06 - Skin and bones... Don't you know?

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«Possibile che le mie siano solo parole al vento?» Sbraitò il Mister.
L'uomo sembrava più spossato che arrabbiato.
Era l'ennesimo fallo stupido, la sua vita pareva un continuo ripetersi di errori uno dietro l'altro in quell'ultimo periodo. Da quando era partito mesi prima per incontrare J in poi...
Marco annuì mesto, non sapeva come poter fare ammenda del suo comportamento.
Troppe volte aveva spergiurato che sarebbe cambiato, che non si sarebbe più comportato in quel modo in campo, e poi puntualmente deludeva le aspettative.
«Marco sei un fantastico giocatore» aggiunse il Mister quasi a volerlo confortare. «So che puoi dare molto alla squadra, devi solo concentrarti di più. Ho capito che è un periodo difficile. Quando sei tornato prima al ritiro rispetto al previsto eri abbattuto come non mai e non me ne hai voluto dire il motivo. Non voglio forzarti, so che sei un uomo adulto e non un ragazzino... Vorrei solo che sapessi che se e quando vorrai io ci sarò. Non sono soltanto il tuo allenatore, ormai ti considero uno di famiglia! Un po' perché conosco tuo padre da quando giocavamo assieme, ma anche perché ti ho visto nascere e crescere e divenire ciò che sei ora, e di questo sono immensamente orgoglioso. Mi sento un po' come un tuo genitore anche io. So che devi esserti sentito solo e che tuo padre non sempre ti capisce... Quel che sto cercando di dire, è che puoi dirmi qualsiasi cosa! Davvero! Non ci saranno giudizi te lo prometto.»
Il Mister fece una pausa, prese fiato.
«Quando vorrai parlarmi di quel ragazzo, io ti ascolterò.»
Marco sollevò lo sguardo e rimase a bocca aperta incredulo «mister io... non... ecco...» farfugliò, incapace di trovare le parole adatte.
«Credevi non lo sapessi? Credevi fosse un problema?»
Marco rimase in silenzio incerto su cosa dire.
Perché sì, pensava che lo fosse eccome un problema per lui. Proprio perché era amico di suo padre e quest'ultimo disapprovava tutto ciò che avesse a che fare con il pattinatore.
Manuel era una cosa, era suo amico e compagno di casa e stanza da una vita ormai, ma tutti gli altri?
Cosa gli poteva dire? Era il primo a essere confuso dai propri desideri.
Di certo sentiva che i sentimenti provati nei confronti del pattinatore stavano crescendo di giorno in giorno.
Quando lo aveva visto tra le braccia di quel Vance aveva sentito il sangue ribollirgli nelle vene.
Ma provava veramente attrazione per J?
Avrebbe voluto negarlo, ma ormai non poteva più farlo. Lo aveva capito bene quella sera assieme ad Axells.
La sua sola certezza si era sgretolata davanti ai suoi occhi.
Era partito quell'estate pieno di coraggio e ottimismo, speranzoso di poter trovare da parte di J un sentimento simile, anche se non di egual forza, al proprio e invece niente era andato secondo le sue aspettative, un disastro su tutta la linea.



J si alzò dal letto e fissò Vance immerso in un sonno profondo prima di scivolare via.
Erano passati almeno due mesi da quell'estate, da quando Marco lo aveva raggiunto trovandosi davanti la sua sorpresa.
J si mise una maglietta e sgattaiolò verso la terrazza chiudendosi la portafinestra alle spalle.
Era arrabbiato, triste e deluso. Non pensava che Marco potesse reagire in quel modo.
Forse aveva sbagliato a dare per scontato che lo volesse vedere felice.
Come erano arrivati a quel punto? Si chiese il pattinatore. Un tempo erano stati tanto uniti, si capivano al volo senza bisogno di parole e adesso il suo più caro amico gli pareva un estraneo.
Aveva aspettato l'estate per dirglielo.
Piccole omissioni, dopotutto anche il calciatore gli aveva nascosto molte cose.
Durante le loro telefonate non aveva nominato quel fantomatico cantante nemmeno una volta.
I suoi discorsi erano stati sempre i soliti, ovvero il calcio, le partite, le lamentele di Manuel sul suo stile irruento di giocare, l'essere felice per la partenza di Antonio dalla squadra.
Pensandoci bene notò che aveva nominato spesso una certa Violet, con cui sembrava aver stretto un buon rapporto d'amicizia.
Compariva sempre più spesso anche sul profilo Instagram del calciatore.
J fissò di nuovo il telefono, in un altro periodo avrebbe chiamato Marco, obbligandolo a parlargli per tenergli compagnia, ma adesso sentiva di non poterlo fare dopo l'ennesima discussione avuta con lui.
Non avevano mai litigato in quel modo e la cosa gli causava una dolorosa fitta al petto ogni volta che ci pensava. Quella era stata la loro prima vera litigata.
Che poi litigata non era la parola più adatta, J gli aveva urlato contro e Marco era rimasto in silenzio con un'espressione di pietra.
La tensione era andata in crescendo per tutto il tempo trascorso da Marco lì assieme a lui, tanto che il calciatore era addirittura partito prima.
J sentì le lacrime bruciargli gli occhi e a stento le ricacciò indietro.
Stupido idiota inveì dentro di sé il pattinatore, pensavo saresti rimasto al mio fianco sempre...
Lo schermo del telefono si illuminò.

L'Amore Comunque - the sound of silenceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora