Quella era stata una giornata davvero faticosa. Il padre era tornato alla carica, intimandogli di abbandonare l'assurdo sogno di seguire le sue orme calcistiche, passando a uno sport come il basket che era di sicuro più adatto al suo fisico.
Erano in momenti come quelli che si ritrovava a pensare alla madre con maggiore intensità, lei non lo avrebbe ostacolato. Di lei Marco ricordava bene quanto il suo temperamento fosse mansueto, che fosse la sola persona ad ascoltarlo senza giudicarlo mai. Ormai però erano anni che la donna era morta e il ragazzo era rimasto da solo con il padre.
L'uomo non era granché presente, ma Marco si sforzava di convincersi che facesse del suo meglio, barcamenandosi fra famiglia e lavoro. Un lavoro, quello dell'allenatore, peraltro di una certa fama, che lo portava spesso fuori casa, e che lo costringeva a lasciare il figlio da solo. Ma Marco non ci faceva più molto caso, era abituato ormai a contare solo su se stesso.
Era assorto tra quei cupi pensieri, quando aveva visto quello spiritello sfrecciargli davanti con la sua bici splendente e un sorriso beffardo stampato in volto, che gli suscitò immediata simpatia.
Gli altri ragazzi avevano invano tentato di farlo sentire a disagio, ma quel folletto impertinente pareva sfoggiare quei colori con tale sicurezza da far sembrare sciocche tutte quelle considerazioni. Ricordava la sua espressione quando lo avevano additato asserendo che la sua fosse una bici da femmine. E ricordava altrettanto bene la naturale sicurezza con cui aveva risposto "a me piace".
Marco non rammentava com'è che fossero diventati amici, era semplicemente successo, quel buffo folletto era semplicemente entrato nella sua vita.
Erano così diversi, Marco era un ragazzone alto, dinoccolato, goffo, dai ricci scuri e lo sguardo torvo e J era un ragazzino minuto, dal sorriso facile e dalla fantasia spiccata, così delicato che Marco temeva di poterlo rompere solo guardandolo.
Non rammentava come si fossero ritrovati assieme in realtà, era semplicemente successo.
Un altro ricordo che Marco conservava impresso a fuoco nella propria mente era il giorno in cui J si era presentato sul campo da calcio. Il ragazzo voleva solo provare e sfidare se stesso con qualcosa che era molto evidente essere molto lontano dalle proprie attitudini. Non era nelle sue corde ma voleva comunque mettersi alla prova, con spirito caparbio e determinato. Che fosse un tipo competitivo, Marco lo aveva compreso subito, e apprezzava molto quel lato del suo carattere, non c'era sfida che non tentasse di vincere, non c'era gara in cui non si impegnasse anima e corpo senza mai darsi tregua.
Vedere il suo cucciolo sul campo era stato per Marco una sensazione molto strana.
Il ragazzo correva agitando le braccia e saltellando qua e là senza sosta, a Marco ricordava uno spiritello confinato dentro una casacca troppo grande. E quando J lo aveva adocchiato, in mezzo al campo, gli aveva rivolto un grande sorriso carico di sollievo e felicità. Marco aveva ricambiato sornione e aveva annuito.
Quel cenno era una promessa, ti guardo le spalle io, non preoccuparti, e J aveva compreso.
Marco adorava come si capissero al volo, senza che ci fosse bisogno delle parole.
Era in parte stato bello condividere, anche se per breve tempo, qualcosa con lui, però Marco si era sentito sollevato quando il suo giovane amico aveva deciso di cambiare disciplina.
Non che non lo ritenesse all'altezza, ma percepiva che il calcio avrebbe potuto soltanto tarpargli le ali invece di invogliarlo a volare. J era arte, libertà e pura bellezza, non come lui, una roccia ben ancorata al suolo.
Poi però l'incantesimo si era spezzato. Quando gli aveva comunicato che avrebbe cambiato città, il suo folletto aveva pianto e tra un singhiozzo e l'altro gli aveva fatto una promessa.
«Ci ritroveremo, ne sono sicuro» gli aveva detto con voce tremante fissandolo con i suoi grandi occhioni mutevoli.
E Marco ci aveva creduto, con tutto se stesso.
«Posso tenerla?» aveva chiesto J, stringendo la maglia da gioco che Marco una sera aveva scordato nella sua stanza. Ci si aggrappava con forza, come se con quell'oggetto avesse potuto trattenere vicino a sé una parte dell'amico.
Il padre di Marco aveva scosso la testa con disappunto vedendo il figlio cingere J e trarlo a sé in un intenso abbraccio, non approvava e di certo non poteva capire.
Ma a Marco non interessava. J ormai era una scheggia di gioia e colore conficcata così in profondità nel suo cuore, che non sarebbe mai stato possibile estirpare.
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L'Amore Comunque - the sound of silence
RomanceTrovarsi perdersi e rincontrarsi. Marco e J amici per tanto tempo ma per poco tempo. Costruiscono le loro carriere sportive rincorrendosi senza mai afferrarsi. Cosa impedisce a Marco di afferrare il folletto J? Cosa spinge J a lasciarsi intrappolare...